In viaggio a tempo indeterminato/385: due signore al balcone

Reggio Calabria e Messina me le immagino come due signore che vivono una di fronte all'altra. Si conoscono da sempre. Si vedono ogni volta che escono a stendere i panni in terrazza. Si salutano, scambiano qualche chiacchiera. Parlano del più e del meno.
A volte si raccontano le novità, le gioie e le sventure.
Non si incontrano mai Reggio Calabria e Messina, ma si guardano sempre. Si conoscono, condividono il destino. Unite dai traghetti che come dei piccioni si spostano da un balcone all'altro. Divise da quello stesso mare, tanto stretto quanto agitato.
Sono anni che qualcuno vuole farle incontrare a tutti i costi. Ci sono state promesse, prime pietre, slogan urlati a squarciagola, progetti, investimenti... ma per ora Reggio e Messina restano distanti, ma solo fisicamente. Perché nella realtà sono unite dalla storia che da sempre condividono e che ha fatto sì che Reggio fosse diversa dal resto della Calabria e Messina c'entrasse poco con il resto della Sicilia.
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Sul balcone del traghetto, con il vento carico di salsedine in faccia, mi rendo conto di quanto sia poca la distanza tra queste due regioni.
E mi ricordo la prima volta che sono arrivata a Reggio Calabria. Era Agosto del 2011, il caldo era soffocante, la Sicilia di fronte mi sembrava quasi un miraggio. 
"Vedi laggiù? Questo è u' pilune nostro e quello di fronte è u' pilune loru" mi aveva detto Paolo indicando due tralicci della corrente collegati da un cavo. Due come tanti se non fosse che univano un'isola alla terraferma.
È quella la distanza tra la Sicilia e la Calabria, più una vicinanza che una distanza.
Dal traghetto osservo i due "piluni" e sorrido per tutte le volte che abbiamo pronunciato quelle parole, insieme a "Guarda Paolo, la Sicilia!" frase che la madre di Paolo gli diceva da bambino.
Stiamo andando in Sicilia per restarci un bel po', per scoprirla, attraversarla, conoscerla e poi raccontarla. Per vedere cosa c'è oltre Messina, oltre la Sicilia che guardiamo da anni dall'altro lato dello stretto.

Non sbagliare il traghetto poteva sicuramente essere un ottimo inizio, ma ce ne siamo resi conto solo quando dopo 40 minuti a bordo, in Sicilia non eravamo ancora sbarcati.
Errore risolvibilissimo perché lo sbarco era a Tremestieri, 10km da Messina.
Che poi uno dice, 'sti errori si fanno all'estero dove magari c'è una barriera linguistica... Noi invece lì facciamo anche in Italia! Sarà perché questo capitolo siciliano ce lo vogliamo vivere con lo stesso spirito con cui scopriamo l'India, ci innamoriamo dell'Iran o ci stupiamo in Indonesia.
O forse è solo perché non abbiamo nemmeno chiesto all'imbarco quale fosse la destinazione.
Ma per una granita che sogniamo da anni, dieci km sono l'equivalente di due passi.
E così siamo tornati indietro, fino al centro di Messina e la piazza della Cattedrale, con l’orologio astronomico più grande al mondo.
Siccome ormai era mezzogiorno ne abbiamo approfittato per rimanere a guardare lo spettacolo del campanile, con il leone gigantesco che ruggisce per tre volte, seguito poi dal gallo che canta e da un carosello di statue che si muovono al ritmo lento dell'Ave Maria di Schubert.
Ha un non so ché di trash tutto questo, ma anche di profondamente poetico.
E mi piace stare a guardare le facce stranite dei turisti stranieri sbarcati dalle navi da crociera attraccate a pochi metri da quella piazza.
Al primo ruggito qualcuno ride, i bambini indicano in alto al campanile, qualcuno sussurra "that's funny" (è divertente).
Ma alla fine tutti applaudono a quello spettacolo che si ripete ogni giorno da anni.
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Ed eccoci qui, dall'altra parte dello Stretto, nella città che gli dà il nome.
Sono solo 3,1 chilometri di distanza, ma le sue correnti e i suoi vortici hanno fatto tremare i navigatori per secoli.
Noi siamo sbarcati senza troppi intoppi e ora siamo curiosi di conoscere questa terra che vive in mezzo al Mediterraneo, a metà strada tra l'Europa e l'Africa.
Un crocevia di popoli, culture e tradizioni che hanno lasciato il segno.
E mentre affondo il cucchiaino nella prima granita siciliana, con la panna artigianale e i pezzetti di mandorla, il tempo si ferma, i pensieri spariscono, il mondo mi sembra un posto meraviglioso... Questo pensiero dura però poco, giusto il tempo di mangiarsi una granita.
E mi sembra quasi di vivere una realtà distopica. Noi qui a mangiare una granita e i nostri amici in Iran a scappare dai missili.
Noi qui a gustarci una brioche morbidissima, e le famiglie di Gaza che da mesi stanno letteralmente morendo di fame perché qualcuno ha dimenticato il significato della parola "umanità".
Mi sembra tutto così assurdo, insensato, folle.
Nemmeno la più deliziosa delle granite oggi, riuscirà a togliermi l'amaro che ho in bocca.
Angela (e Paolo)
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