Datemi tutte le tracce C
«L’esame di maturità è la cosa più facile che farete nella vita – scriveva questa mattina la mia amica Amanda Ferrario, preside coraggiosa del “Tosi” di Busto Arsizio, una delle scuole più all’avanguardia d’Italia – Perché con voi ci siamo noi, i vostri docenti, che vi hanno accolto e accompagnato per tutti questi anni». E ha ragione.
Al netto della retorica sul fatto che “una volta sì che era un vero esame”, sulla funzione antropologica di rito di passaggio, sull’eventuale ripristino dell’antica nomenclatura di “esame di maturità”, più epica dell’anodino “Esame di Stato conclusivo del Secondo Ciclo di Istruzione”, la maturità come adesso è condotta è un percorso condiviso. Non ci si faccia ingannare dalla coreografia del candidato esposto solitario al giudizio dei giurati durante il colloquio: la scuola non è un reality show e i docenti non incrociano le braccia dicendo «Per me è un no!». Anche i docenti, i “commissari”, in special modo quelli interni, fanno l’esame insieme con gli studenti. Li conducono nei momenti di eventuale impaccio, chiedono, soprattutto ascoltano, spesso imparano.
La maturità è iniziata oggi con la prova scritta di Italiano, e già immagino i commenti: «Eh, ma chi arriva a fare Pasolini in quinta?», «Ma il Gattopardo chi l’ha mai letto?» (anche se su questo purtroppo sarà venuta in soccorso l’orrida fiction Netflix della scorsa primavera). Più abbordabili, come sempre, le altre tipologie. Molto interessante la voce di Telmo Pievani e il suo particolare modo di affrontare la questione climatica anche nei suoi testi più divulgativi (“Il giro del mondo nell’Antropocene”, per esempio).
In generale tracce interessanti, “fattibili” diranno gli studenti, di quelle che permettono davvero di esprimere un’opinione e non di rifriggere conoscenze, che poi è quello che si chiede di saper fare a donne e uomini di diciotto anni, che guidano, votano, progettano un futuro. Il nostro mondo ha bisogno di persone “mature”, non di secchioni. Di ribelli coraggiosi che siano davvero la nostra speranza.
Ogni anno auspico che un buon numero di candidati svolga la tipologia A, l’analisi del testo letterario (soprattutto quest’anno: io amo Tomasi di Lampedusa!) salvo poi venir puntualmente smentito dai numeri, perché tutti fanno la C, io quest’anno mi sarei accontentato di un’unica traccia sulle sette proposte, ed è esattamente la prima della tipologia C, un testo di Paolo Borsellino intitolato “I giovani, la mia speranza”.
Vorrei poterne leggere tanti di temi a partire da questo testo di Borsellino. Non solo scritti da studenti delle scuole del Sud, e non solo inerenti il tema della mafia. Vorrei se ne potesse fare un’antologia, per capire che la nostra speranza non è affatto mal riposta. Spero.
Al netto della retorica sul fatto che “una volta sì che era un vero esame”, sulla funzione antropologica di rito di passaggio, sull’eventuale ripristino dell’antica nomenclatura di “esame di maturità”, più epica dell’anodino “Esame di Stato conclusivo del Secondo Ciclo di Istruzione”, la maturità come adesso è condotta è un percorso condiviso. Non ci si faccia ingannare dalla coreografia del candidato esposto solitario al giudizio dei giurati durante il colloquio: la scuola non è un reality show e i docenti non incrociano le braccia dicendo «Per me è un no!». Anche i docenti, i “commissari”, in special modo quelli interni, fanno l’esame insieme con gli studenti. Li conducono nei momenti di eventuale impaccio, chiedono, soprattutto ascoltano, spesso imparano.
La maturità è iniziata oggi con la prova scritta di Italiano, e già immagino i commenti: «Eh, ma chi arriva a fare Pasolini in quinta?», «Ma il Gattopardo chi l’ha mai letto?» (anche se su questo purtroppo sarà venuta in soccorso l’orrida fiction Netflix della scorsa primavera). Più abbordabili, come sempre, le altre tipologie. Molto interessante la voce di Telmo Pievani e il suo particolare modo di affrontare la questione climatica anche nei suoi testi più divulgativi (“Il giro del mondo nell’Antropocene”, per esempio).
In generale tracce interessanti, “fattibili” diranno gli studenti, di quelle che permettono davvero di esprimere un’opinione e non di rifriggere conoscenze, che poi è quello che si chiede di saper fare a donne e uomini di diciotto anni, che guidano, votano, progettano un futuro. Il nostro mondo ha bisogno di persone “mature”, non di secchioni. Di ribelli coraggiosi che siano davvero la nostra speranza.
Ogni anno auspico che un buon numero di candidati svolga la tipologia A, l’analisi del testo letterario (soprattutto quest’anno: io amo Tomasi di Lampedusa!) salvo poi venir puntualmente smentito dai numeri, perché tutti fanno la C, io quest’anno mi sarei accontentato di un’unica traccia sulle sette proposte, ed è esattamente la prima della tipologia C, un testo di Paolo Borsellino intitolato “I giovani, la mia speranza”.
Vorrei poterne leggere tanti di temi a partire da questo testo di Borsellino. Non solo scritti da studenti delle scuole del Sud, e non solo inerenti il tema della mafia. Vorrei se ne potesse fare un’antologia, per capire che la nostra speranza non è affatto mal riposta. Spero.
Stefano Motta