Al Lecco Film Fest “Le assaggiatrici” di Soldini: ''Film sulla brutalità del potere''
Il primo film della sesta edizione del Lecco Film Fest è stato “Le assaggiatrici”, del regista Silvio Soldini, ispirato al romanzo di Rosella Postorino. E’ la storia, come si saprà, di alcune ragazze tedesche che erano state cooptate per assaggiare i cibi prima che venissero serviti al führer Adolph Hitler per verificare che non fossero avvelenati.

Una vicenda rimasta per decenni sconosciuta e che una di quelle ragazze, Margot Wölk, aveva deciso di raccontare poco prima di morire, nel 2014, parlandone in due interviste. Ormai, era l’ultima ancora in vita delle “colleghe”.
A presentare il film, in piazza Garibaldi, c’era lo stesso regista, intervistato da Giancarlo Arnone della rivista “Il cinematografo”.

Soldini ha spiegato come in realtà l’idea di tradurre in pellicola il romanzo di Postorino sia stata dei produttori che avevano acquistato i diritti e gli proposero la regia: «L’idea di fare un film non ambientato oggi era la cosa che mi faceva più paura. Perché come spettatore, quando guardo film su episodi del passato, c’è sempre qualcosa che non mi fa credere fino in fondo. E allora, io ho voluto che questo episodio avesse un valore, attraverso il passato riflettere sul presente, un presente che certo non va a gonfie vele, che si incammina in una direzione non bella. Il mio intento era dunque quello di fare un film il più vero possibile. E’ per questo che l’ho girato in tedesco e ho scelto attrici tedesche. E’ un film su come il potere ha manipolato e sopraffatto il corpo femminile. Certo, la documentazione che c’è sono solo le due interviste del 2012 di Margot Wölk, la stessa Rosella Postorino non è riuscita a parlarci, quando è riuscita ad avere i contatti la donna era ormai già morta. E allora ha imbastito il romanzo andando di fantasia su molte cose. E il film è una rielaborazione del romanzo. Io ho cercato di raccontare la storia di ciascuna di queste donne nel giro di un anno. Mi piaceva molto il raccontare questo microcosmo».

La guerra che infuriava in Europa e lo stesso Hitler rimangono sullo sfondo, non si vedono «nemmeno nel romanzo». Come una sorta di rimozione, ha suggerito Arnone. «Io non ho mai sentito l’esigenza di rappresentare il führer. Lui era nella sua tana del lupo. L’abbiamo lasciato là».

Il film è stato girato in Val Venosta, Alto Adige, in una vecchia caserma abbandonata: «Le attrici sono arrivate due settimane prima, abbiamo cominciato a provare. Era come una piccola orchestra in cui ciascuna doveva suonare il proprio strumento. Loro dovevano rappresentare i loro personaggi. E il fatto che fossero tedesche è stato importante. La cosa bella del romanzo è che ogni personaggio ha la sua profondità: fanno cose che non ti aspetti, sono personaggi vivi».

In quanto al successo del film (450mila spettatori fino a oggi) Soldini lo ha spiegato con il romanzo che ha fatto da trampolino: «E’ un bel libro, ha avuto successo. E poi ha influito il lancio della distribuzione. Una volta, una signora mi ha avvicinato e mi ha detto che le era sembrato di essere presente con quelle ragazze. E allora significa che sono riuscito a comunicarle qualcosa di umano».

