Lecco: uno specializzando... in Africa. Il dottor Ghislanzoni in Mozambico. 'Non si viene qui per salvare qualcuno ma per...'
“La Medicina è sempre stata la mia vocazione, nel senso etimologico del termine. Dico sempre che è una cosa molto difficile da spiegare, ma che tutti, in qualche modo, sappiamo cosa significhi sentire delle chiamate nella nostra vita, e per me quella della Medicina è sempre stata chiara e speciale; non ho mai pensato di fare altro, non ho alcun rimpianto della mia scelta e la consiglierei a chiunque volesse provare ad intraprendere questo percorso formativo e professionale (è vero che ci sono moltissime difficoltà, sempre più chiare agli occhi dell’opinione pubblica, ma questo resta il lavoro più bello del mondo!)”.

Stefano Ghislanzoni, 35enne nato e cresciuto a Lecco, con casa dal 2018 ad Abbadia Lariana, voleva essere dottore e dottore lo è diventato davvero. Conseguita la laurea, ora è Specializzando in Medicina di Emergenza-Urgenza all’Università degli Studi di Milano e lavora al Pronto Soccorso dell'Ospedale Manzoni di Lecco prestando altresì servizio in Auto-Medica.
Orgoglioso e legato alle sue radici lariane – ha sempre partecipato alla vita della città, tra scuola, sport, scoutismo e socialità – attualmente si trova in Mozambico nell'ambito di un progetto di cooperazione internazionale. E' partito il 27 aprile e rientrerà solo il 25 ottobre, dopo 6 mesi a Beira, una delle città più grandi del Paese: conta 530.000 abitanti ufficiali ma probabilmente raggiunge i 750.000, considerando le persone non registrate. Si trova lungo la costa, a poche ore di aereo a nord rispetto alla capitale, Maputo. Beira sta ancora cercando di superare i danni provocati dal ciclone “Idai” nel 2019, evento che rimane ancora vivissimo nei ricordi della popolazione.
“Il Mozambico – spiega il dottor Ghislanzoni - è uno dei Paesi più poveri dell’Africa Subsahariana (nella classifica mondiale del PIL si trova alla 178^ posizione su 181, l’Italia alla 28^). La sua popolazione è estremamente giovane e prevalentemente rurale (45,2% di persone sotto i 15 anni, rispetto ai 12,5% dell’Italia). Il tasso di natalità è elevato (ogni donna ha in media 4,9 figli), nonostante questo rimane gravato da una elevatissima mortalità materna ed infantile, ben lontana dagli obiettivi internazionali, e da un’aspettativa di vita di 56 anni”.
Come mai ha scelto di partire e perché proprio con CUAMM?
È la prima volta che lavoro nel campo della Cooperazione internazionale. Ho sempre avuto il desiderio di partire per l’Africa, ma ho sempre avuto la convinzione di voler essere pronto per poter fare qualcosa di concreto, di portare competenze pratiche e tangibili, cosa non molto possibile quando si è studente di Medicina o appena dopo la laurea.
“Medici con l’Africa CUAMM” è una ONLUS fondata a Padova, nata con l’obiettivo di lavorare nel campo della cooperazione e della salute non “per", ma insieme (“con”) alla popolazione africana, per partecipare allo sviluppo di paesi appartenenti ad un continente tanto bello, quanto dimenticato. Presto questa associazione si è diffusa un po’ in tutta Italia, in particolare nelle regioni del nord, ed a Lecco è presente una sezione da molti anni, con la quale sono entrato in contatto tramite conoscenze familiari, fin da bambino.
CUAMM propone per medici specializzandi il programma “JPO - Junior Project Officer” il quale, in accordo con le università di appartenenza dei Medici, prevede un progetto di lavoro di 6 mesi in uno dei paesi africani con i quali l’associazione collabora. Così mi sono candidato, ho partecipato alla formazione a Padova ed ho atteso la chiamata per la partenza.

