Il padre fu salvato dalla 'rete per gli espatri', viene a Lecco per ringraziare
Adolph Suttner, soldato sudafricano arruolatosi volontario con gli angloamericani nella guerra contro il nazifascismo, fu una delle duemila persone che trovarono appoggio a casa delle sorelle Villa al Garabuso lungo la via della fuga verso la Svizzera, dopo l’8 settembre 1943, con l’annuncio dell’armistizio e quindi la presa di possesso da parte dei nazisti di buona parte dell’Italia (QUI la sua storia).

Una vicenda umana tra le tante, uscita dall’oblio per una serie di circostanze straordinarie e che in questa vigilia di festa della Repubblica ha ottenuto una solenne tribuna per essere raccontata, peraltro alla presenza del figlio di Adolph, Jonathan Suttner, rintracciato in Australia da un ricercatore inglese. Perché il motore di questa “storia dentro la Storia” – come egli stesso l’ha definita – è David Goldsworty, britannico con legami lecchesi.

L’incontro, molto affollato, si è svolto questa mattina in municipio a Lecco, ed è stata una nuova occasione per parlare di quella cosiddetta Resistenza disarmata e che in quegli anni terribili tra il 1943 e il 1945 coinvolse molte persone “semplici” ad aiutare prigionieri, ebrei ed antifascisti in fuga dai nazisti.
Ad accogliere Suttner e Goldsworthy sono stati il sindaco Mauro Gattinoni e, per l’Anpi (l’Associazione nazionale partigiani), il presidente provinciale Enrico Avagnina e lo storico Angelo De Battista.

A moderare l’incontro, Maurizio Crippa, già direttore di Confindustria Lecco e amico di Goldsworty. E, nella sua introduzione, Crippa ha sottolineato come l’iniziativa cada in un periodo significativo, quello tra il 25 aprile e il 2 giugno, anniversari della Liberazione dal Nazifascismo e dell’istituzione della Repubblica indicando nell’amore per la libertà un valore fondamentale da trasmettere ai giovani.

Lo stesso sindaco Gattinoni ha parlato dell’avventuroso viaggio di Adolph Suttner verso la libertà e di come si siano ricostituite la libertà e la democrazia «in nome dell’uomo».

De Battista ha poi ricostruito la storia di quella che va sotto il nome di “rete per gli espatri” la cui dimensione si è andata tracciando dettagliatamente negli ultimi anni. Organizzata subito all’indomani dell’8 settembre, prevedeva due linee di fuga verso la Svizzera, passanti entrambe per Lecco. Una prima saliva fino a Bellano, comportava l’attraversamento del lago verso Menaggio e quindi lo sconfinamento attraverso la Val Cavargna; una seconda si dirigeva verso Erba, scavallava i monti del Triangolo lariano e anche in questo caso prevedeva l’attraversamento del lago. Percorsi che richiedevano una rete di assistenza ramificata che coinvolgeva civili e sacerdoti. Una rete che in due anni è riuscita a far espatriare circa duemila persone. Fino a quando i nazifascisti riuscirono a smantellarla, arrestando quasi tutti i suoi componenti: alcuni morirono nell’eccidio di Fossoli, altri furono deportati nei lager, qualcuno riuscì a scappare, pochi sopravvissero.

A ricordare questa pagina di Storia, c’è un pannello installato nel 2017 – in collaborazione tra Comune, Musei e Anpi – davanti a quella era la casa delle sorelle Villa al Garabuso di Acquate. Ed è proprio quel pannello all’origine dell’interesse di Goldsworthy e della visita lecchese di Suttner.
Lo ha spiegato lo stesso ricercatore inglese, già dirigente della Corte dei Conti d’Oltremanica e sposato alla lecchese Silvia Stefanoni, originaria di Olate: «Venivo spesso a Olate e andavo a mangiare alla Taverna ai Poggi e proprio andando al ristorante ho visto quel pannello e letto la storia delle sorelle Villa. Parlando con amici e parenti mi sono accorto che pochi sapevano di quella storia e allora sto cercando di scrivere la loro vita. E mi sono anche messo a cercare qualcuno che era stato aiutato a fuggire».
Goldsworthy si è così imbattuto nella vicenda di Adolph Suttner: ne ha letto in una relazione di Caterina Villa, ma soprattutto è riuscito a rintracciare un verbale di interrogatorio effettuato dagli stessi inglesi in Svizzera e in quel verbale era possibile ricostruire la vita e le vicissitudini del soldato venticinquenne fuggito dal campo di Grumello al Monte, passato per Lecco e accompagnato in Svizzera.
«Ho fatto ricerche su di lui – ha continuato Goldsworthy – e ho scoperto che era sepolto a Città del Capo. Ho scritto al cimitero e sono stato messo in contatto con una ricercatrice e sono riuscito a recuperare alcuni documenti. Ma mi sembrava di essere ancora in alto mare. Però, ho scoperto che, prima della guerra, Suttner aveva lavorato alla Corte di Conti sudafricana e da lì sono stato indirizzato a un’insegnante che aveva avuto alcuni bambini con quel cognome. Uno, il figlio di Adolph e si era trasferito a Sydney. Gli ho scritto: è Jonahtan. Che ha deciso di venire a Lecco».