Arnone ha poi sottolineato come tra critici cinematografici si cercasse una spiegazione del motivo per cui “Le assaggiatrici” non fosse stato presentato al festival di Berlino, quando sembrava dovesse essere una presenza scontata: «Il nazismo – ha detto Soldini – è ancora una ferita profonda. E’ un periodo che ha lasciato il segno. Anche il libro, che pure è stato tradotto in quaranta lingue, non lo è stato in tedesco. Due studiosi dicono anche che non è vero niente, che è stato comprovato. Ma chissà quante assaggiatrici esistono e sono esistite. E’ un film che riguarda il potere, l’assoggettamento delle persone, la brutalità del potere. E dunque che va oltre l’episodio tedesco. In questo caso, il nazismo è solo un palcoscenico».
Silvio Soldini
Una vicenda rimasta per decenni sconosciuta e che una di quelle ragazze, Margot Wölk, aveva deciso di raccontare poco prima di morire, nel 2014, parlandone in due interviste. Ormai, era l’ultima ancora in vita delle “colleghe”.
A presentare il film, in piazza Garibaldi, c’era lo stesso regista, intervistato da Giancarlo Arnone della rivista “Il cinematografo”.
L'arrivo del regista dal lago
Soldini ha spiegato come in realtà l’idea di tradurre in pellicola il romanzo di Postorino sia stata dei produttori che avevano acquistato i diritti e gli proposero la regia: «L’idea di fare un film non ambientato oggi era la cosa che mi faceva più paura. Perché come spettatore, quando guardo film su episodi del passato, c’è sempre qualcosa che non mi fa credere fino in fondo. E allora, io ho voluto che questo episodio avesse un valore, attraverso il passato riflettere sul presente, un presente che certo non va a gonfie vele, che si incammina in una direzione non bella. Il mio intento era dunque quello di fare un film il più vero possibile. E’ per questo che l’ho girato in tedesco e ho scelto attrici tedesche. E’ un film su come il potere ha manipolato e sopraffatto il corpo femminile. Certo, la documentazione che c’è sono solo le due interviste del 2012 di Margot Wölk, la stessa Rosella Postorino non è riuscita a parlarci, quando è riuscita ad avere i contatti la donna era ormai già morta. E allora ha imbastito il romanzo andando di fantasia su molte cose. E il film è una rielaborazione del romanzo. Io ho cercato di raccontare la storia di ciascuna di queste donne nel giro di un anno. Mi piaceva molto il raccontare questo microcosmo».
La guerra che infuriava in Europa e lo stesso Hitler rimangono sullo sfondo, non si vedono «nemmeno nel romanzo». Come una sorta di rimozione, ha suggerito Arnone. «Io non ho mai sentito l’esigenza di rappresentare il führer. Lui era nella sua tana del lupo. L’abbiamo lasciato là».
Il film è stato girato in Val Venosta, Alto Adige, in una vecchia caserma abbandonata: «Le attrici sono arrivate due settimane prima, abbiamo cominciato a provare. Era come una piccola orchestra in cui ciascuna doveva suonare il proprio strumento. Loro dovevano rappresentare i loro personaggi. E il fatto che fossero tedesche è stato importante. La cosa bella del romanzo è che ogni personaggio ha la sua profondità: fanno cose che non ti aspetti, sono personaggi vivi».
In quanto al successo del film (450mila spettatori fino a oggi) Soldini lo ha spiegato con il romanzo che ha fatto da trampolino: «E’ un bel libro, ha avuto successo. E poi ha influito il lancio della distribuzione. Una volta, una signora mi ha avvicinato e mi ha detto che le era sembrato di essere presente con quelle ragazze. E allora significa che sono riuscito a comunicarle qualcosa di umano».
Arnone ha poi sottolineato come tra critici cinematografici si cercasse una spiegazione del motivo per cui “Le assaggiatrici” non fosse stato presentato al festival di Berlino, quando sembrava dovesse essere una presenza scontata: «Il nazismo – ha detto Soldini – è ancora una ferita profonda. E’ un periodo che ha lasciato il segno. Anche il libro, che pure è stato tradotto in quaranta lingue, non lo è stato in tedesco. Due studiosi dicono anche che non è vero niente, che è stato comprovato. Ma chissà quante assaggiatrici esistono e sono esistite. E’ un film che riguarda il potere, l’assoggettamento delle persone, la brutalità del potere. E dunque che va oltre l’episodio tedesco. In questo caso, il nazismo è solo un palcoscenico».
D.C.