Lecco: piazza Diaz gremita per Gaza, tante voci per la pace
3 ottobre, ore 9.00 del mattino. Piazza Diaz, Lecco. Quest'oggi lo sciopero generale proclamato in difesa della Freedom Flotilla per Gaza ha trasformato il centro città in un’unica voce collettiva contro il silenzio. Nessun palco scenico appariscente, nessuna bandiera di partito: solo corpi presenti, volti determinati, mani alzate. Lavoratori, studenti, insegnanti, pensionati, famiglie. Chiunque abbia ancora un senso di giustizia ha sentito il dovere di esserci. Perché quando viene bombardato un ospedale, quando un popolo viene lasciato senz’acqua e senza cure, non esiste neutralità: esiste complicità o resistenza.
A dichiarare con forza il senso profondo della mobilitazione è stato Diego Riva, segretario della CGIL Lecco. La sua non è stata la solita arringa sindacale, ma un appello etico: "Oggi non scioperiamo per i salari o i contratti. Scioperiamo perché davanti ai crimini contro l’umanità non si può continuare a lavorare come se nulla fosse. Gaza è una città martoriata. Chi ha provato a portare acqua e medicine è stato arrestato. La nostra risposta è collettiva: basta genocidio, basta silenzio dei governi".
Parole che hanno attraversato la piazza come un’onda: nessuno slogan di circostanza, solo indignazione consapevole. Tra gli interventi più intensi quello di Maria Loffreda, delegata del settore scuola, che ha portato la voce delle aule: "Tutti parlano di pace, ma nessuno educa alla pace. A scuola, ogni giorno, insegniamo l’accoglienza: i bambini lo sanno meglio degli adulti. Accogliere significa far star bene gli altri". Ha poi ricordato che ogni 27 gennaio, nelle scuole, si parla di tutti i genocidi della storia, dal Ruanda ai Balcani, e ha lanciato la domanda che pesava nella piazza: "Cosa facciamo? Ne aggiungiamo un altro?".
Gli studenti presenti hanno dato forza con lucidità ed emotività. Una giovane dell’Istituto Medardo Rosso ha detto: "Una parte del mondo ha normalizzato l’idea che portare acqua e cibo a chi muore di fame sia un crimine. Ma quelli della Flotilla non erano ingenui. Sapevano che sarebbero stati fermati, ma sono partiti lo stesso per non perdere contro se stessi". Dal Bovara, un ragazzo ha aggiunto: "Vorrei parlare a chi diceva che dopo qualche giorno la guerra sarebbe finita. Guardate quanti siamo in questa piazza! Siamo qui per chiedere giustizia, pace e diritti umani. Anche se ora vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti", citando De André.

Una seconda studentessa dell’Istituto Medardo ha ricordato: "Siamo qui come cittadini, non per saltare scuola o lavoro: siamo qui per i diritti dei bambini, per il diritto al cibo, alla vita. Come possiamo parlare di precarietà negli ospedali e nelle scuole del nostro Paese mentre contribuiamo al bombardamento di ospedali e scuole del popolo palestinese?". Laura Gandossi, del settore edile, ha esplicitato il legame tra economia e guerra: "Serve a interrompere la normalità che alimenta il genocidio. L’Italia è tra i principali fornitori di armi a Israele: le nostre fabbriche, i nostri porti, le nostre commesse sono parte di questa catena. Ogni arma venduta è una firma sul genocidio".
Tiziano Fendoni, del settore chimico-tessile-gomma-plastica, ha poi aggiunto: "Quando qualche voce dissonante si leva in protesta, lo Stato mostra il volto di un regime. Il nostro Paese deve riprendere la sua migliore faccia: giustizia, pace, riconoscimento dei diritti del popolo palestinese". Giovanni Passerini, delegato al commercio, ha invece parlato di solidarietà attiva e responsabilità individuale: "Siamo sotto lo stesso cielo, vogliamo un mondo in cui ogni bambino possa crescere senza paura tra le macerie. La Flotilla è la più grande missione umanitaria della storia. La nostra voce, il nostro grido, sostengono chi rischia la vita per portare aiuto".