Da parte sua Jonathan Suttner in questi giorni ha visitato la Val Taleggio e San Giovanni Bianco, la strada percorsa dal padre per raggiungere Lecco. Prima di avviarsi verso la Svizzera, Adolph scrisse una lunga lettera conservata dal figlio Jonathan che ha voluto leggerne alcuni passi, sottolineando come suo papà «non avrebbe mai pensato che oggi sarei stato qui a leggerla». Nella lettera si parla di Antonietta Ongania Villa e delle sue quattro figlie, di quanto facessero nonostante il rischio di essere condannati a morte se scoperte.
Negli anni Sessanta, Adolph sarebbe poi tornato in Italia per ringraziare le persone che lo avevano aiutato: «Queste visite per lui significavano molto, aveva sempre apprezzato la gentilezza e il calore con cui veniva accolto. Ci aveva sempre detto di quanto fosse stato ancora riconoscente per l’aiuto che aveva ricevuto. Come figlio di un prigioniero di guerra ho il privilegio di essere qui per ringraziare tutte le persone che hanno aiutato mio padre».

E’ poi intervenuto Giacomo Bolis, figlio del sarto acquatese Francesco che faceva appunto parte della rete degli espatri e che per questo venne arrestato: «Ma dopo la guerra, papà andava a trovare il presunto delatore ormai infermo, perché il Vangelo dice di visitare gli infermi e portare il perdono. In quegli anni molti giovani cristiani si impegnarono ad aiutare gli sbandati ispirati dal Vangelo. I nostri ricordi sono ormai frammentati. Ma è bello oggi ritrovarsi tra famiglie che fino a pochi giorni fa non si conoscevano ma erano comunque legate da un gesto di generosità».

Augusto Amanti ha ricordato invece come si siano avviate ricerche anche in Valsassina per ricostruire gli itinerari di fuga che dalle valli bergamasche passavano per i Piani di Bobbio, Barzio, Cortabbio e Bellano.

Infine, il presidente provinciale dell’Anpi, Avagnina, ha ricordato come le passeggiate promosse per le scuole sui luoghi della Resistenza partano dalla lapide del municipio che ricorda l’assegnazione della medaglia d’argento alla nostra città per quanto fatto durante la lotta di Liberazione: per due volte – ha spiegato – compare il termine “le genti” «e ci piace sottolineare il plurale perché indica le diverse tracce della Resistenza sintetizzate in quattro date simbolo: il 17 ottobre 1943 della battaglia d’Erna; il 7 marzo 1944 degli scioperi nelle fabbriche; il 12 luglio 1944 con l’eccidio di Fossoli e il 27 aprile 1945 con la battaglia di Pescarenico».
Una vicenda umana tra le tante, uscita dall’oblio per una serie di circostanze straordinarie e che in questa vigilia di festa della Repubblica ha ottenuto una solenne tribuna per essere raccontata, peraltro alla presenza del figlio di Adolph, Jonathan Suttner, rintracciato in Australia da un ricercatore inglese. Perché il motore di questa “storia dentro la Storia” – come egli stesso l’ha definita – è David Goldsworty, britannico con legami lecchesi.
L’incontro, molto affollato, si è svolto questa mattina in municipio a Lecco, ed è stata una nuova occasione per parlare di quella cosiddetta Resistenza disarmata e che in quegli anni terribili tra il 1943 e il 1945 coinvolse molte persone “semplici” ad aiutare prigionieri, ebrei ed antifascisti in fuga dai nazisti.
Ad accogliere Suttner e Goldsworthy sono stati il sindaco Mauro Gattinoni e, per l’Anpi (l’Associazione nazionale partigiani), il presidente provinciale Enrico Avagnina e lo storico Angelo De Battista.
A moderare l’incontro, Maurizio Crippa, già direttore di Confindustria Lecco e amico di Goldsworty. E, nella sua introduzione, Crippa ha sottolineato come l’iniziativa cada in un periodo significativo, quello tra il 25 aprile e il 2 giugno, anniversari della Liberazione dal Nazifascismo e dell’istituzione della Repubblica indicando nell’amore per la libertà un valore fondamentale da trasmettere ai giovani.
Lo stesso sindaco Gattinoni ha parlato dell’avventuroso viaggio di Adolph Suttner verso la libertà e di come si siano ricostituite la libertà e la democrazia «in nome dell’uomo».
De Battista ha poi ricostruito la storia di quella che va sotto il nome di “rete per gli espatri” la cui dimensione si è andata tracciando dettagliatamente negli ultimi anni. Organizzata subito all’indomani dell’8 settembre, prevedeva due linee di fuga verso la Svizzera, passanti entrambe per Lecco. Una prima saliva fino a Bellano, comportava l’attraversamento del lago verso Menaggio e quindi lo sconfinamento attraverso la Val Cavargna; una seconda si dirigeva verso Erba, scavallava i monti del Triangolo lariano e anche in questo caso prevedeva l’attraversamento del lago. Percorsi che richiedevano una rete di assistenza ramificata che coinvolgeva civili e sacerdoti. Una rete che in due anni è riuscita a far espatriare circa duemila persone. Fino a quando i nazifascisti riuscirono a smantellarla, arrestando quasi tutti i suoi componenti: alcuni morirono nell’eccidio di Fossoli, altri furono deportati nei lager, qualcuno riuscì a scappare, pochi sopravvissero.
A ricordare questa pagina di Storia, c’è un pannello installato nel 2017 – in collaborazione tra Comune, Musei e Anpi – davanti a quella era la casa delle sorelle Villa al Garabuso di Acquate. Ed è proprio quel pannello all’origine dell’interesse di Goldsworthy e della visita lecchese di Suttner.
Lo ha spiegato lo stesso ricercatore inglese, già dirigente della Corte dei Conti d’Oltremanica e sposato alla lecchese Silvia Stefanoni, originaria di Olate: «Venivo spesso a Olate e andavo a mangiare alla Taverna ai Poggi e proprio andando al ristorante ho visto quel pannello e letto la storia delle sorelle Villa. Parlando con amici e parenti mi sono accorto che pochi sapevano di quella storia e allora sto cercando di scrivere la loro vita. E mi sono anche messo a cercare qualcuno che era stato aiutato a fuggire».

