Anche a Ballabio posate due pietre di inciampo per i morti nei lager nazisti
Posate a Ballabio le pietre d’inciampo a ricordo di Filippo Goretti e Gianfranco Lombardini, entrambi deportati nei lager nazisti, morti il primo a Mauthausen e il secondo in quello di Bergen-Belsen. Due nuove pietre che si aggiungono alle altre sette posate nei mesi scorsi in Valsassina.

Complessivamente sono una trentina quelle installate in questi anni nel territorio provinciale lecchese. L’idea originaria dell’artista tedesco Gunther Demning che avviò la posa delle pietre d’inciampo nel 1992, sarebbe di collocarle davanti all’ultima residenza dei deportati e mai ritornati dai lager nazisti, affinché i passanti appunto vi “inciampino” e s’imbattano in un destino da ricordare. D’accordo con le famiglie, a Ballabio si è deciso di posarle lungo il vialetto del piccolo parco di via Matteotti, dove nel 2020 stato realizzato il monumento in memoria di Pino Galbani, l’operaio arrestato a Lecco dopo gli scioperi del marzo 1944 e deportato con altri 25 lavoratori. Fu uno dei pochi che riuscirono a tornare a casa a guerra finita, impegnando poi il resto della sua vita a farsi testimone di quella tragedia.
Galbani lavorava alla “Rocco Bonaiti”. Come lui anche Filippo Goretti, classe 1926, anch’egli arrestato e deportato con Galbani e un altro valsassinese, Antonio Cedro di Margno, dopo lo sciopero del 7 marzo 1944. Finì a Mauthausen dove morì il 23 ottobre 1944.
Gianfranco Lombardini, classe 1944, era invece un soldato della Marina italiana allo sbando dopo l’8 settembre, aderendo alle prime formazioni partigiane formatesi ai Piani d’Erna. Dopo la battaglia dell’ottobre 1943, si trasferì prima a Spino d’Adda e poi in Friuli e il 3 luglio 1944 venne arrestato a Udine e deportato a Buchenwald, poi a Flossenburg e Bergen-Belsen. Non ci sono atti ufficiali alla sua scomparsa ma si ritiene morto l’8 marzo 1945, durante la fase di sgombero del campo da parte dei nazisti, e finito come altri in una fossa comune.

Alla cerimonia sono intervenuti il sindaco Giovanni Bruno Bussola, il prefetto Sergio Pomponio, il segretario dell’Anpi valsassinese Angelo Pavoni e per la stessa Anpi (Associazione partigiani) Augusto Giuseppe Amanti, l’instancabile ricercatore e promotore di queste iniziative per la memoria (ricevendo per questo l’onorificenza di cavaliere in occasione della Festa della Repubblica di quest’anno). E naturalmente i parenti dei deportati: Virgilio Invernizzi, nipote di Filippo Goretti, e Roberta Lombardini, nipote di Gianfranco (e anche sorella, visto che il fratello porta il nome dello zio partigiano).

Nell’aprire la cerimonia il sindaco Bussola ha spiegato la decisione della collocazione delle pietre nel parchetto di via Matteotti, sottolineando come chiunque percorrerà quel vialetto si imbatterà nella memoria dei due ballabiesi.

Da parte sua, Pavoni ha parlato della posa di queste pietre d’inciampo non come di un gesto simbolico bensì di un avvertimento, ricordando come il Fascismo non sia stato un incidente di percorso della Storia e che quindi bisogna riflettere oggi che quelle tendenze tornano a prevalere. E allora il ricordo deve diventare un invito per un futuro di solidarietà.

Invernizzi si è agurato che queste pietre siano un simbolo di memoria e di speranza, mentre Lombardini ha ricordato lo zio come un valoro partigiano che ha sacrificato la vita per la libertà e la giustizia e quindi oggi ci impegniamo a tramandare il suo coraggio e i suoi ideali, perché le pietre di inciampo sono un monito perpetuo e un invito per tutti.

Amanti ha definito la cerimonia come la celebrazione, ottant’anni dopo, del funerale che Goretti e Lombardini non hanno mai avuto. Ne ha raccontato la storia e ha poi spiegato il progetto delle pietre di inciampo e ha ricordato gli altri ballabiesi deportati: Antonio Goretti nato nel 1915 e morto nel 1945, Lanfranco Invernizzi nato nel 1912 e morto nel 1945, Deo Invernizzi nato nel 1914 e sopravvissuto, tornando a casa nel 1945, ma non alle sofferenze fisiche subite che l’avrebbero portato alla morte nel 1950.

Per il prefetto Pomponio, la posa di una pietra di inciampo è una cerimonia straordinaria perché straordinaria è la vita di ciascuno di noi e di coloro che si ricordano: occorre la capacità di ricordare l’individualità delle singole vite che la Storia ha travolto ed è quindi sempre più necessario un momento per ringraziare i singoli che in questi flussi sono stati travolti. Perciò è importante ogni singola pietra perché la vita è indistruttibile grazie alla memoria.

