Cassonetti gialli 'sigillati' fino al 24. Dietro la decisione la crisi del settore
Un cartello semplice ma emblematico è comparso in questi giorni su decine di cassonetti gialli per la raccolta di abiti usati in molti comuni della provincia di Lecco: “Servizio sospeso dal 1° al 24 agosto”. A gestire quei contenitori è la Cooperativa Sociale Padre Daniele Badiali, realtà attiva da 25 anni nel settore del riuso tessile. Ma non si tratta di una chiusura per ferie. Dietro questa pausa forzata si cela una crisi profonda e strutturale che investe l’intera filiera del riuso e riciclo degli indumenti.

“La chiusura non è per ferie" conferma Maria Rosa Manca, responsabile della cooperativa. "È una conseguenza della crisi che stiamo affrontando ormai da due anni. Siamo solo una parte della filiera, noi ci occupiamo della raccolta. Ma se gli impianti sono saturi, se non ci sono sbocchi per il materiale e se i canali sono fermi, noi non possiamo andare oltre i quantitativi autorizzati. Ci siamo fermati per non compromettere la nostra operatività futura”.
Una decisione sofferta, che arriva dopo anni di continuità del servizio – garantito anche durante il periodo pandemico – e che riflette una crisi internazionale del settore, già evidente in paesi come Francia, Germania e Belgio. Ma cosa sta succedendo davvero?
Negli ultimi anni, il modello economico del riuso tessile si è trovato stritolato tra aumento dei volumi, crollo della qualità e saturazione degli sbocchi commerciali. A confermarlo è Giuseppe Finocchiaro, presidente di Retessile, rete nazionale di cooperative sociali di inserimento lavorativo di tipo B specializzate nella raccolta, selezione e valorizzazione dei rifiuti tessili, e coordinatore della Rete Riuse, oltre che responsabile tecnico commerciale di Vesti Solidale: “Stiamo attraversando una vera e propria transizione da un modello economico e ambientale a un altro, forzata da diversi fattori. Il mercato è stato travolto dal fast fashion, che immette capi a bassissimo costo e scarsa durabilità, rendendo il materiale raccolto quasi inutilizzabile. Da novembre 2023 stiamo vivendo questa situazione e il prezzo del materiale usato ha perso fino a 200 euro a tonnellata”.

A questo si aggiunge il peso delle crisi geopolitiche – come la guerra in Ucraina – che hanno chiuso interi mercati di sbocco (Europa dell’Est, Africa), e l’aumento esponenziale dei costi di smaltimento, aggravato da una qualità sempre più bassa dei vestiti conferiti. A causa di questi fattori, il valore della frazione riutilizzabile è crollato fino al 70% rispetto ai livelli pre-2020 con effetti sull’intera filiera.
Le frazioni non idonee al riutilizzo – che oggi possono superare anche il 50% del totale raccolto a causa del crollo qualitativo del materiale – sono ancora più problematiche poiché la loro destinazione è lo smaltimento, a costi elevatissimi e con strutture insufficienti.
Secondo un'analisi congiunta di contesto del settore della gestione dei rifiuti tessili e un’analisi economica della filiera di Assorecuperi, ANIIU, ARIU e Retessile, la sostenibilità economica del sistema sta crollando, poiché in assenza di un’adeguata rete impiantistica nazionale per il riciclo tessile, attualmente del tutto insufficiente, e senza un sistema di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) si determina l’impossibilità di trattare le frazioni non riutilizzabili in tempi sostenibili; la saturazione degli stoccaggi, con il concreto rischio di dover interrompere le attività di trattamento con ripercussioni dirette sugli operatori della raccolta; un ulteriore aggravio economico per i selezionatori, che in assenza di adeguati sbocchi di riciclo devono sostenere costi crescenti per la termovalorizzazione.