«Ho fatto ricerche su di lui – ha continuato Goldsworthy – e ho scoperto che era sepolto a Città del Capo. Ho scritto al cimitero e sono stato messo in contatto con una ricercatrice e sono riuscito a recuperare alcuni documenti. Ma mi sembrava di essere ancora in alto mare. Però, ho scoperto che, prima della guerra, Suttner aveva lavorato alla Corte di Conti sudafricana e da lì sono stato indirizzato a un’insegnante che aveva avuto alcuni bambini con quel cognome. Uno, il figlio di Adolph e si era trasferito a Sydney. Gli ho scritto: è Jonahtan. Che ha deciso di venire a Lecco».
Da parte sua Jonathan Suttner in questi giorni ha visitato la Val Taleggio e San Giovanni Bianco, la strada percorsa dal padre per raggiungere Lecco. Prima di avviarsi verso la Svizzera, Adolph scrisse una lunga lettera conservata dal figlio Jonathan che ha voluto leggerne alcuni passi, sottolineando come suo papà «non avrebbe mai pensato che oggi sarei stato qui a leggerla». Nella lettera si parla di Antonietta Ongania Villa e delle sue quattro figlie, di quanto facessero nonostante il rischio di essere condannati a morte se scoperte.
Negli anni Sessanta, Adolph sarebbe poi tornato in Italia per ringraziare le persone che lo avevano aiutato: «Queste visite per lui significavano molto, aveva sempre apprezzato la gentilezza e il calore con cui veniva accolto. Ci aveva sempre detto di quanto fosse stato ancora riconoscente per l’aiuto che aveva ricevuto. Come figlio di un prigioniero di guerra ho il privilegio di essere qui per ringraziare tutte le persone che hanno aiutato mio padre».
E’ poi intervenuto Giacomo Bolis, figlio del sarto acquatese Francesco che faceva appunto parte della rete degli espatri e che per questo venne arrestato: «Ma dopo la guerra, papà andava a trovare il presunto delatore ormai infermo, perché il Vangelo dice di visitare gli infermi e portare il perdono. In quegli anni molti giovani cristiani si impegnarono ad aiutare gli sbandati ispirati dal Vangelo. I nostri ricordi sono ormai frammentati. Ma è bello oggi ritrovarsi tra famiglie che fino a pochi giorni fa non si conoscevano ma erano comunque legate da un gesto di generosità».
Augusto Amanti ha ricordato invece come si siano avviate ricerche anche in Valsassina per ricostruire gli itinerari di fuga che dalle valli bergamasche passavano per i Piani di Bobbio, Barzio, Cortabbio e Bellano.
Infine, il presidente provinciale dell’Anpi, Avagnina, ha ricordato come le passeggiate promosse per le scuole sui luoghi della Resistenza partano dalla lapide del municipio che ricorda l’assegnazione della medaglia d’argento alla nostra città per quanto fatto durante la lotta di Liberazione: per due volte – ha spiegato – compare il termine “le genti” «e ci piace sottolineare il plurale perché indica le diverse tracce della Resistenza sintetizzate in quattro date simbolo: il 17 ottobre 1943 della battaglia d’Erna; il 7 marzo 1944 degli scioperi nelle fabbriche; il 12 luglio 1944 con l’eccidio di Fossoli e il 27 aprile 1945 con la battaglia di Pescarenico».
D.C.