Mandello: 80 anni fa il ritorno a casa di Michele Zucchi

Ricorda quell'abbraccio come lo avesse ricevuto ieri. Il 3 ottobre saranno invece trascorsi 80 anni. Era il 3 ottobre 1945, infatti, quando Michele Zucchi, allora appena 22enne, ma con più vite ormai alle spalle, faceva ritorno nella sua casa a Luzzeno, dopo essere stato inviato al fronte e lì fatto poi prigioniero dopo l'armistizio, ritrovando suo padre ed i suoi cinque fratelli minori. 
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Michele Zucchi con il libro che racconta anche la sua storia

102 anni festeggiati lo scorso marzo, cittadino benemerito di Mandello del Lario in quanto "esempio di resistenza e di attaccamento ai valori di libertà, giustizia e pace" e dunque "modello per tutta la comunità", Zucchi fu militare dal 5 settembre 1942 tra le fila del terzo Reggimento di artiglieria e dal 26 ottobre 1942 nella settima Divisione Acqui. Dall’inizio di febbraio 1943, in particolare, fu dislocato a Cefalonia, teatro di uno dei più violenti eccidi tedeschi ai danni degli italiani dopo l’8 settembre. “Quando il giorno dopo l'annuncio i tedeschi vennero a chiedere quali fossero le nostre intenzioni, solo 3 ufficiali, 2 sottoufficiali e 5 soldati scelsero di trasferirsi dalla parte del nemico. Tutti gli altri 74, me compreso, si rifiutarono e non cedettero le armi” raccontò nel 2023 in occasione della presentazione del libro “Abbiamo detto No: dieci internati italiani nei campi nazisti 1943 – 1945”, volume scritto da Enrico Iozzelli, responsabile della didattica presso la Fondazione Museo della Deportazione e della Resistenza di Prato e dalla ricercatrice svizzera Susanne Wald, collaboratrice del memoriale KZ Neuengamme di Amburgo, includendo anche la sua testimonianza. “Alcuni giorni dopo iniziò il contrattacco tedesco. Hitler ci colpiva con la contraerea. Statunitensi e britannici ci invitavano a resistere dicendo che sarebbero arrivati. Il 22 settembre, tuttavia, i nostri ufficiali issarono bandiera bianca”. Le strade dell’isola erano costellate di morte. “I tedeschi ammazzarono tanti di noi anche dopo che si erano arresi. Hitler aveva dato l’ordine di non lasciare testimoni in vita. Tuttavia, noi fummo confinati in alcune abitazioni con del filo spinato intorno” ha raccontato ancora Zucchi nel corso dell'incontro promosso dall'assessore Doriana Pachera. “Avevo tanta fame, cercavo con insistenza da mangiare. L’8 di ottobre fui fatto salire nella stiva di una barca insieme ad altri milletrecento internati. Una notte, mentre navigavamo in mare aperto, la nave fu colpita e iniziò ad affondare. Io fui salvato per poco da un’imbarcazione che passava di li. Benché decine di persone fossero state tratte in salvo, quando la nave se ne è andata sono sicuro che ci fossero almeno altri trecento prigionieri vivi. Avrei potuto essere uno di loro. Sono scoppiato a piangere”. Da Patrasso a Corinto. Da Corinto ad Atene, "dove erano stati radunati i soldati italiani catturati a Corfù e a Cefalonia. Da lì ci hanno ordinato di salire su di un treno diretto a Lublino e poi a Pinsk, al confine tra Polonia e Russia. Quando siamo arrivati io ero vestito con pochi stracci mentre fuori c’erano trenta gradi sotto lo zero. Avevo solo poche coperte recuperate ad Atene”. Ben presto, Zucchi si trovò in mezzo allo scontro tra l’Armata Rossa di Stalin e la Wermacht. “I tedeschi erano bravi a sparare ma erano pochi. I russi, invece, quando bombardavano le linee nemiche sembravano un unico grande fuoco che colpiva incessantemente per alcuni giorni. Una volta mi sono imbattuto in una fila di carri armati di Mosca fuori uso di cui non vedevo la fine”. La battaglia infuriava feroce. “Ho visto i russi bruciare una casa piena di ostaggi nemici”. Dopo essere stato catturato due volte dai sovietici e due volte dai nazisti, alla fine, nel settembre 1945 il mandellese riuscì a prendere un treno che dalla Bulgaria lo ha riportato a casa, dove è giunto, appunto, il 3 ottobre 1945. Dopo "due anni senza aver notizie da casa. Io scrivevo ma le lettere venivano bruciate. Non sapevo niente dei miei e loro non sapevano niente di me" come ha spiegato a chi in questi giorni è andato a trovarlo, ripercorrendo anche le scene immediatamente successive all'arrivo a Mandello. E dunque la risalita ("camminavo in fretta") verso la sua Luzzeno, dove ritrovò 4 dei suoi fratelli ("non li riconoscevo perché erano diventati grandi"), la zia Rosa e altri famigliari che ormai avevano perso le speranze di vederlo tornare. Assente, invece il padre. "Era giù in paese a portare la legna e gli han detto 'è arrivato uno che è di Luzzeno e che si chiama Michele Zucchi'; 'oooh..mio figlio! È mio figlio! Sarà mica vero!?', 'Sì è vero l'ho visto'. Allora ha smesso di lavorare ed è venuto in su di corsa; io ero in casa da dieci minuti e l'ho visto arrivare. Entrato mi ha abbracciato: pensava che fossi ero morto perché la guerra era finita da 6 mesi... Poi alla sera è arrivato anche l'altro fratello, un abbraccio anche a lui e con lui siamo arrivati a casa, tutti". 
Sono passati 80 anni. Nuove guerre insanguinano la terra. Zucchi, dall'alto della sua esperienza, saluta esprimendo l'augurio di sentire in tutto il mondo il grido liberatorio che lui stesso sentì ripetere sul fronte est, da un soldato russo: "Voyna kaput!". “La guerra è finita!” in un misto di lingue che ben sintetizza la gioia ed il trasversale desiderio di pace. 
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