In viaggio a tempo indeterminato/387: Scicli, barocco e ricotta

"Montalbano sono" ammetto che questa è l'unica cosa che conosco del James Bond italico.
Non ho mai visto una puntata in TV o letto le avventure di questo commissario siciliano.
Mia mamma invece, la fiction l'ha vista tutta (pisolini inclusi) e quando una domenica pomeriggio al telefono alla domanda "dove siete?" ho risposto "a Scicli, dove c'è il commissariato di Montalbano" lei si è emozionata.
"Bellissimo! Vai a vedere anche la casa affacciata sul mare".
Noi però a Scicli eravamo andati per un altro motivo, anzi due.
Il primo è il barocco. Lo stile pomposo, ridondante, arzigogolato che caratterizza questa parte della Sicilia.
La colpa di tutte queste curve e drappeggi vaporosi è di un terremoto, il più forte di tutta la storia dell'Italia.
Era il 1693 e una violenta scossa cambiò per sempre la storia della zona sud est della Sicilia.
7.31 la magnitudo, l'evento sismico provocò la distruzione totale di oltre 45 centri abitati.
Ma si decise che la ricostruzione dei palazzi e delle chiese fosse fatta seguendo un preciso stile, quello barocco appunto.
Il risultato fu un capolavoro che per fortuna noi ancora oggi possiamo apprezzare.

I centri storici di Scicli, Modica, Noto, Ragusa, ma anche Catania e Caltagirone oggi sono un'opera d'arte a cielo aperto.
Sembra di camminare tra giganteschi castelli di sabbia dorata costruiti da sapienti architetti che non si sono risparmiati nei dettagli e nelle stranezze.
Ci sono facciate curve, colonne torte, finestre, statue. Nei dettagli ci si può perdere per ore. Lo sguardo corre da una rifinitura all'altra e la testa gira in questo vortice di bellezza.
La cosa che mi affascina più di tutte però, è il progetto in sé.
Dopo un evento che ha portato distruzione e macerie, si è deciso di ricostruire con un unico obiettivo: creare qualcosa che fosse più bello di quello che il terremoto aveva spazzato via.
Architetti e artisti da tutta Italia hanno partecipato a questo ambizioso progetto.
È come se 300 anni fa fossero convinti che solo la meraviglia potesse vincere sulla devastazione.
“La bellezza salverà il mondo” scriveva Dostoevskij e nelle città della Valle di Noto questo concetto è stato applicato alla lettera.
E oggi, dopo poco più di tre secoli, mi voglio attaccare anche io a questa stessa frase e sono convinta che sarà solo la bellezza a salvarci. La bellezza non decorativa ma interiore.
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Ma c'è un altro motivo per cui siamo venuti a Scicli e se avessimo saputo come sarebbe andata a finire, probabilmente avremmo anche evitato.
Ma siccome con i se e con i ma non si fa la storia, eccoci seduti fuori da una pasticceria con una enorme "testa di turco" in mano.
A vederla sembra così soffice leggera. Pare quasi una nuvola. Eppure ha un peso specifico non indifferente in contrasto con la sua apparenza leggiadra ma in linea con il suo macabro nome.
In Sicilia, ma in Italia in generale, tutto passa attraverso il cibo. La cultura culinaria di questo Paese è qualcosa che andrebbe studiato in modo approfondito. È incredibile come, in così pochi km, si possa trovare una varietà di pietanze tale.
Quello culinario è un patrimonio ricco e complesso, che riflette la storia, la geografia, le tradizioni e le influenze culturali del Paese. Ma a fare davvero la differenza è la passione.
Un sentimento così forte e profondo da pervadere ogni aspetto della vita quotidiana.
Ieri, scorrendo le notizie, una frase mi è saltata all'occhio e l'ha pronunciata Hamilton il pilota della Ferrari. "A volte vado nel garage per parlare con i miei meccanici e chiedo: "Dove sono finiti tutti?". "Sono a pranzo". Penso che sia l'unico team a farlo"
Perché il pasto in Italia è sacro.
Ammetto che proprio mentre scrivevo la parola "sacro" mi è venuto in mente che anche nella religione cristiana il cibo ha un ruolo fondamentale. Come non pensare all'ultima cena o al fatto che durante la messa si "mangia" l'ostia consacrata, che rappresenta il corpo di Cristo.
Ma torniamo alla "testa di turco" il dolce tipico di Scicli.
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Somiglia ad un bignè ma guai a dirlo a un siciliano perché l’impasto è diverso.
Innanzitutto manca il burro sostituito dallo strutto che si sa è molto più leggero!
Gli altri ingredienti sono farina, (tante, tante, tante) uova, un po’ d’acqua e un pizzico di sale. Questo impasto estremamente non dietetico,  cotto al forno assumerà la forma di un turbante, da cui deriva poi il nome del dolce.
Ovviamente non poteva finire qui perché il turbante viene riempito con una quantità di ricotta di pecora che farebbe impallidire chiunque.
Persino Paolo, famoso per il suo appetito, è rimasto sconvolto dalle dimensione di questa golosità.
Questo bignè non bignè, è il dolce dei vinti e la sua origine è legata ad un evento storico.
Gli sciclitani e i Normanni guidati da Ruggero D’Altavilla avrebbero scacciato gli invasori solo grazie all’intervento della Madonna, oggi patrona della città. Secondo la tradizione, dopo la tentata invasione i turchi ritornarono a casa e prepararono un dolce a forma di turbante ripieno di ricotta.
Era un gesto di resa, che entrò a far parte della cultura culinaria della città.
Ancora una volta eventi storici e cucina vanno di pari passo.
Tutto bellissimo, tutto poetico, tutto buonissimo...
peccato che quella quantità disumana di ricotta abbia effetti collaterali importanti ( e non aggiungo altri dettagli poco poetici!).
Angela (e Paolo)
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