Se mettendo al mondo un figlio si rischia di finire in povertà: incontro sull'inverno demografico

“Inverno demografico”: è quello che sta vivendo l’Italia, un declino cominciato da tempo e per affrontare il quale si è fatto ancora ben poco. C’è un dato, definito impressionante, che lo sintetizza: se qualche anno fa erano solo l’8% gli italiani che per svariati motivi non desideravano avere figli, oggi la percentuale è salita al 23%. E allora occorrono politiche che non guardino all’immediato ma a una prospettiva di trenta o quarant’anni affinché i giovani tornino ad avere fiducia nel futuro. E nel contempo, considerare l’immigrazione una risorsa importante.
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“Inverno demografico” era il titolo dell’incontro promosso da “Appello per Lecco”, “Azione”, “Gruppo per Lecco” e “Insieme”, tenutosi ieri alla sala Efes di via Achille Grandi a Germanedo, con l’intervento di Francesca Luppi, ricercatrice dell’Università Carrolica di Milano; Luciano Gualzetti, direttore uscente della Caritas Ambrosiana e presidente dell’Opera Cardinal Ferrari; Elena Bonetti, presidente nazionale di “Azione” , deputata e presidente della commissione di inchiesta parlamentare sulla transizione demografica, già ministro alle pari opportunità.
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E’ stata Luppi a porre sul tavolo i dati impietosi della decrescita della natalità nel nostro Paese. Se nel 1964 nacque un milione di bambini con un indice di 2,7 figli per donna, nel 2023 si è scesi a quota 370 nascite con un indice dell’1,8. Per invertire la marcia occorre premere su due pedali: quello della natalità e quello dell’immigrazione. L’obiettivo è di arrivare entro il 2033 a 500mila nascite all’anno, ma il pedale della natalità non funziona. Perché la decrescita significa anche un assottigliamento del numero di donne fertili. Altri Paesi, come la Francia e la Germania, si stanno già dando da fare. La prima avviando una serie di investimenti a largo raggio, la seconda schiacciando su entrambi i pedali: natalità e immigrazione.
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«Il problema – ha spiegato Luppi – non è solo economico, perché la fecondità cala anche nelle zone più ricche d’Italia. E’ cambiata la cultura: un tempo si dava per scontato che si sarebbero avuti dei figli. Oggi non è più così. Lo si fa per scelta ma solo se l’avere figli lo si vede come un’opportunità e non un rischio.
Gli ostacoli sono strutturali: i giovani che non studiano e non lavorano (siamo al secondo posto in Europa, dopo la Romania), il basso tasso di occupazione femminile, il difficile accesso alla casa, i redditi bassi, il lavoro precario per il quale avere figli aumenta il rischio di entrare in povertà. Il contesto scoraggia la natalità da diversi decenni e ciò incide anche sulla desiderabilità: chi decide di non avere figli dall’8% che era è salito al 23%. Stiamo togliendo ai giovani il desiderio di diventare genitori. Occorre un intervento immediato, ma il baby bonus non funziona. A cosa servono mille euro a una famiglia che mette al mondo un figlio? Servono politiche a lungo termine, scelte coraggiose. Oggi sono le aziende e i Comuni che tentano di sopperire alle mancanze dello Stato centrale e invece bisognerebbe che lo Stato dia la sensazione che si prende cura di voi e dei vostri figli, che i vostri figli sono un bene per la comunità».
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Gualzetti si è soffermato sul contesto deprimente di un’epoca dalle tante crisi che generano un senso di impotenza. Intanto aumentano le disuguaglianze con pochi ricchi e sempre più poveri. Nei primi 25 anni di questo secolo si è verificato un progressivo impoverimento degli italiani. Ci sono sei milioni di poveri: famiglie numerose, donne sole con bambini e giovani, tanti giovani, mentre una volta la categoria debole era quella dei pensionati. Ma anche chi lavora e ha una casa si presenta alla Caritas in cerca di aiuto.
«Non credo – ha aggiunto – che siamo in un’epoca di maggiore o minore crisi. Ogni epoca ha i suoi problemi e sta a noi affrontarli. Occorrono responsabilità personale e di sistema. E leggere il contesto dal punto di vista di chi non ce la fa e invece vediamo solo approcci teorici o ideologici, E’ difficile che io possa indicare una soluzione. Ma dobbiamo mantenere una postura di speranza, chiamiamola così. Credere che si possano cambiare le cose. Ci sono tante cose che si possono fare. Di questo passo, il sistema pensionistico non terrà più. E non c’è solo la questione dei nati, ma anche il fatto che non siamo in grado di inserire gli stranieri che gli imprenditori vorrebbero e invece il fenomeno viene visto con gli occhi della paura, parlando addirittura di sostituzione etnica o di scontro di civiltà. Impediamo ai figli di stranieri di diventare italiani. E poi ci sono 500 mila irregolari che sono fantasmi, che vivono con il lavoro nero. Occorre dunque far ritrovare la fiducia nel futuro, garantire l’accesso al lavoro, alla casa, al credito. Oggi, mettere al mondo un figlio aumenta la possibilità di impoverirsi. Soprattutto se si supera il numero di due. Occorrono servizi per l’infanzia, la conciliazione casa- lavoro, il quoziente famigliare agendo sulla leva fiscale, investimenti economici, ma anche culturali ed educativi».
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Infine, Bonetti ha esordito con un interrogativo: quali sono le scelte veramente irreversibili che la società ci impone? «L’unica – la risposta della parlamentare – è quella di diventare genitori. Non solo perché non si può tornare indietro, ma perché c’è la vita dei figli, c’è l’irruzione del futuro nelle nostre vite. Certo oggi, adesso, proprio in queste ore, il tempo delle speranze è più faticoso. Io sono una matematica e mi sono stancata delle parole della politica. L’istituzione di una commissione d’indagine parlamentare sul problema è un fatto positivo, ma va introdotto nella politica un sano pragmatismo. Il nostro Paese è destinato a un declino di insostenibilità. La politica deve saper scegliere. Serve un nuovo patto generazionale: significa che le risorse debbano essere investite sui giovani, che la generazione più adulta se ne faccia carico, pensare a tagli fiscali. Quando abbiamo introdotto l’assegno universale per le famiglie abbiamo fatto l’operazione più grande di questi ultimi anni. Ma occorrono politiche integrate per le donne: gli asili nido sono fondamentali, come la scuola a tempo pieno e il tempo educativo anche nei mesi estivi. Per tutti».
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«Oggi – ha proseguito Bonetti – l’Italia non investe sull’emancipazione dei più giovani. Trovano più conveniente restare a casa coi genitori che uscire di casa a farsi una vita propria. Ma non perché i genitori siano oppressivi, le mamme ansiose e i figli bamboccioni. Se un giovane va a chiedere un mutuo in banca, viene valutato il suo passato e non il suo futuro. Sono pertanto necessari fondi di sostegno al credito, per la creazione di nuove imprese, per l’affitto di casa alle coppie giovani, non solo nelle grandi città ma anche nelle aree interne che vanno spopolandosi. Parliamno di immigrazione che è una risorsa, ma bisogna anche guardare all’emigrazione dei nostri giovani. Si può fare e allora lo dobbiamo fare».
D.C.
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