In viaggio a tempo indeterminato/381: Marrakech in regalo
Quando mia mamma ha compiuto gli anni a Gennaio, io e mia sorella abbiamo deciso di regalarle un viaggio insieme in primavera.
All'inizio avevamo pensato a qualche città nel sud della Spagna. Vicina ma non troppo. Atmosfera simile all'Italia ma più rilassata e gioiosa. Si mangia bene. Il clima è perfetto in primavera.
Saremmo andate noi tre, per quattro o cinque giorni.
Poi però ci è venuta l'idea di andare in un luogo più esotico a cui mia mamma non avrebbe mai pensato: il Marocco.
Vicino ma non troppo. Atmosfera molto diversa dall'Italia. Cibo... Cous cous?!? Clima perfetto in primavera.
Lo dico a Paolo, che per la Spagna non aveva minimamente reagito, e lui senza nemmeno pensarci "in Marocco vengo anche io!".
È così da viaggio in tre, si è trasformato in viaggio di gruppo in sette.
Viaggiare in gruppo, soprattutto quando il gruppo in questione è parecchio eterogeneo per età ed esperienze di vita, non è semplice.
Ma devo dire che è molto molto stimolante!
Certo ci si deve un po' adattare e amalgamare, lasciando da parte le proprie certezze. Quella forse è la parte più complessa.
Ma lo sguardo stupito e la risata stranita di mia mamma quando ha visto il primo carretto trainato da un asino trottare per strada, non me li scorderò mai. In quel momento ho realizzato che stavo portando la mia famiglia nel "mio mondo".
Atterrare a Marrakech è stato come essere catapultati in un pianeta diverso, o meglio, nello stesso pianeta ma in un'epoca diversa.
"Appena arrivati ci siamo detti: oddio dove siamo finiti!" mi hanno confessato i miei zii alla fine del viaggio.
E a loro discolpa devo ammettere che arrivare di notte, con le strade semi deserte e la luce fioca dei lampioni, non deponeva molto a favore di Marrakech.
Il giorno dopo, però, con lo scintillio dei negozietti del souk e il vociare allegro dei venditori, l'atmosfera è decisamente cambiata.
Marrakech, chiamata la "città rossa" per il colore ambrato delle mura degli edifici in terra battuta, è una delle città imperiali marocchine.
Il suo cuore è la piazza Jemaa el-Fnaa, un enorme spiazzo che cambia faccia a seconda dell'ora del giorno. Calma e sonnecchiosa la mattina, con il calare del sole si anima e si riempie di incantatori di serpenti, musicisti, venditori ambulanti e artisti di strada.
La vita brulica nei mercati tutto attorno alla piazza. Un labirinto di stradine strette e passaggi angusti dove gli artigiani lavorano il ferro o cuciono le pelli. Lampade, calamite, stoffe, ceramiche, frutta secca, olive... nella medina puoi trovare tutto, soprattutto quello che non cercavi.
E in sottofondo il canto della moschea che scandisce il passare delle ore.
"L'hai sentito stamattina alle 5?"
"Io sì, sembrava fosse in camera".
"Io non ho sentito niente invece!"
Queste le prime frasi al mattino sulla terrazza durante una colazione decisamente abbondante.
Pane, torta, olive, marmellata, succo, caffè e tè alla menta, mentre la città si stava risvegliando e anche noi ci rendevamo sempre più conto di dove eravamo.
Il muezzin ha fatto da sveglia e la sua voce risuonava forte e decisa dentro il riad.
Per questo viaggio abbiamo cambiato un po' i nostri standard. Non potevamo portarli in un ostello (anche se onestamente Paolo lo aveva proposto!).
Abbiamo prenotato in un riad, una tradizionale casa marocchina tipica delle medine.
Si sviluppa attorno a un cortile centrale, decorato con piastrelle, fontane, giardini interni e archi intagliati. Le stanze si affacciano tutte su questo cortile, creando un ambiente raccolto e protetto dal caos esterno.
Questa struttura permette, non solo di mantenere la privacy, ma è anche utile per tenere lontano il caldo dell'estate marocchina.
Sarò sincera, mi è sembrato di dormire in una vera reggia!
Marrakech ha centinaia di riad riconvertiti in hotel e sceglierne uno non è stato semplice. La fase di ricerca e prenotazione è stata piuttosto impegnativa ma alla fine abbiamo trovato quello perfetto per noi. Un po' defilato dal centro turistico della città ma comunque non troppo lontano.
E la vera chicca è stato il quartiere in cui era immerso.