E’ poi avvenuta la posa vera e propria da parte dei nipoti e quindi la benedizione impartita dal parroco don Benvenuto Riva che ha ricordato il padre combattente in Grecia: «non voleva parlare di quello che era successo. Si sa che va spesso così, ma se capitava, allora in famiglia si creava un silenzio di tomba. Però io da bambino non capivo e le ho capite poi a poco a poco. Perché ci sono state tante altre cerimonie come questa, citando poi le parole di papa Francesco sulla memoria come dovere, come antidoto alla guerra. E allora la benedizione è quasi superficiale, perché queste pietre sono già benedette da Dio.».
La cerimonia è stata accompagna dal coro I Vous de la Valgranda, con un repertorio di canti alpini, si immagina per ragioni dettate da equilibrismi politici.
Complessivamente sono una trentina quelle installate in questi anni nel territorio provinciale lecchese. L’idea originaria dell’artista tedesco Gunther Demning che avviò la posa delle pietre d’inciampo nel 1992, sarebbe di collocarle davanti all’ultima residenza dei deportati e mai ritornati dai lager nazisti, affinché i passanti appunto vi “inciampino” e s’imbattano in un destino da ricordare. D’accordo con le famiglie, a Ballabio si è deciso di posarle lungo il vialetto del piccolo parco di via Matteotti, dove nel 2020 stato realizzato il monumento in memoria di Pino Galbani, l’operaio arrestato a Lecco dopo gli scioperi del marzo 1944 e deportato con altri 25 lavoratori. Fu uno dei pochi che riuscirono a tornare a casa a guerra finita, impegnando poi il resto della sua vita a farsi testimone di quella tragedia.
Gianfranco Lombardini, classe 1944, era invece un soldato della Marina italiana allo sbando dopo l’8 settembre, aderendo alle prime formazioni partigiane formatesi ai Piani d’Erna. Dopo la battaglia dell’ottobre 1943, si trasferì prima a Spino d’Adda e poi in Friuli e il 3 luglio 1944 venne arrestato a Udine e deportato a Buchenwald, poi a Flossenburg e Bergen-Belsen. Non ci sono atti ufficiali alla sua scomparsa ma si ritiene morto l’8 marzo 1945, durante la fase di sgombero del campo da parte dei nazisti, e finito come altri in una fossa comune.
Alla cerimonia sono intervenuti il sindaco Giovanni Bruno Bussola, il prefetto Sergio Pomponio, il segretario dell’Anpi valsassinese Angelo Pavoni e per la stessa Anpi (Associazione partigiani) Augusto Giuseppe Amanti, l’instancabile ricercatore e promotore di queste iniziative per la memoria (ricevendo per questo l’onorificenza di cavaliere in occasione della Festa della Repubblica di quest’anno). E naturalmente i parenti dei deportati: Virgilio Invernizzi, nipote di Filippo Goretti, e Roberta Lombardini, nipote di Gianfranco (e anche sorella, visto che il fratello porta il nome dello zio partigiano).
Nell’aprire la cerimonia il sindaco Bussola ha spiegato la decisione della collocazione delle pietre nel parchetto di via Matteotti, sottolineando come chiunque percorrerà quel vialetto si imbatterà nella memoria dei due ballabiesi.
Da parte sua, Pavoni ha parlato della posa di queste pietre d’inciampo non come di un gesto simbolico bensì di un avvertimento, ricordando come il Fascismo non sia stato un incidente di percorso della Storia e che quindi bisogna riflettere oggi che quelle tendenze tornano a prevalere. E allora il ricordo deve diventare un invito per un futuro di solidarietà.
Invernizzi si è agurato che queste pietre siano un simbolo di memoria e di speranza, mentre Lombardini ha ricordato lo zio come un valoro partigiano che ha sacrificato la vita per la libertà e la giustizia e quindi oggi ci impegniamo a tramandare il suo coraggio e i suoi ideali, perché le pietre di inciampo sono un monito perpetuo e un invito per tutti.
Amanti ha definito la cerimonia come la celebrazione, ottant’anni dopo, del funerale che Goretti e Lombardini non hanno mai avuto. Ne ha raccontato la storia e ha poi spiegato il progetto delle pietre di inciampo e ha ricordato gli altri ballabiesi deportati: Antonio Goretti nato nel 1915 e morto nel 1945, Lanfranco Invernizzi nato nel 1912 e morto nel 1945, Deo Invernizzi nato nel 1914 e sopravvissuto, tornando a casa nel 1945, ma non alle sofferenze fisiche subite che l’avrebbero portato alla morte nel 1950.
Per il prefetto Pomponio, la posa di una pietra di inciampo è una cerimonia straordinaria perché straordinaria è la vita di ciascuno di noi e di coloro che si ricordano: occorre la capacità di ricordare l’individualità delle singole vite che la Storia ha travolto ed è quindi sempre più necessario un momento per ringraziare i singoli che in questi flussi sono stati travolti. Perciò è importante ogni singola pietra perché la vita è indistruttibile grazie alla memoria.
E’ poi avvenuta la posa vera e propria da parte dei nipoti e quindi la benedizione impartita dal parroco don Benvenuto Riva che ha ricordato il padre combattente in Grecia: «non voleva parlare di quello che era successo. Si sa che va spesso così, ma se capitava, allora in famiglia si creava un silenzio di tomba. Però io da bambino non capivo e le ho capite poi a poco a poco. Perché ci sono state tante altre cerimonie come questa, citando poi le parole di papa Francesco sulla memoria come dovere, come antidoto alla guerra. E allora la benedizione è quasi superficiale, perché queste pietre sono già benedette da Dio.».
La cerimonia è stata accompagna dal coro I Vous de la Valgranda, con un repertorio di canti alpini, si immagina per ragioni dettate da equilibrismi politici.
D.C.