'Anche in Lombardia esiste la mafia e lo sappiamo tutti': in tanti per Dalla Chiesa e Dolci

Era gremita ieri sera la Sala Don Ticozzi - nonostante il caldo torrido smorzato solo in minima parte dal temporale del tardo pomeriggio - per il primo incontro della nuova edizione del "Progetto Legalità", che il sodalizio culturale BANG, in collaborazione con l'Associazione Nazionale Italiana Magistrati (NIM), ha deciso di lanciare a Lecco dopo un percorso decennale di successo capace di creare sul territorio tante occasioni di dibattito sui temi della legalità e della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione.
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Un esordio niente male, dunque, in termini di partecipazione, sicuramente anche per merito della fama dei due relatori, il cui confronto è stato introdotto e moderato dall'avvocato Roberto Romagnano e dal dottor Piero Calabrò: al tavolo, infatti, il professor Nando Dalla Chiesa, sociologo, scrittore e stimato docente dell'Università degli Studi di Milano, nonché secondogenito del generale dell'Arma dei Carabinieri Carlo Alberto, e la dottoressa Alessandra Dolci, Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale della città meneghina, con deleghe al coordinamento della DDA.
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Roberto Romagnano

"Antimafia in Lombardia: ieri, oggi e domani" il titolo dell'incontro, organizzato con l'intento di analizzare, da due prospettive complementari, l'evoluzione della lotta alla mafia confrontando le strategie passate, presenti e future, con un focus specifico sulla nostra regione, un territorio dove a volte "il problema non è percepito come dovrebbe - per citare l'avvocato Romagnano - e per questo richiede ancora più impegno da parte di tutti".
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Piero Calabrò

"Solo lo scorso anno in Lombardia sono state emesse 67 interdittive, la metà delle quali a Milano. Tutti noi incontriamo episodi mafiosi nella nostra vita. Se solo aprissimo gli occhi e ci trasformassimo in "sentinelle della legalità", con quel coraggio che non è eroismo, qualcosa potrebbe finalmente cambiare" ha invece sostenuto in apertura il dottor Calabrò, davanti a una platea che nelle prime file ha visto diverse autorità del territorio lecchese insieme a rappresentanti delle forze dell'ordine e del mondo giudiziario: tra questi il presidente del Tribunale Marco Tremolada, il Prefetto Sergio Pomponio, il Questore Stefania Marrazzo e il "numero uno" dell'Ordine degli Avvocati Elia Campanielli, nonché la dottoressa Chiara Stoppioni e la giudice Bianca Maria Bianchi, rispettivamente al vertice della Sottosezione dell'ANM di Lecco e della Sezione Penale, oltre al Comandante provinciale dei Carabinieri Nicola Melidonis e a quello della Guardia di Finanza Massimo Ghibaudo.
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Nando Dalla Chiesa

"Nel mio lavoro universitario con gli studenti, da cui nascono molte tesi e numerosi report di enorme utilità, noto spesso la distanza tra quella che è la percezione del fenomeno, che a volte sembra qualcosa di tanto lontano da noi, e ciò che viene vissuto realmente, anche in famiglia e specie nei piccoli paesi, ché si sa che alla fine la mafia arriva proprio lì" ha sostenuto il professor Dalla Chiesa. "A Buccinasco, per esempio, lo sapevano i bambini con chi non dovevano litigare, mentre chi governava sembrava non essere al corrente di nulla. Oppure ancora a Pontida, come emerso dalla testimonianza di una mia studentessa, era noto a tutti che il crollo di una certa casa dipendeva dal fatto che era stata costruita su di un terreno "sbagliato".
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La mafia è una questione profondamente culturale, non solo giudiziaria, che richiede coraggio come strumento di formazione dell'identità. La Lombardia è la seconda regione d'Italia per presenza di ndrangheta, presenza che si ritrova nell'economia di tutti i giorni, nelle piccole imprese e nelle multinazionali, nella logistica come nella sanità e nella scuola, con una penetrazione che passa anche e soprattutto dai mestieri più umili. E accade esattamente così pure nel lecchese e in Brianza. Dovremmo fare tutti un bagno di verità e liberarci delle costruzioni maturate nel tempo, in un lungo periodo in cui ci siamo detti che in Lombardia non c'era mafia, ma semplicemente perché non aveva le caratteristiche che ci aspettavamo e non riuscivamo a vederla nelle persone che popolano le nostre città. Ma senza consapevolezza non si può parlare di antimafia".
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Alessandra Dolci

E proprio da quest'ultimo tema ha preso le mosse l'intervento della dottoressa Alessandra Dolci, che ha esordito sostenendo che "combattere la mafia oggi significa combattere la criminalità economica, quella che si concretizza in evasione, insolvenza, fatture e crediti di imposta fittizi, che in fondo è l'unico vero collante che tiene insieme tutti".
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"Con lo spaccio di droga, per esempio, c'è un rischio maggiore di finire in galera, che seguendo questa strada sostanzialmente non esiste", le parole del Procuratore, che ha poi lanciato una sorta di provocazione andando inoltre a toccare un argomento di stretta attualità, che ha occupato le cronache a lungo negli ultimi mesi, e a lei anche particolarmente caro, da grande tifosa dell'Inter e assidua frequentatrice dello stadio di San Siro (anche con il dottor Piero Calabrò, suo collega e amico ma anche "rivale" in quanto juventino).
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"Ma c'è la volontà di combattere le mafie da parte della politica? Io sono perplessa, non la colgo, se è vero che la ndrangheta si è infiltrata persino nel mondo ultrà dei nerazzurri (così come del Milan). Durante le fasi dell'inchiesta "Doppia Curva" ci siamo domandati perché a un certo punto fosse rimasto coinvolto anche Antonio Bellocco, il rampollo di una nota famiglia di ndrangheta poi ucciso da Andrea Beretta: la risposta è stata semplice, perché c'era bisogno di protezione. E se persino in quell'ambiente prendono piede queste dinamiche, a che punto siamo arrivati? Il problema è culturale, ma così è difficile combattere queste forme di criminalità perché entrano in tutti i settori dell'economia. Ne siamo perfettamente consapevoli, dobbiamo esserlo per poterle riconoscere e fare la scelta giusta, quando e se eventualmente ci troviamo coinvolti".
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"La mafia impone una tassa alla nostra società", la chiosa del professor Dalla Chiesa. "Una conseguenza, per esempio, è la fuga di cervelli all'estero: non ci chiediamo perché non ci sono risorse per la nostra Scuola e l'Università? È evidente che ci siano interessi che drenano soldi...".
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Tanti spunti di riflessione, dunque, e un nuovo punto di partenza per la costruzione condivisa di una vera cultura della legalità, di cui tutti sappiano rendersi protagonisti. Un obiettivo ambizioso ma raggiungibile con il contributo di tanti, come auspicano gli organizzatori della nuova rassegna che promette di tornare presto con ulteriori preziosi appuntamenti.
B.P.
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