Lecco: tecnologie e personale esperto. I musei siano più “inclusivi”

Musei sempre più “accessibili” nel senso di inclusivi, che possono essere visitati in autonomia anche da persone con disabilità di varia natura, non solo motorie. E quindi percorsi tattili e sonori, nonché il ricorso all’intelligenza artificiale. Ma anche personale professionalmente formato ad accogliere visitatori con disabilità. Se ne è parlato in una tavola rotonda tenuta a Palazzo delle paure nell’ambito della seconda giornata del festival “Lecco città dei Promessi sposi” che in questa edizione ha come filo conduttore proprio il “museo che verrà” con lo sguardo rivolto alla Villa Manzoni che, dopo i lavori di ristrutturazione, sarà riallestita e riaperta al pubblico in primavera. E quando si dice riallestita si intende anche riorganizzata nei suoi percorsi “multisensoriali”. Sulla scorta di quanto già avviato, ormai da quattro anni, a Palazzo Belgiojoso.
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Alla tavola rotonda – come ha spiegato il direttore del sistema museale lecchese Mauri Rossetto – erano stati invitati i rappresentanti di alcune delle associazioni operative nel settore della disabilità al fine di raccoglierne le richieste e i bisogni, sapere cosa chiedano ai musei i loro soci.
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Riuniti al tavolo dei relatori, oltre a Rossetto, c’erano Silvano Stefanoni, dell’Unione ciechi ma anche  vicepresidente regionale della Federazione che riunisce tutte le associazioni di persone con disabilità e conosciuto anche per essere stato in passato sindaco di Lierna; Domenico Bodega, dovente all’Università Cattolica ma anche presidente dell’Aspoc, un’associazione che riunisce famiglie di disabili con disturbi cognitivi; Rosa Garofalo, presidente nazionale subvedenti “Descrivedendo”, l’archeologa Michela Ruffa e il docente al Politecnico milanese Mario Taddei.
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A introdurre il convegno, l’assessore comunale alla cultura: «Il museo che verrà, ma che tipo di museo? Con quali linguaggi? A Palazzo Belgiojoso è già stato avviato un percorso bellissimo reso possibile grazie alla Fondazione Cariplo e alla cooperativa Eliante e un altro bellissimo progetto è stato quello realizzato con le neuropsichiatria infantile dell’ospedale di Lecco con la traduzione in “lingua aumentata” (una particolare forma grafica per consentire la lettura, ndr).
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Bisogna partire da queste esperienze per costruire un percorso che ns consenta l’attuazione nei musei. Cominciando da Villa Manzoni perché è in fase di ristrutturazione, per poi fare lo stesso con il Palazzo delle paure e la Torre Viscontea. L’obbiettivo è rendere accessibile a tutti la cultura. Pensando non solo alla disabilità motoria, ma anche ad altre forme, sarebbe la chiusura del cerchio per una politica di inclusività. Certo, si tratta di una strada in salita, ma avvincente e sono sicura che arriveremo a ottenere risultati».
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Anche il dirigente scolastico provinciale Adamo Castelnuovo ha voluto portare il suo saluto, considerato che la scuola viene considerata una delle prime “agenzie” per favorire i processi di inclusività e la tavola rotonda era in particolare rivolta proprio agli insegnanti.