“Se non riceviamo aiuti, rischiamo di fermarci" sottolinea ancora Maria Rosa Manca della cooperativa Padre Badiali. "Abbiamo chiesto sostegno sia al Governo che alla Regione Lombardia attraverso i nostri portavoce. Anche uno dei nostri impianti di riferimento, quello di Rho gestito da Vesti Solidale, è in difficoltà”.
Il rischio in questo caso non è solo operativo, ma anche sociale. Quasi tutte le realtà coinvolte sono infatti cooperative che reinvestono parte degli introiti in progetti per senzatetto, migranti e persone in difficoltà. Come Rete Riuse, che tra le varie cooperative che racchiude conta solo nel settore tessile 130 lavoratori e storicamente devolve tra il 10% e il 20% dei ricavi a iniziative solidali.
Dal 1° gennaio 2025, in tutta l’Unione Europea – Italia inclusa – la raccolta differenziata dei rifiuti tessili sarà obbligatoria per legge. L’Italia ha anticipato tale obbligo nel 2022 ed è in avanzato stato di definizione il testo di un Decreto istitutivo del regime di EPR (Extended Producer Responsibility - Responsabilità Estesa del produttore) fattore chiave nella gestione di questa filiera.
Nel frattempo però i contributi EPR che sono riconosciuti agli operatori di altri paesi europei producono una distorsione del mercato a livello continentale, in quanto consentono agli operatori esteri di vendere le loro raccolte ai selezionatori italiani a prezzi molto più bassi rispetto a quelli raccolti in Italia.
Anche per questo motivo la speranza di molti operatori del nostro Paese è l’introduzione definitiva dell’EPR, oltre al fatto che i produttori si facciano carico di sostenere la filiera così come accade con altre frazioni di rifiuti urbani. In attesa di ciò preme la necessità di ottenere contributi transitori per far sì che la raccolta di differenziata del tessile sopravviva.

“Abbiamo già avuto colloqui col Ministero – spiega Finocchiaro – e ora stiamo chiedendo alle Regioni, tra cui Lombardia, di attivarsi. Abbiamo proposto di emettere un bando di sostegno che premi gli operatori virtuosi e dia ossigeno alla filiera. Entro settembre/ottobre potrebbe esserci il rischio di interruzioni di raccolte o di fenomeni come quelli che stanno avvenendo in Francia, dove stanno svuotando i cassonetti nei piazzali”.
Il grido d’allarme è stato formalizzato anche in una lettera inviata al Ministero dell’Ambiente, con la proposta di istituire un “Tavolo rifiuti tessili urbani”, che coinvolga ANCI, Utilitalia, operatori del settore e soggetti pubblici, per affrontare in modo coordinato la transizione al nuovo regime e evitare l’interruzione dei servizi di raccolta.
Nel frattempo, cooperative e imprese sociali come quella di Padre Daniele Badiali lottano per resistere, chiedendo solo ciò che serve per continuare a fare bene ciò che hanno sempre fatto gratuitamente: trasformare un rifiuto in una risorsa, creare lavoro inclusivo, e restituire valore sociale a ciò che, altrimenti, finirebbe dimenticato.
“Noi non ci siamo mai fermati, neanche durante il Covid – conclude Manca –. Ma oggi, se non cambia qualcosa, rischiamo di doverlo fare. E con noi, potrebbe fermarsi un intero modello di economia solidale”.

L'avviso affisso sui cassonetti gestiti dalla cooperativa Padre Daniele Badiali
“La chiusura non è per ferie" conferma Maria Rosa Manca, responsabile della cooperativa. "È una conseguenza della crisi che stiamo affrontando ormai da due anni. Siamo solo una parte della filiera, noi ci occupiamo della raccolta. Ma se gli impianti sono saturi, se non ci sono sbocchi per il materiale e se i canali sono fermi, noi non possiamo andare oltre i quantitativi autorizzati. Ci siamo fermati per non compromettere la nostra operatività futura”.
Una decisione sofferta, che arriva dopo anni di continuità del servizio – garantito anche durante il periodo pandemico – e che riflette una crisi internazionale del settore, già evidente in paesi come Francia, Germania e Belgio. Ma cosa sta succedendo davvero?
Negli ultimi anni, il modello economico del riuso tessile si è trovato stritolato tra aumento dei volumi, crollo della qualità e saturazione degli sbocchi commerciali. A confermarlo è Giuseppe Finocchiaro, presidente di Retessile, rete nazionale di cooperative sociali di inserimento lavorativo di tipo B specializzate nella raccolta, selezione e valorizzazione dei rifiuti tessili, e coordinatore della Rete Riuse, oltre che responsabile tecnico commerciale di Vesti Solidale: “Stiamo attraversando una vera e propria transizione da un modello economico e ambientale a un altro, forzata da diversi fattori. Il mercato è stato travolto dal fast fashion, che immette capi a bassissimo costo e scarsa durabilità, rendendo il materiale raccolto quasi inutilizzabile. Da novembre 2023 stiamo vivendo questa situazione e il prezzo del materiale usato ha perso fino a 200 euro a tonnellata”.

