Da Leccoonline al racconto della guerra da Israele: Anna Airoldi tra Tel Aviv e la Cisgiordania, tra case centrate dai missili e bruciate dai coloni

“Mi piacerebbe diventare inviata di guerra”. Così aveva detto presentandosi per un primo, informale, colloquio, da studentessa universitaria che, per approcciare il mondo del giornalismo, aveva inviato la sua candidatura a Leccoonline. A distanza di anni (pochi) e con un ulteriore titolo accademico in tasca, conseguito dopo aver partecipato ad un corso internazionale, ritroviamo Anna Airoldi, valmadrerese, classe 1997, a Tel Aviv, di fatto in prima linea nei giorni della rappresaglia iraniana dopo l'attacco israeliano. Giornalista pubblicista dal 2021, già intervistatrice per il programma tv Piazza Pulita nell'ultima stagione appena terminata, la collega è al seguito di Francesca Mannocchi, inviata de La Stampa e a sua volta collaboratrice free lance per La 7.
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Anna Airoldi

“Siamo partite da Roma domenica 15” -  a due giorni quindi dal primo bombardamento ordinato da Benjamin Netanyahu su siti nucleari, giacimenti di gas e edifici residenziali -  racconta da Ebron, dove si trova attualmente, dopo oltre una settimana trascorsa a Tel Aviv, città raggiunta compiendo quello che definisce un vero e proprio “viaggio della speranza”. Dalla Capitale, essendo ormai chiuso lo spazio aereo israeliano, hanno dovuto prendere un volo per il Cairo e da lì un altro per Sharm el Sheik da dove un autista le ha condotte a Taba, più vicina al confine con l'ingresso dunque dalla penisola del Sinai per giungere nella giornata di lunedì a destinazione. Rimarranno, probabilmente – perché al momento non hanno un biglietto di rientro – fino a questo fine settimana. “Usciremo forse dalla Giordania – spiega – perché seppur ora, dopo la tregua, lo spazio aereo è stato riaperto ed i voli sono ripresi da ieri, ci sono tutte le richieste accumulate da smaltire e non risultano posti liberi fino ai primi di luglio”. 
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Durante una delle interviste effettuate in questi giorni

Nel frattempo Francesca Mannocchi, oltre a raccontare la cronaca “spiccia” della situazione in città sulle colonne del suo giornale, ha collezionato anche diverse interviste. Ed Anna con lei. “Abbiamo incontrato un ex generale dei servizi segreti come pure un ostaggio liberato solo a febbraio dopo essere stato fatto prigioniero il 7 ottobre”. Fatica, la valmadrerese, per trovare la parola giusta per descrivere la conversazione avuta con quest'ultimo, rilasciato su pressione della Casa Bianca, avendo anche passaporto statunitense, nell'ambito delle trattative con Hamas. “Ho trovato una persona che avverte il peso del senso di colpa per essere stata salvata mentre altri sono ancora la. Un uomo di una immensa umanità, in grado di articolare la sofferenza e il dramma senza, appunto, perdere umanità”. 
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L'appartamento dato alle fiamme

Non è mancata nemmeno la narrazione di ciò che sta accadendo nel West Bank, dove hanno avuto modo di visitare Eviatar, “piccolo villaggio costruito qualche tempo fa, in continua evoluzione in presenza in particolare di tante coppie con molti figli, in violazione delle leggi internazionali” spiega la giovane cronista cresciuta a Valmadrera, parlando dunque di “uno dei tanti  avamposti nella Cisgiordania occupata, dove con il sostegno del Governo – che ha approvato 22 nuovi insediamenti – si sta registrando una accelerazione dopo il 7 ottobre”. 
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Oggi, invece, come detto, lo spostamento più a sud, sempre in Cisgiordania, con l'ingresso a Ebron, “emblema dell'occupazione israeliana. Questo quello che ho percepito in poche ore dall'arrivo, al di la di quello che ho studiato, informandomi prima di partire. Abbiamo incontrato questa mattina una famiglia a cui nella notte è stato bruciato da un colono l'appartamento. Si sono salvati tutti perché dormivano in un'altra stanza ma la cucina è andata distrutta”. 
Anche solo entrare in città è stata una via crucis. “Abbiamo impiegato quasi due ore per percorrere una decina di chilometri. Ci sono più varchi e sono tutti controllati con check point dall'esercito israeliano che ogni giorno decide se aprire o meno, senza nessun tipo di preavviso. Chi vive lì o deve raggiungere la città non può programmare la propria vita. Tra l'altro quando è cominciata la risposta dell'Iran ai bombardamenti, gli accessi sono rimasti chiusi tre giorni consecutivi, non solo per i privati cittadini ma anche per le ambulanza: persone sono morte perché non raggiunte e soccorse”. 
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Un palazzo colpito dai missili iraniani a Tel Aviv

E nel mentre a Tel Aviv? “Gli ultimi sono stati dieci giorni inediti per Israele: il suo sistema di difesa aereo è tra i migliori al mondo, il fatto che sia stato più volte “bucato” con 28 vittime è un fatto non abituale. Abbiamo trovato una città molto vuota, solo oggi abbiamo trovato traffico andando via. La quotidianità risultava molto interrotta”. Anche perché – aggiunge ancora spiegando dell'app che anticipa le sirene, dando il tempo di raggiungere i rifugi – gli allarmi sono risuonati a qualsiasi ora del giorno e della notte: l'imprevedibilità ha spezzato per giorni ogni parvenza di ritorno alla normalità. Abbiamo visitato alcuni siti centrati dai razzi: mi hanno colpito i volti della gente che ha avuto la casa distrutta, ho visto persone scosse ma non arrabbiate. “Mi accollo che Israele combatta questa guerra” il loro pensiero. L'Iran qui, del resto, è percepito come il grande male. Un sondaggio ha stabilito che l'80% della popolazione sostiene l'intervento. Su Gaza invece il sostegno a Netanyahu è sicuramente minore anche se la percezione che ho avuto è che non ci sia tanta consapevolezza su quel che sta accadendo nella Striscia, sulle violazioni perpetrate. Ho provato profondo senso di inquietudine: Tel Aviv è una città sul mare, moderna, internazionale direi. La Striscia è a meno di un'ora d'auto. Eppure qui, c'è chi nonostante gli allarmi, stava al bar o giocava a pallavolo sulla spiaggia. Nei mesi scorsi ho intervistato, da persona esterna, medici che lavorano a Gaza e ragazzi che vivono lì: è stato straniante arrivare qui e vedere una realtà così profondamente diversa a una distanza così minima. Ma di quel che succede nella Striscia non se ne parla, Al Jazeera è stata bandita da Israele e non ho trovato un canale che mandasse in onda un servizio su quel che sta succedendo lì”.
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Arrivando a un bilancio dell'esperienza ancora in corso, Anna chiosa così: “mi porto tanta complessità da questi giorni. Ho avuto modo di parlare con persone estremamente diverse tra loro, dal colono che pensa, con una convinzione profonda, viscerare, che la Palestina debba essere tutta degli ebrei all'ex ostaggio che con la testa è ancora a Gaza e spinge affinché questo Governo cambi la sua linea politica e trovi un accordo con Hamas per la liberazione dei pochi prigionieri ancora in vita. Ho visto la sofferenza dei palestinesi che vivono una sorta di Apartheid. E' un posto del mondo che contiene complessità e sfaccettature infinite: stando qui ti accorgi di come la realtà sia molto meno in bianco e nero e quanto invece sia più a scale di grigio”.
Alice Mandelli
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