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A tal proposito, Castelnuovo ha esordito nel ricordare come si pensi che la scuola non abbia fatto abbastanza sui questo fronte «e invece sapere quanto all’estero ci invidiano le leggi che abbiamo fatto in questi anni? Le scuole sono un laboratorio per l’inclusione, ma l’inclusione deve avvenire anche fuori: una scuola inclusiva deve essere in un territorio inclusivo. E un percorso di questo tipo, tra l’altro, aiuta tutti i ragazzi. E’ da quando siamo usciti dalle caverne che abbiamo perso l’uso di alcuni sensi…. Ecco in questo modo, tutti i ragazzi potranno riscoprirli: il tatto, l’olfatto…»
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E’ stato Silvano Stefanoni ad aprire il giro dei pareri dei partecipanti alla tavola rotonda partendo proprio da quel che ci si aspetta da un museo: «Il dovere di una società è che deve essere creata per tutti fin dall’inizio. Pensando che noi non siamo portatori di disabilità. Che significa? Dove la porteremmo? Anche chi si rompe una gamba è per un certo periodo disabile. Bisogna dunque partire dal presupposto che siamo semplicemente persone. Come tutti. Occorre quindi rovesciare il paradigma. In quanto ai musi, uno dei problemi è quello del personale. Oggi i Comuni si rivolgono a cooperative e succede che oggi c’è una persona, domani un’altra e dopodomani un’altra ancora. Cambiando continuamente, la formazione è difficile. E’ pertanto necessario rendere strutturale il personale base che possa aiutare a rendere il museo aperto davvero a tutti. E anche i Qr code sono importanti, ormai lo smartphone ce l’abbiamo tutti. Si parla dell’abbattimento delle barriere architettoniche, ma innanzitutto bisogna abbattere barriere culturali. Noi ciechi, per esempio, si pensa che siamo sempre accompagnati da qualcuno. Non è vero. Viviamo in autonomia, possiamo andare dappertutto».
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Bodega, sottolineando come la disabilità cognitiva possa presentare aspetti più difficili da affrontare, ha rilevato come il cambiamento culturale sia un percorso molto lento, ma occorre avere pazienza e «le cose accadranno. La capacità di fare per un ragazzo dipende anche dal contesto esterno.
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Nei musei è quindi necessario allestire percorsi multimediali, creare zone silenziose, zone di comfort, guide visive, organizzare visite a piccoli gruppi e lavoratori pensando non solo ai più giovani ma anche agli anziani malati di alzheimer che in questo modo siano facilitati a ricordare e a creare legami sociali. Indubbiamente è necessaria una formazione specifica del personale museale, bisogna coinvolgere i “caregiver”, ricorrere alla tecnologia».
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Da parte sua, Garofalo ha richiamato la necessità di non far cadere le iniziative dall’alto. E cioè: «Nulla su di noi, senza di noi. E quindi avere la possibilità di partecipare alla vita sociale, di poter andare in un museo “sempre” e non solo in una giornata ad hoc. Il museo deve essere sempre più aperto e accogliente, dotandosi di tutti gli strumenti utili da mettere a disposizione di tutti i visitatori, poi ciascuno sceglierà quello che preferisce».
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L’archeologa Ruffa, che tra l’altro ha collaborato con i musei lecchesi per il progetto “Touch me” a Palazzo Belgiojoso, ha parlato della necessità di ribaltare il concetto di disabilità: «I percorsi tattili che consentono un approccio in autonomia devono per esempio essere aperti a tutti, anche ai normodotati. Inizialmente abbiamo pensato ai non vedenti e agli ipovedenti, poi abbiamo esteso l’attenzione a non udenti. Abbiamo ricreato oggetti utilizzando le tecniche dell’epoca, abbiamo realizzato percorsi sonori al museo naturalistico, abbiamo riprodotto la camicia  garibaldina…»
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Infine, Taddei, ha raccontato la propria esperienza, legata alla malattia del figlio,  di inventore di giochi per favorire il linguaggio dei segni e portarlo nelle scuole, facendolo imparare agli alunni». Del resto, mostrando le emoticon utilizzate con lo smartphone, «quella dei segni è la lingua del futuro e i nostri ragazzi la sanno già usare».
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Il docente ha poi allargato il discorso alla propria opera di creazione di musei leonardeschi virtuali in grado di mostrare cose impossibili in un museo normale e accompagnare il visitatore lungo percorsi praticamente infiniti», per quanto qualche obiezione si sia sollevata all’affermazione «che i musei di oggi sono rimasti all’Ottocento» mentre occorre adottare il linguaggio e le forme espressive dei più giovani per non perderli».
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A concludere i lavori, la dirigente dell’area cultura del Comune, Giuseppina Di Gangi che ha rimarcato la necessità di ascoltare tutti, ma anche quella di una collaborazione sempre più stretta ed estesa.
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Al termine della tavola rotonda, il pubblico ha partecipato a un’esperienza emozionale unica: una visita al buio con la fruizione di un’opera d’arte attraverso il metodo DescriVedendo. L’esperienza è stata guidata da Rosa Garofalo e Laura Spoldi, responsabile per la redazione di testi.
D.C.
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