A pochi passi dal riad, una panetteria con il proprietario che ogni giorno ci regalava dei biscotti. Dietro l'angolo un negozietto di alimentari gestito da un signore che parlava perfettamente italiano perché aveva vissuto 30 anni a Como e con la pensione aveva deciso di tornare in Marocco.
E poi il sarto Mustafà, che aveva fatto amicizia con Paolo e ogni giorno si salutavano urlandosi "bonjour!".
Il venditore di pashmine con il sorriso sdentato più sincero di sempre.
Le strette di mano, i saluti, i sorrisi, i gatti ovunque.
Un angolo di Marrakech meno turistico dove nessuno ti chiedeva soldi per una foto o cercava di venderti souvenir a prezzi gonfiati.
Ma la cosa più interessante di tutte è stata guardare il Marocco attraverso gli occhi della mia famiglia, vedere le loro reazioni, ascoltare i loro commenti... portarli nel "nostro mondo" insomma.
All'inizio avevamo pensato a qualche città nel sud della Spagna. Vicina ma non troppo. Atmosfera simile all'Italia ma più rilassata e gioiosa. Si mangia bene. Il clima è perfetto in primavera.
Saremmo andate noi tre, per quattro o cinque giorni.
Poi però ci è venuta l'idea di andare in un luogo più esotico a cui mia mamma non avrebbe mai pensato: il Marocco.
Vicino ma non troppo. Atmosfera molto diversa dall'Italia. Cibo... Cous cous?!? Clima perfetto in primavera.
Lo dico a Paolo, che per la Spagna non aveva minimamente reagito, e lui senza nemmeno pensarci "in Marocco vengo anche io!".
È così da viaggio in tre, si è trasformato in viaggio di gruppo in sette.
Viaggiare in gruppo, soprattutto quando il gruppo in questione è parecchio eterogeneo per età ed esperienze di vita, non è semplice.
Ma devo dire che è molto molto stimolante!
Certo ci si deve un po' adattare e amalgamare, lasciando da parte le proprie certezze. Quella forse è la parte più complessa.
Ma lo sguardo stupito e la risata stranita di mia mamma quando ha visto il primo carretto trainato da un asino trottare per strada, non me li scorderò mai. In quel momento ho realizzato che stavo portando la mia famiglia nel "mio mondo".
Atterrare a Marrakech è stato come essere catapultati in un pianeta diverso, o meglio, nello stesso pianeta ma in un'epoca diversa.
"Appena arrivati ci siamo detti: oddio dove siamo finiti!" mi hanno confessato i miei zii alla fine del viaggio.
E a loro discolpa devo ammettere che arrivare di notte, con le strade semi deserte e la luce fioca dei lampioni, non deponeva molto a favore di Marrakech.
Il giorno dopo, però, con lo scintillio dei negozietti del souk e il vociare allegro dei venditori, l'atmosfera è decisamente cambiata.
Marrakech, chiamata la "città rossa" per il colore ambrato delle mura degli edifici in terra battuta, è una delle città imperiali marocchine.
Il suo cuore è la piazza Jemaa el-Fnaa, un enorme spiazzo che cambia faccia a seconda dell'ora del giorno. Calma e sonnecchiosa la mattina, con il calare del sole si anima e si riempie di incantatori di serpenti, musicisti, venditori ambulanti e artisti di strada.
La vita brulica nei mercati tutto attorno alla piazza. Un labirinto di stradine strette e passaggi angusti dove gli artigiani lavorano il ferro o cuciono le pelli. Lampade, calamite, stoffe, ceramiche, frutta secca, olive... nella medina puoi trovare tutto, soprattutto quello che non cercavi.
E in sottofondo il canto della moschea che scandisce il passare delle ore.

"Io sì, sembrava fosse in camera".
"Io non ho sentito niente invece!"
Queste le prime frasi al mattino sulla terrazza durante una colazione decisamente abbondante.
Pane, torta, olive, marmellata, succo, caffè e tè alla menta, mentre la città si stava risvegliando e anche noi ci rendevamo sempre più conto di dove eravamo.
Il muezzin ha fatto da sveglia e la sua voce risuonava forte e decisa dentro il riad.
Per questo viaggio abbiamo cambiato un po' i nostri standard. Non potevamo portarli in un ostello (anche se onestamente Paolo lo aveva proposto!).
Abbiamo prenotato in un riad, una tradizionale casa marocchina tipica delle medine.
Si sviluppa attorno a un cortile centrale, decorato con piastrelle, fontane, giardini interni e archi intagliati. Le stanze si affacciano tutte su questo cortile, creando un ambiente raccolto e protetto dal caos esterno.
Questa struttura permette, non solo di mantenere la privacy, ma è anche utile per tenere lontano il caldo dell'estate marocchina.
Sarò sincera, mi è sembrato di dormire in una vera reggia!
Marrakech ha centinaia di riad riconvertiti in hotel e sceglierne uno non è stato semplice. La fase di ricerca e prenotazione è stata piuttosto impegnativa ma alla fine abbiamo trovato quello perfetto per noi. Un po' defilato dal centro turistico della città ma comunque non troppo lontano.
E la vera chicca è stato il quartiere in cui era immerso.

A pochi passi dal riad, una panetteria con il proprietario che ogni giorno ci regalava dei biscotti. Dietro l'angolo un negozietto di alimentari gestito da un signore che parlava perfettamente italiano perché aveva vissuto 30 anni a Como e con la pensione aveva deciso di tornare in Marocco.
E poi il sarto Mustafà, che aveva fatto amicizia con Paolo e ogni giorno si salutavano urlandosi "bonjour!".
Il venditore di pashmine con il sorriso sdentato più sincero di sempre.
Le strette di mano, i saluti, i sorrisi, i gatti ovunque.
Un angolo di Marrakech meno turistico dove nessuno ti chiedeva soldi per una foto o cercava di venderti souvenir a prezzi gonfiati.
Ma la cosa più interessante di tutte è stata guardare il Marocco attraverso gli occhi della mia famiglia, vedere le loro reazioni, ascoltare i loro commenti... portarli nel "nostro mondo" insomma.
Angela (e Paolo)