I cassonetti di Monticello e Barzanò
A questo si aggiunge il peso delle crisi geopolitiche – come la guerra in Ucraina – che hanno chiuso interi mercati di sbocco (Europa dell’Est, Africa), e l’aumento esponenziale dei costi di smaltimento, aggravato da una qualità sempre più bassa dei vestiti conferiti. A causa di questi fattori, il valore della frazione riutilizzabile è crollato fino al 70% rispetto ai livelli pre-2020 con effetti sull’intera filiera.
Le frazioni non idonee al riutilizzo – che oggi possono superare anche il 50% del totale raccolto a causa del crollo qualitativo del materiale – sono ancora più problematiche poiché la loro destinazione è lo smaltimento, a costi elevatissimi e con strutture insufficienti.
Secondo un'analisi congiunta di contesto del settore della gestione dei rifiuti tessili e un’analisi economica della filiera di Assorecuperi, ANIIU, ARIU e Retessile, la sostenibilità economica del sistema sta crollando, poiché in assenza di un’adeguata rete impiantistica nazionale per il riciclo tessile, attualmente del tutto insufficiente, e senza un sistema di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) si determina l’impossibilità di trattare le frazioni non riutilizzabili in tempi sostenibili; la saturazione degli stoccaggi, con il concreto rischio di dover interrompere le attività di trattamento con ripercussioni dirette sugli operatori della raccolta; un ulteriore aggravio economico per i selezionatori, che in assenza di adeguati sbocchi di riciclo devono sostenere costi crescenti per la termovalorizzazione.

La situazione a Olgiate
“Se non riceviamo aiuti, rischiamo di fermarci" sottolinea ancora Maria Rosa Manca della cooperativa Padre Badiali. "Abbiamo chiesto sostegno sia al Governo che alla Regione Lombardia attraverso i nostri portavoce. Anche uno dei nostri impianti di riferimento, quello di Rho gestito da Vesti Solidale, è in difficoltà”.
Il rischio in questo caso non è solo operativo, ma anche sociale. Quasi tutte le realtà coinvolte sono infatti cooperative che reinvestono parte degli introiti in progetti per senzatetto, migranti e persone in difficoltà. Come Rete Riuse, che tra le varie cooperative che racchiude conta solo nel settore tessile 130 lavoratori e storicamente devolve tra il 10% e il 20% dei ricavi a iniziative solidali.
Dal 1° gennaio 2025, in tutta l’Unione Europea – Italia inclusa – la raccolta differenziata dei rifiuti tessili sarà obbligatoria per legge. L’Italia ha anticipato tale obbligo nel 2022 ed è in avanzato stato di definizione il testo di un Decreto istitutivo del regime di EPR (Extended Producer Responsibility - Responsabilità Estesa del produttore) fattore chiave nella gestione di questa filiera.
Nel frattempo però i contributi EPR che sono riconosciuti agli operatori di altri paesi europei producono una distorsione del mercato a livello continentale, in quanto consentono agli operatori esteri di vendere le loro raccolte ai selezionatori italiani a prezzi molto più bassi rispetto a quelli raccolti in Italia.
Anche per questo motivo la speranza di molti operatori del nostro Paese è l’introduzione definitiva dell’EPR, oltre al fatto che i produttori si facciano carico di sostenere la filiera così come accade con altre frazioni di rifiuti urbani. In attesa di ciò preme la necessità di ottenere contributi transitori per far sì che la raccolta di differenziata del tessile sopravviva.

Una foto scattata a Sala di Calolzio
“Abbiamo già avuto colloqui col Ministero – spiega Finocchiaro – e ora stiamo chiedendo alle Regioni, tra cui Lombardia, di attivarsi. Abbiamo proposto di emettere un bando di sostegno che premi gli operatori virtuosi e dia ossigeno alla filiera. Entro settembre/ottobre potrebbe esserci il rischio di interruzioni di raccolte o di fenomeni come quelli che stanno avvenendo in Francia, dove stanno svuotando i cassonetti nei piazzali”.
Il grido d’allarme è stato formalizzato anche in una lettera inviata al Ministero dell’Ambiente, con la proposta di istituire un “Tavolo rifiuti tessili urbani”, che coinvolga ANCI, Utilitalia, operatori del settore e soggetti pubblici, per affrontare in modo coordinato la transizione al nuovo regime e evitare l’interruzione dei servizi di raccolta.
Nel frattempo, cooperative e imprese sociali come quella di Padre Daniele Badiali lottano per resistere, chiedendo solo ciò che serve per continuare a fare bene ciò che hanno sempre fatto gratuitamente: trasformare un rifiuto in una risorsa, creare lavoro inclusivo, e restituire valore sociale a ciò che, altrimenti, finirebbe dimenticato.
“Noi non ci siamo mai fermati, neanche durante il Covid – conclude Manca –. Ma oggi, se non cambia qualcosa, rischiamo di doverlo fare. E con noi, potrebbe fermarsi un intero modello di economia solidale”.
E.Ma.