E ancora Mario Fumagalli, del sindacato pensionati: "Questo è genocidio: si distruggono storia, cultura e identità di un popolo. Ma ogni gesto singolo, moltiplicato, può diventare forza di cambiamento". Ha infine invitato a boicottare i prodotti provenienti da chi sostiene o beneficia della guerra, trasformando il gesto personale in azione collettiva, mentre Sara Ferrari, del settore bancario, ha lanciato altre parole cariche di fermezza: "Non siamo noi a inviare assedio e distruggere vite altrui. In questa piazza non c’è violenza, ma determinazione, condivisione e solidarietà. Sosteniamo chi agisce con coerenza, coraggio e pace. Siamo orgogliosi di fare la nostra parte oggi e continueremo a sostenere questo sciopero e tutti quelli futuri".
Francesco Mazzeo, del settore pubblico della Provincia di Lecco, ha chiuso con un richiamo alla responsabilità collettiva: "Siamo qui con aspettative comuni. Dopo le esperienze del secolo passato non ci aspettavamo che tutto questo potesse accadere ancora. È necessario rimanere in questa piazza per sostenere i principi di giustizia sociale, umanità e cooperazione internazionale. Al di fuori di questo, resta solo la guerra".
La piazza era un mare di persone di ogni età: bambini che tenevano la mano ai genitori, ragazzi, adolescenti, studenti universitari, insegnanti, adulti e anziani, tutti con lo sguardo fisso, consapevoli e commossi. Molti hanno letto poesie, pensieri propri o parole di solidarietà, con la voce rotta dal dolore ma ferma nella convinzione di essere dalla parte della giustizia. Un corteo pacifico ha attraversato le vie del centro, scandito solo da urla e cori per la libertà della Palestina, di ogni suo abitante ucciso o ancora vivo. Lacrime, applausi convinti e gesti di empatia hanno segnato ogni passo: bambini e adulti insieme, uniti nella stessa emozione e nella stessa determinazione.
A un certo punto dello sciopero, un momento di forte simbolismo ha sorpreso la folla: il sindaco si è affacciato da una finestra del Comune e ha sventolato la bandiera della Palestina, un gesto che ha raccolto applausi e commozione tra i presenti, a testimonianza di vicinanza e solidarietà istituzionale. Ogni parola letta, ogni applauso, ogni passo del corteo parlava chiaro: "non resteremo in silenzio davanti al genocidio, la nostra voce è collettiva, il nostro grido è unito".
La manifestazione ha dimostrato, ancora una volta, che quando una comunità si muove all’unisono l’indignazione diventa consapevolezza, l’empatia diventa azione e la solidarietà non resta mai un gesto isolato. Finché ci sarà una voce che chiede pace, qualcuno a Lecco ci sarà per ascoltarla e raccontarla.




Una seconda studentessa dell’Istituto Medardo ha ricordato: "Siamo qui come cittadini, non per saltare scuola o lavoro: siamo qui per i diritti dei bambini, per il diritto al cibo, alla vita. Come possiamo parlare di precarietà negli ospedali e nelle scuole del nostro Paese mentre contribuiamo al bombardamento di ospedali e scuole del popolo palestinese?". Laura Gandossi, del settore edile, ha esplicitato il legame tra economia e guerra: "Serve a interrompere la normalità che alimenta il genocidio. L’Italia è tra i principali fornitori di armi a Israele: le nostre fabbriche, i nostri porti, le nostre commesse sono parte di questa catena. Ogni arma venduta è una firma sul genocidio".


E ancora Mario Fumagalli, del sindacato pensionati: "Questo è genocidio: si distruggono storia, cultura e identità di un popolo. Ma ogni gesto singolo, moltiplicato, può diventare forza di cambiamento". Ha infine invitato a boicottare i prodotti provenienti da chi sostiene o beneficia della guerra, trasformando il gesto personale in azione collettiva, mentre Sara Ferrari, del settore bancario, ha lanciato altre parole cariche di fermezza: "Non siamo noi a inviare assedio e distruggere vite altrui. In questa piazza non c’è violenza, ma determinazione, condivisione e solidarietà. Sosteniamo chi agisce con coerenza, coraggio e pace. Siamo orgogliosi di fare la nostra parte oggi e continueremo a sostenere questo sciopero e tutti quelli futuri".



G.D.