Cristina Cattaneo e la sua battaglia per i morti senza nome al Lecco Film Fest

I naufraghi senza volto di Cristina Cattaneo al centro della mattinata di oggi, 4 luglio, della sesta edizione del Lecco Film Fest.
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Cattaneo è docente di medicina legale e di antropologia all’Università statale di Milano e dirige il Labanof e cioè il Laboratorio di antropologia e odontologia foresnse, nonché il Museo di scienze antropologiche, mediche e forensi per i diritti umani. E’ conosciuta per la battaglia che conduce da anni affinché ai corpi dei migranti che annegano nel Mediterraneo possano essere restituiti un nome e quindi un’identità così da poter essere riconsegnati ai parenti.
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Proprio su questo argomento nel 2018 pubblicò un libro (appunto “Naufraghi senza volto”) diventato una lettura teatrale grazie a Renato Sarti e Laura Curino, ma anche un docufilm, “Sconosciuti pure”,  realizzato da Valentina Cicogna e Mattia Colombo che in questi anni hanno seguito da vicino l’attività da Labanof, affiancando la stessa Cattaneo nella sua attività quotidiana, perché potesse diventare «la cronaca di una battaglia». Di un gruppo di lavoro che la docente ha definito di persone «timidamente tenaci» e che in questi anni ha sollecitato l’autorità politica a partire dal Parlamento europeo a impegnarsi sul temsa di morti senza nome. In particolare, di quelli di serie B: «Sono gli ultimi, nessuno si impegna a cercarne i parenti, a effettuare riconoscimenti. I morti in mare e non solo: ogni anno a Milano vengono sepolte quattro persone senza nome, a Parigi sono 40: si tratta di persone che vivono ai margini della società e dei quali non ci si cura da vivi nemmeno da morti. Al contrario, c’è una categoria di privilegiati, che siamo poi noi stessi, per i quali la mobilitazione è più massiccia».
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Il docufilm è stato proiettato al cinema “Nuovo Aquilone” con l’intervento della stessa Cattaneo e di Mattia Colombo, intervistati da Federico Pontiggia (critico della rivista “Il cinematografo”).
Pontiggia ha parlato di un’attività che ha legami con la tragedia greca: il dare un nome alle cose, il dare un nome ai morti per i vivi.
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Da parte sua, Colombo ha spiegato come inizialmente non capisse se non in maniera superficiale perché fosse così importante questa battaglia che si traduce nella dignità di morire con un nome e un cognome.
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Cristina Cattaneo ha spiegato come svolga il lavoro di medico legale da ormai trent’anni: «Inizialmente pensavo al lavoro scientifico. Trovi delle ossa in un bosco e cerchi di sapere a chi appartengano. Ma non ti sembrava normale che i famigliari ti ringraziassero quando era riuscita ad arrivare a una identificazione. Ci sono due risvolti: uno è quello patologico e l’altro amministrativo. Dal punto di vista patologico, per i famigliari di una persona scomparsa che non si se sia viva o morta è come vivere in un limbo e ciò appunto provoca depressioni, problemi di salute... Da quello amministrativo, invece, è importante l’esistenza di un certificato di morte di una persona. Senza di quello i figli piccoli, magari confinati in qualche campo, non sono adottabili, senza quello una vedova non può oltrepassare un confine con i suoi figli perché sarebbe sottrazione di minori a danno del padre»
Pontiggia ha ricordato come Cattaneo si sia occupata anche dei casi di Stefano Cucchi, Erica Claps e Yara Gambirasio, per poi evidenziare come di fronte a certi casi di cronaca scattino meccanismi morbosi inarrestabili, mentre i morti senza nome non fanno appunto notizia.
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«La morbosità c’è – l’osservazione di Cattaneo – perché la morte interessa, ha sempre interessato ed è giusto che sia così, ma andrebbe guardata con rispetto. Certamente c’è una discrimazione, ci sono categorie differenti. Quando una giovane donna viene sgozzata si fa di tutto per arrivare all’assassino, ma quando trovi un cadavere per strada magari di una prostituta albanese non saranno usate le stesse forze. E se questo documentario si fosse occupato di un caso eclatante di cronaca, ci sarebbe stata la coda fuori».
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E in effetti la sala del “Nuovo Aquilone” non certo gremita, un’ottantina di persone «che sono comunque un buon numero» ha chiosato la docente. 
Le ha fatto poi eco la direttrice del festival Angela D’Arrigo dicendosi soddisfatta della partecipazione, essendo comunque la mattinata di un giorno feriale.
«Coniugare la morte alla restituzione di un’identità – ha proseguito Cattaneo – è anche restituire serenità ai vivi. I morti ci tutelano contro le brutte abitudini, ci possono far raddrizzare il tiro, ma non li ascoltiamo abbastanza»
Nel film, i morti non si vedono – come ha sottolineato Colombo – per un iniziale diniego «e ciò ci ha aiutato a lavorare fuori campo. Ho avuto modo di vedere tutto attraverso il lavoro del Labanof, un lavoro che è lanciato verso una speranza, verso la possibilità di dare una risposta. Diventa una storia universale. Occorre smettere di pensare a quei morti in mare come semplici numeri».
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E naturalmente un invito alla politica ad abbandonare toni ideologici. E proprio su questo aspetto, Pontiggia ha chiesto a Cattaneo cosa sia cambiato dal 2022, quando parlò ufficialmente al Parlamento europeo sollecitandolo a farsi carico del problema.
«Qualcosa si sta muovendo – la risposta – anche se è continua a essere difficile, ma vedo abbattersi confini tra le varie organizzazione. Vedo per esempio collaborare la Croce rossa internazionale con l’Interpool. E bisogna pensare anche al livello italiana. Siamo fortunati di poter contare sulle senatrici a vita Elena Cattaneo e Liliana Segre, ma anche sulla nostra Costituzione. Vorremmo cambiare la legge attuale: inserirvi l’articolo che tutti i morti trovati sul territorio e in acque italiane debbono essere trattati nello sosttesso modo. Qualcuno vorrebbe aggiungervi anche “in acque internazionale”, ma credo che questo sarà cancellato. Bisogna anche dire che questa non è una battaglia come quella sull’accoglienza che tante polemiche genera ogni giorni. I morti non interessano a nessuno e perciò si riesce a lavorare più sotto traccia e dialogare anche con persone che sull’accoglienza hanno idee differenti.»
D.C.
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