In viaggio a tempo indeterminato/395: tutta l'Europa in Kosovo
"Unisci i due punti con una linea tratteggiata".
È uno di quegli esercizi delle scuole elementari, quando i trattini che si disegnano sono un po' sbilenchi e sembrano onde più che lineette.
Una linea tratteggiata unisce, delimita ma non è finita. Se la trovi disegnata sull'asfalto la puoi sorpassare. Se compare su un foglio, ti indica dove tagliare. E ricorda anche i punti di sutura di una ferita.
Ma quando compare su una mappa a delimitare il contorno di un Paese, quei trattini racchiudono tutta la complessità della regione che attraversa.
Siamo entrati in un nuovo Stato che ha un confine tratteggiato da un lato.
È nuovo per noi.
Eppure ci troviamo in una zona dove siamo già stati molte volte.
È lì, incastrato a metà tra Albania e Serbia, senza sbocco sul mare ma con alte montagne.
Non ci eravamo mai stati perché non era la stagione giusta, perché non era sulla nostra rotta, o forse perché quel tratteggio ci ha sempre fatto pensare che fosse “più complicato”.
È nuovo, ma non solo per noi.
Perché nella "vecchia Europa" questo è lo Stato più giovane. Esiste ufficialmente solo dal 2008 ma ha una storia antichissima alle spalle.
È talmente nuovo che per qualcuno nemmeno esiste. Anche se a me sembra ben definito.
Ha anche una bandiera recentissima: sfondo blu, sei stelle bianche disposte ad arco e una mappa dorata del Paese, stavolta senza tratteggi.
Questo Paese nuovo è il Kosovo e noi non vedevamo l'ora di visitarlo.

Attraversiamo il confine la mattina presto, con quel filo di ansia che accompagna ogni passaggio da uno Stato all’altro.
Abbiamo la fortuna di viaggiare con uno dei passaporti più “potenti” del mondo. Abbiamo già attraversato frontiere ben più complicate.
E l’Albania e il Kosovo, per storia e lingua, sono letteralmente Paesi fratelli.
Eppure, quando ci troviamo faccia a faccia con l’ufficiale di frontiera, mi viene sempre quel dubbio: “avrò dimenticato qualcosa?”
Un po’ come quando parcheggi la macchina, ti allontani, e poi ti chiedi se l’hai chiusa a chiave.
Stavolta però nessun colpo di scena, un sorriso, un "benvenuti" e siamo in Kosovo.
Entrare è stato semplicissimo e senza complicazioni. Diverso invece sarà uscire perché quella linea tratteggiata si può superare solo in un verso e non nell'altro.
Ma andiamo per ordine perché la questione è complessa e merita tempo, attenzione e rispetto.
La prima città che incrociamo nel nostro viaggio è già un bel riassunto di quello che ci aspetterà in questo Paese.
Partiamo dal nome: Gjakovë in albanese, Đakovica in serbo, in italiano Giacovizza o Giacova.
A primo impatto sembra molto simile alle città albanesi che abbiamo visitato qualche chilometro prima ma alcune differenze le notiamo subito.
La prima sono le macchinone di lusso che girano.
Lamborghini, Ferrari, Mercedes, Audi... tutte con targa straniera.
Io e Paolo iniziamo un gioco. Cerchiamo di riconoscere il Paese di provenienza dell'auto mentre la incrociamo.
Elle.
Effe.
Ci Acca.
Esse.
Di.
Tutta Europa sembra essere venuta in Kosovo per le vacanze, sfoderando la macchina "buona".

La seconda peculiarità è l'accoglienza delle persone. Non che in Albania non siano accoglienti, anzi! Ma in Kosovo lo sono ad un livello ancora più alto.
Ci sediamo al bar a prendere un caffè e il proprietario che parla un po' francese e un po' inglese ci fa accomodare tra sorrisi e strette di mano.
Ci chiede da dove veniamo, l'Italia fa sempre simpatia a tutti, soprattutto da queste parti.
Ci racconta che molti in questo periodo sono tornati in Kosovo per le vacanze.
In ogni famiglia kosovara c’è almeno una persona che vive e lavora all’estero.
Si stima che tra 700.000 e 1,2 milioni di kosovari vivano fuori dal Paese: in pratica, tra il 40 e il 65% della popolazione totale.
Un economia di ritorno che manda avanti praticamente il Paese.
Questo spiega le auto con targa straniera e perché in molti, finora, ci hanno parlato in una lingua diversa dall'albanese e dal serbo che sono le due ufficiali.
Nei mesi invernali, probabilmente, queste strade tornano a svuotarsi.
Il traffico, le risate, le chiacchiere al bar: tutto sembra appartenere all’estate.
È un fenomeno affascinante e profondamente umano. Ma è anche la traccia visibile di un passato doloroso, recente, vicino.
Stiamo parlando del 1999, anno tragico della guerra del Kosovo.
Un evento recente, geograficamente vicino a noi, ma in che molti sembrano aver dimenticato.
Per citare un noto comico e regista italiano, nel pietoso tentativo di giustificare le spese di riarmo: "l'Europa è nata sulla pace, ha fatto 80 anni di pace, abbiamo vissuto il periodo di pace in Europa più lungo dai tempi della guerra di Troia”. Un'affermazione che suona stonata, se ascoltata da qui.
I kosovari, ma anche tutti gli abitanti dei Balcani, avrebbero qualcosa da ridire.
Perché meno di 40 anni fa, proprio in questa regione, ci sono state guerre, deportazioni, genocidi.