Ha scelto lei il Mozambico come destinazione o è stato assegnato?
Esistono numerosi progetti che CUAMM porta avanti in Africa. In base alle competenze ed alla specializzazione di noi medici, ci viene proposta una destinazione. Inizialmente io sarei potuto essere destinato alla Sierra Leone, al Sud Sudan o all’Etiopia. Alla fine del 2024, tuttavia, si è aperta questa possibilità in Mozambico. Sono stato contattato la settimana prima di Natale dalle risorse umane, mi hanno proposto Beira ed io non ho aspettato un istante a dare conferma! Tempo di preparare tutti i documenti, in italiano e portoghese, ricevere i visti e timbri (vi assicuro, la burocrazia è qualcosa di surreale), e sono partito.
Che situazione ha trovato al suo arrivo? Di cosa si sta occupando?
A Beira io collaboro nello sviluppo, essenzialmente, di due progetti: il primo (PROTECT) mi permette di lavorare in Pronto Soccorso Pediatrico dell’Ospedale Centrale, il secondo (UR-BEIRA) mi consente di lavorare nella Centrale Operativa di Emergenza ed a bordo delle ambulanze della città, servizio, quest’ultimo, costruito da CUAMM a partire dal 2022. Collateralmente, lavoro, quindi, anche in Pronto Soccorso Adulti ed in Rianimazione.
Beira è una realtà particolare rispetto all’immaginario che si può avere dell’Africa. Si può descrivere come una classica città grande africana, che accoglie popolazione di tutte le classi sociali e che offre diverse possibilità. Tutto sommato è una realtà sicura e la popolazione mozambicana è fantastica, gentile ed orgogliosa del proprio Paese, con una grandissima voglia di rivalsa e di sviluppo, molto diversa, forse, dalle realtà rurali circostanti.
Come interagisce con i colleghi locali e gli assistiti?
La lingua ufficiale è il portoghese (il Mozambico è una ex colonia, che ha ottenuto l’indipendenza nel 1975), in città è parlato praticamente da tutti, nei centri di salute periferici, invece, prevalgono i dialetti locali, ma qualcuno che traduce in portoghese c’è sempre. Una volta ricevuta la destinazione, in Italia, ho studiato la lingua. Essendo simile all’italiano ed al francese, che già conosco, non è stato difficile capirla; lo scoglio più grande è stato iniziare a parlarla, ma quando ti trovi in un Paese straniero, come sempre, ci vuole meno tempo del previsto ad impratichirsi.
Come dicevo, i Mozambicani sono un popolo gentile ed aperto, perciò anche la collaborazione con colleghi del luogo e con le persone incontrate è sempre positiva ed arricchente. Qui a Beira, inoltre, sono presenti tanti italiani e stranieri, sia del CUAMM, sia appartenenti ad altre associazioni come MSF ed UNICEF. Essendo il Mozambico una repubblica nata con una forte influenza comunista, grazie a storici accordi internazionali, in tutto il Paese, quindi anche qui a Beira, sono presenti moltissime persone di nazionalità Cinese e Cubana, che lavorano anche come medici ed infermieri in ospedale.

E' lì ormai da più di due mesi: che sensazioni le sta dando questa esperienza?
Se devo rispondere brevemente a questa domanda, posso dire con assoluta certezza che l’esperienza è assolutamente positiva. Dopo un fisiologico adattamento iniziale, non è mai facile calarsi in un contesto completamente nuovo e diverso dal nostro, quando si prende il ritmo, la quotidianità diventa travolgente e coinvolgente. Ci si accorge subito di quanto siano molte più le similitudini tra lo stile di vita mozambicano e quello occidentale. Essendo una città grande si riesce, inoltre, a conciliare la vita lavorativa con quella privata e sociale.
Dal punto di vista professionale, invece, il lavoro è molto duro e molto spesso sconvolgente. Qui posso imbattermi in patologie da noi rare o sconosciute; inoltre mancano moltissime cose, sia materiale medico-sanitario, sia formazione e consapevolezza. Il sistema sanitario è molto fragile e la cultura sanitaria ancora molto rurale e legata alla medicina tradizionale ed agli stigmi sociali dell’AIDS, della malaria e di tutte le patologie associate. La morte è una costante per grandi e piccini, spesso non si può fare nulla, non è possibile comportarsi come in occidente, si può soltanto condividere con familiari e colleghi un destino amaro e frustrante. Ormai mi è chiaro che non si viene in Africa per salvare qualcuno, si viene in Africa per condividere un’umanità molto profonda e per riportarsela nel proprio paese d’origine, pronti a tornare nel continente nero ogniqualvolta ce ne si dimentica.
Per concludere, ho capito che la cooperazione internazionale potrà far parte della mia vita professionale anche in futuro.
Per chi volesse seguire il dottor Ghislanzoni, dall'Africa sta pubblicando un suo diario sul blog "BeiraNoise”

