In viaggio a tempo indeterminato/399: Trieste, una città 'a metà'

La nostra porta d'accesso all'Italia dopo il viaggio nei Balcani è stata Trieste.
A Trieste c'ero stata solo una volta, in gita scolastica.
Ero in prima superiore e due giorni fuori sembravano un viaggio lunghissimo.
Qualche insegnante aveva proposto Trieste e nessuno di noi alunni si era chiesto il perché.
Non mi ricordo nulla di quella gita. Il vuoto più totale. L'unica immagine che ho, è di noi ragazzi che camminiamo nella piazza con un fortissimo vento contro, l'insegnante che dice che quella è la famosa Bora, qualcuno che fa una battuta e tutti che ridiamo.
Fine.
Non ricordo i palazzi, le spiegazioni, il mare e tutto il resto. Quindi non posso davvero dire di essere stata a Trieste prima di questo rientro italico.
Con una consapevolezza diversa da quando avevo 16 anni e con un'attenzione sicuramente più profonda, Trieste stavolta me la sono proprio goduta.

Partiamo con il dire che non me la aspettavo così bella. Non so perché avessi un'idea grigia e cupa di questa città. Ma quel pensiero è stato spazzato via quando mi sono ritrovata in mezzo a quell'infinita piazza. Gigantesca! Non ci sono altre parole per descrivere la piazza con affaccio sul mare più grande d'Europa. Ci sono i palazzi costruiti durante il regno austro-ungarico che fanno da contorno su 3 lati e c'è il mare Adriatico ad aprire il quarto lato.
Mi sono messa in mezzo a Piazza Unità d'Italia e ho iniziato a girare su me stessa per godermela tutta a 360 gradi. Il sole alto nel cielo illuminava le facciate dei palazzi e faceva scintillare il mare. Mi sono sentita dentro una poesia.
Ma è stato un elemento che ha colpito particolarmente la mia attenzione. Una fontana. Non sono una grande appassionata di fontane, a differenza di Paolo che appena ne vede una trova l'occasione perfetta per metterci la testa sotto e rinfrescarsi.
Ma questa fontana è diversa. È una sorta di mappamondo fatto a scultura.
A realizzarla è stato uno scultore bergamasco, Giovanni Battista Mazzoleni, che nel 1751 ha deciso di creare un'opera che rappresentasse i quattro continenti.
A quell'epoca l'Australia non l'avevano ancora colonizzata quindi nessuno, dalle nostre parti, ne conosceva l'esistenza. Negli altri Continenti, invece, gli Europei erano già andati a far disastri quindi ecco rappresentate anche Asia, Africa e America ognuna a un lato diverso della fontana. E sulla sommità della fontana una donna alata, Trieste, città cosmopolita che accoglie mercanti da Oriente e Occidente.
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Sì perché Trieste è sempre (o quasi!) stata questo. Un ponte tra l'Europa occidentale e quella orientale.
Lo aveva capito bene Maria Teresa d'Austria.
Sebbene fosse cattolica e di gusti piuttosto conservatori, capì che, per far fiorire Trieste come porto internazionale, serviva più tolleranza. Così, con spirito pratico e un occhio ai profitti, aprì la città concedendo libertà di culto e spazi per costruire templi, sinagoghe e chiese a diverse culture e popolazioni. Il risultato? Trieste divenne un crocevia di fedi e culture, dove si poteva pregare in cinque lingue e commerciare in dieci. 
Fu lei a dare quell'impronta interculturale che per molti anni caratterizzò Trieste, la città aperta sul mondo. Una Trieste mitteleuropea: colta, raffinata, un po’ snob e molto imperiale.
Dopo Maria Teresa, invece, la situazione cambiò decisamente.
Arrivò la Prima guerra mondiale e con essa la fine dell’Impero Austro-Ungarico. Nel 1918 Trieste entrò a far parte dell’Italia. Non tutti ne furono entusiasti perché molti in quel periodo parlavano tedesco o sloveno e non si sentivano italiani.
Con il fascismo poi, iniziò l'italianizzazione forzata. Vennero vietate lingue che non fossero l'italiano e vennero prese di mira le comunità non italiane che vivevano in città. Il periodo fascista non è certo noto per esserci andato leggero e tra gli innumerevoli danni che fece ci fu sicuramente la gestione della situazione a Trieste. Quello fu l'inizio di un periodo molto teso per questa zona di confine.
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Durante la Seconda guerra mondiale, Trieste viene occupata dai nazisti, poi dai partigiani jugoslavi di Tito.
Ma il periodo più nero per la città arriva tra il 1943 e il 1945 (con strascichi fino al 1947).
Con Tito inizia un’ondata di violenza, arresti, esecuzioni sommarie. È il periodo chiamato delle "foibe", cioè uccisioni con i corpi gettati nelle cavità carsiche profonde tipiche di queste zone, chiamate appunto foibe.
Le vittime erano italiani ritenuti fascisti, ma anche civili, sloveni e croati non allineati ai comunisti jugoslavi.
È il caos: Trieste diventa una zona contesa tra Italia e Jugoslavia.
Gli Alleati decidono allora di creare un Territorio Libero di Trieste, diviso in due zone:
Zona A (Trieste e dintorni): amministrata dagli anglo-americani,
Zona B (entroterra): sotto controllo jugoslavo.
Questa divisione netta causa il trasferimento forzato di moltissime famiglie italiane che sono costrette ad abbandonare tutto per spostarsi da una zona all'altra.
Solo nel 1954 Trieste torna a far parte definitivamente dell'Italia.
Trieste è una città che ha sofferto molto per il suo essere a metà. Quello che in epoche passate era stato considerato un suo punto di forza, nella storia più recente è diventato pretesto per scontri.
Ma lei, abituata a resistere a quel forte vento che per uno scherzo della geografia e della meteorologia la tormenta, non si è abbattuta.
Oggi visitarla è una gioia perché nel suo centro storico ci si ritrova un po' di tutto: quel suo passato sfarzoso ed elegante, quella sua multiculturalità e quel suo mare che ti fa guardare oltre.
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Non penso avremmo potuto trovare un luogo migliore per chiudere il cerchio di questo nostro on the road italo-balcanico.
Siamo partiti attraversando l'Italia diretti verso la Sicilia, la punta più a sud della penisola. E lì abbiamo trovato influenze arabe e sapore italiano.
Poi siamo risaliti in Albania, Kosovo, Bosnia e abbiamo sentito parlare italiano con i canti delle moschee in sottofondo.
E alla fine Trieste, italiana ma con lo sguardo rivolto a est.
Ci ha insegnato molto questo viaggio, in alcuni momenti è stato doloroso, in altri (la maggior parte) è stato godurioso.
Ma quello che ci ha lasciato di più è la bellezza della contaminazione. L'arricchimento che ne deriva quando ci si apre al diverso e lo si integra. Quando le culture si mescolano e non si annientano.
Noi oggi siamo il risultato di quel "miscuglio" di ieri e mi piace pensare che prima o poi capiremo che è una ricchezza e la smetteremo di metterci l'uno contro l'altro.
Angela (e Paolo)
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