Ok, ok, calma.
Sono solo i primi giorni in Kosovo e c'è tempo per parlare della storia travagliata di questa zona.
Oggi voglio solo lasciarmi cullare dalle strette di mano e dai sorrisi.
Che in un Paese con un passato come questo e un presente ancora fragile, valgono ancora di più.
È uno di quegli esercizi delle scuole elementari, quando i trattini che si disegnano sono un po' sbilenchi e sembrano onde più che lineette.
Una linea tratteggiata unisce, delimita ma non è finita. Se la trovi disegnata sull'asfalto la puoi sorpassare. Se compare su un foglio, ti indica dove tagliare. E ricorda anche i punti di sutura di una ferita.
Ma quando compare su una mappa a delimitare il contorno di un Paese, quei trattini racchiudono tutta la complessità della regione che attraversa.
Siamo entrati in un nuovo Stato che ha un confine tratteggiato da un lato.
È nuovo per noi.
Eppure ci troviamo in una zona dove siamo già stati molte volte.
È lì, incastrato a metà tra Albania e Serbia, senza sbocco sul mare ma con alte montagne.
Non ci eravamo mai stati perché non era la stagione giusta, perché non era sulla nostra rotta, o forse perché quel tratteggio ci ha sempre fatto pensare che fosse “più complicato”.
È nuovo, ma non solo per noi.
Perché nella "vecchia Europa" questo è lo Stato più giovane. Esiste ufficialmente solo dal 2008 ma ha una storia antichissima alle spalle.
È talmente nuovo che per qualcuno nemmeno esiste. Anche se a me sembra ben definito.
Ha anche una bandiera recentissima: sfondo blu, sei stelle bianche disposte ad arco e una mappa dorata del Paese, stavolta senza tratteggi.
Questo Paese nuovo è il Kosovo e noi non vedevamo l'ora di visitarlo.

Attraversiamo il confine la mattina presto, con quel filo di ansia che accompagna ogni passaggio da uno Stato all’altro.
Abbiamo la fortuna di viaggiare con uno dei passaporti più “potenti” del mondo. Abbiamo già attraversato frontiere ben più complicate.
E l’Albania e il Kosovo, per storia e lingua, sono letteralmente Paesi fratelli.
Eppure, quando ci troviamo faccia a faccia con l’ufficiale di frontiera, mi viene sempre quel dubbio: “avrò dimenticato qualcosa?”
Un po’ come quando parcheggi la macchina, ti allontani, e poi ti chiedi se l’hai chiusa a chiave.
Stavolta però nessun colpo di scena, un sorriso, un "benvenuti" e siamo in Kosovo.
Entrare è stato semplicissimo e senza complicazioni. Diverso invece sarà uscire perché quella linea tratteggiata si può superare solo in un verso e non nell'altro.
Ma andiamo per ordine perché la questione è complessa e merita tempo, attenzione e rispetto.
La prima città che incrociamo nel nostro viaggio è già un bel riassunto di quello che ci aspetterà in questo Paese.
Partiamo dal nome: Gjakovë in albanese, Đakovica in serbo, in italiano Giacovizza o Giacova.
A primo impatto sembra molto simile alle città albanesi che abbiamo visitato qualche chilometro prima ma alcune differenze le notiamo subito.
La prima sono le macchinone di lusso che girano.
Lamborghini, Ferrari, Mercedes, Audi... tutte con targa straniera.
Io e Paolo iniziamo un gioco. Cerchiamo di riconoscere il Paese di provenienza dell'auto mentre la incrociamo.
Elle.
Effe.
Ci Acca.
Esse.
Di.
Tutta Europa sembra essere venuta in Kosovo per le vacanze, sfoderando la macchina "buona".

La seconda peculiarità è l'accoglienza delle persone. Non che in Albania non siano accoglienti, anzi! Ma in Kosovo lo sono ad un livello ancora più alto.
Ci sediamo al bar a prendere un caffè e il proprietario che parla un po' francese e un po' inglese ci fa accomodare tra sorrisi e strette di mano.
Ci chiede da dove veniamo, l'Italia fa sempre simpatia a tutti, soprattutto da queste parti.
Ci racconta che molti in questo periodo sono tornati in Kosovo per le vacanze.
In ogni famiglia kosovara c’è almeno una persona che vive e lavora all’estero.
Si stima che tra 700.000 e 1,2 milioni di kosovari vivano fuori dal Paese: in pratica, tra il 40 e il 65% della popolazione totale.
Un economia di ritorno che manda avanti praticamente il Paese.
Questo spiega le auto con targa straniera e perché in molti, finora, ci hanno parlato in una lingua diversa dall'albanese e dal serbo che sono le due ufficiali.
Nei mesi invernali, probabilmente, queste strade tornano a svuotarsi.
Il traffico, le risate, le chiacchiere al bar: tutto sembra appartenere all’estate.
È un fenomeno affascinante e profondamente umano. Ma è anche la traccia visibile di un passato doloroso, recente, vicino.
Stiamo parlando del 1999, anno tragico della guerra del Kosovo.
Un evento recente, geograficamente vicino a noi, ma in che molti sembrano aver dimenticato.
Per citare un noto comico e regista italiano, nel pietoso tentativo di giustificare le spese di riarmo: "l'Europa è nata sulla pace, ha fatto 80 anni di pace, abbiamo vissuto il periodo di pace in Europa più lungo dai tempi della guerra di Troia”. Un'affermazione che suona stonata, se ascoltata da qui.
I kosovari, ma anche tutti gli abitanti dei Balcani, avrebbero qualcosa da ridire.
Perché meno di 40 anni fa, proprio in questa regione, ci sono state guerre, deportazioni, genocidi.

Ok, ok, calma.
Sono solo i primi giorni in Kosovo e c'è tempo per parlare della storia travagliata di questa zona.
Oggi voglio solo lasciarmi cullare dalle strette di mano e dai sorrisi.
Che in un Paese con un passato come questo e un presente ancora fragile, valgono ancora di più.
Angela (e Paolo)