In primo piano il dottor Stefano Ghislanzoni
Stefano Ghislanzoni, 35enne nato e cresciuto a Lecco, con casa dal 2018 ad Abbadia Lariana, voleva essere dottore e dottore lo è diventato davvero. Conseguita la laurea, ora è Specializzando in Medicina di Emergenza-Urgenza all’Università degli Studi di Milano e lavora al Pronto Soccorso dell'Ospedale Manzoni di Lecco prestando altresì servizio in Auto-Medica.
Orgoglioso e legato alle sue radici lariane – ha sempre partecipato alla vita della città, tra scuola, sport, scoutismo e socialità – attualmente si trova in Mozambico nell'ambito di un progetto di cooperazione internazionale. E' partito il 27 aprile e rientrerà solo il 25 ottobre, dopo 6 mesi a Beira, una delle città più grandi del Paese: conta 530.000 abitanti ufficiali ma probabilmente raggiunge i 750.000, considerando le persone non registrate. Si trova lungo la costa, a poche ore di aereo a nord rispetto alla capitale, Maputo. Beira sta ancora cercando di superare i danni provocati dal ciclone “Idai” nel 2019, evento che rimane ancora vivissimo nei ricordi della popolazione.
“Il Mozambico – spiega il dottor Ghislanzoni - è uno dei Paesi più poveri dell’Africa Subsahariana (nella classifica mondiale del PIL si trova alla 178^ posizione su 181, l’Italia alla 28^). La sua popolazione è estremamente giovane e prevalentemente rurale (45,2% di persone sotto i 15 anni, rispetto ai 12,5% dell’Italia). Il tasso di natalità è elevato (ogni donna ha in media 4,9 figli), nonostante questo rimane gravato da una elevatissima mortalità materna ed infantile, ben lontana dagli obiettivi internazionali, e da un’aspettativa di vita di 56 anni”.
Come mai ha scelto di partire e perché proprio con CUAMM?
È la prima volta che lavoro nel campo della Cooperazione internazionale. Ho sempre avuto il desiderio di partire per l’Africa, ma ho sempre avuto la convinzione di voler essere pronto per poter fare qualcosa di concreto, di portare competenze pratiche e tangibili, cosa non molto possibile quando si è studente di Medicina o appena dopo la laurea.
“Medici con l’Africa CUAMM” è una ONLUS fondata a Padova, nata con l’obiettivo di lavorare nel campo della cooperazione e della salute non “per", ma insieme (“con”) alla popolazione africana, per partecipare allo sviluppo di paesi appartenenti ad un continente tanto bello, quanto dimenticato. Presto questa associazione si è diffusa un po’ in tutta Italia, in particolare nelle regioni del nord, ed a Lecco è presente una sezione da molti anni, con la quale sono entrato in contatto tramite conoscenze familiari, fin da bambino.
CUAMM propone per medici specializzandi il programma “JPO - Junior Project Officer” il quale, in accordo con le università di appartenenza dei Medici, prevede un progetto di lavoro di 6 mesi in uno dei paesi africani con i quali l’associazione collabora. Così mi sono candidato, ho partecipato alla formazione a Padova ed ho atteso la chiamata per la partenza.

Ha scelto lei il Mozambico come destinazione o è stato assegnato?
Esistono numerosi progetti che CUAMM porta avanti in Africa. In base alle competenze ed alla specializzazione di noi medici, ci viene proposta una destinazione. Inizialmente io sarei potuto essere destinato alla Sierra Leone, al Sud Sudan o all’Etiopia. Alla fine del 2024, tuttavia, si è aperta questa possibilità in Mozambico. Sono stato contattato la settimana prima di Natale dalle risorse umane, mi hanno proposto Beira ed io non ho aspettato un istante a dare conferma! Tempo di preparare tutti i documenti, in italiano e portoghese, ricevere i visti e timbri (vi assicuro, la burocrazia è qualcosa di surreale), e sono partito.

A Beira io collaboro nello sviluppo, essenzialmente, di due progetti: il primo (PROTECT) mi permette di lavorare in Pronto Soccorso Pediatrico dell’Ospedale Centrale, il secondo (UR-BEIRA) mi consente di lavorare nella Centrale Operativa di Emergenza ed a bordo delle ambulanze della città, servizio, quest’ultimo, costruito da CUAMM a partire dal 2022. Collateralmente, lavoro, quindi, anche in Pronto Soccorso Adulti ed in Rianimazione.
Beira è una realtà particolare rispetto all’immaginario che si può avere dell’Africa. Si può descrivere come una classica città grande africana, che accoglie popolazione di tutte le classi sociali e che offre diverse possibilità. Tutto sommato è una realtà sicura e la popolazione mozambicana è fantastica, gentile ed orgogliosa del proprio Paese, con una grandissima voglia di rivalsa e di sviluppo, molto diversa, forse, dalle realtà rurali circostanti.

La lingua ufficiale è il portoghese (il Mozambico è una ex colonia, che ha ottenuto l’indipendenza nel 1975), in città è parlato praticamente da tutti, nei centri di salute periferici, invece, prevalgono i dialetti locali, ma qualcuno che traduce in portoghese c’è sempre. Una volta ricevuta la destinazione, in Italia, ho studiato la lingua. Essendo simile all’italiano ed al francese, che già conosco, non è stato difficile capirla; lo scoglio più grande è stato iniziare a parlarla, ma quando ti trovi in un Paese straniero, come sempre, ci vuole meno tempo del previsto ad impratichirsi.
Come dicevo, i Mozambicani sono un popolo gentile ed aperto, perciò anche la collaborazione con colleghi del luogo e con le persone incontrate è sempre positiva ed arricchente. Qui a Beira, inoltre, sono presenti tanti italiani e stranieri, sia del CUAMM, sia appartenenti ad altre associazioni come MSF ed UNICEF. Essendo il Mozambico una repubblica nata con una forte influenza comunista, grazie a storici accordi internazionali, in tutto il Paese, quindi anche qui a Beira, sono presenti moltissime persone di nazionalità Cinese e Cubana, che lavorano anche come medici ed infermieri in ospedale.

E' lì ormai da più di due mesi: che sensazioni le sta dando questa esperienza?
Se devo rispondere brevemente a questa domanda, posso dire con assoluta certezza che l’esperienza è assolutamente positiva. Dopo un fisiologico adattamento iniziale, non è mai facile calarsi in un contesto completamente nuovo e diverso dal nostro, quando si prende il ritmo, la quotidianità diventa travolgente e coinvolgente. Ci si accorge subito di quanto siano molte più le similitudini tra lo stile di vita mozambicano e quello occidentale. Essendo una città grande si riesce, inoltre, a conciliare la vita lavorativa con quella privata e sociale.
Dal punto di vista professionale, invece, il lavoro è molto duro e molto spesso sconvolgente. Qui posso imbattermi in patologie da noi rare o sconosciute; inoltre mancano moltissime cose, sia materiale medico-sanitario, sia formazione e consapevolezza. Il sistema sanitario è molto fragile e la cultura sanitaria ancora molto rurale e legata alla medicina tradizionale ed agli stigmi sociali dell’AIDS, della malaria e di tutte le patologie associate. La morte è una costante per grandi e piccini, spesso non si può fare nulla, non è possibile comportarsi come in occidente, si può soltanto condividere con familiari e colleghi un destino amaro e frustrante. Ormai mi è chiaro che non si viene in Africa per salvare qualcuno, si viene in Africa per condividere un’umanità molto profonda e per riportarsela nel proprio paese d’origine, pronti a tornare nel continente nero ogniqualvolta ce ne si dimentica.
Per concludere, ho capito che la cooperazione internazionale potrà far parte della mia vita professionale anche in futuro.
Per chi volesse seguire il dottor Ghislanzoni, dall'Africa sta pubblicando un suo diario sul blog "BeiraNoise”
A.M.