Lecco: invito all'accoglienza per la festa della Madonna del Rosario

La Festa della Madonna del Rosario è, da tradizione, il cuore dell’anno pastorale lecchese, ma questa volta – forse complice il clima sociale incerto, forse semplicemente il bisogno di sentirsi parte di qualcosa che resiste – l’atmosfera, ieri pomeriggio in Basilica, era quella delle grandi occasioni.
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A presiedere la celebrazione è stato il prevosto mons. Bortolo Uberti, affiancato da don Massimo, don Marco, don Giuseppe, don Alberto, don Gianbattista e don Cristiano: un altare attorniato da volti noti e amati, segno concreto dell’unità del presbiterio e dell’affetto verso la patrona della comunità. Tanti anche i fedeli presenti, con le autorità cittadine e le associazioni.

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E proprio rivolgendosi a loro, all’inizio della celebrazione, mons. Uberti ha voluto ricordare che “questa assemblea non è solo un rito religioso, ma un segno di un’intera umanità che si raduna e chiede alla Parola di Dio luce e cammino. Questa sera – ha detto – la nostra è una preghiera che si fa intercessione: chiediamo a Maria di presentare al Padre il nostro grido di pace, con l’umiltà di chi conosce i propri limiti e si affida alla misericordia di Dio che è più grande di ogni nostra fragilità”.
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Il clima raccolto e intenso ha trovato il suo culmine nell’omelia, dove mons. Uberti ha invitato la comunità a riconoscere il proprio ruolo nel mondo, partendo dalla Parola annunciata. Richiamando l’episodio del profeta Elia, mandato non tra i suoi, ma presso una vedova straniera, il prevosto ha sottolineato come la logica di Dio capovolga spesso le nostre aspettative: “Se c’è un posto in cui non andare, è proprio lì che il Signore spesso ci manda; se c’è una persona da cui non ci aspetteremmo nulla, è proprio quella che Dio sceglie per compiere il suo disegno”. Da qui l’invito a diventare una Chiesa che non si chiude, ma che accoglie anche chi è lontano, chi è dubbioso, chi si sente povero nella fede o nella vita. “La vedova di Sarepta ha pochissimo, quasi nulla – ha detto ancora – ma quel poco lo mette a disposizione e così diventa strumento di salvezza. Nessuno è così povero da non avere nulla da donare. E nessuno è così ricco da non aver bisogno di essere accolto”.
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Mons. Uberti ha poi invitato la comunità a guardarsi attorno con occhi nuovi, riconoscendo la presenza di Dio nei volti più comuni e nelle relazioni quotidiane: “A volte facciamo fatica – ha ammesso – ad accogliere anche dentro le nostre case: genitori con i figli, figli con gli anziani, fratelli tra fratelli. Eppure è lì, in quel volto che magari ci mette alla prova, che abita il Signore. Chi incontra noi dovrebbe poter incontrare un riflesso di Lui”. Essere comunità, dunque, non come gruppo chiuso ma come porta aperta: per chi è fedele ogni domenica, per chi torna dopo tempo, per chi entra solo per un attimo e magari non sa neppure perché. “Se anche solo una persona, attraversando questa basilica, potrà portarsi via un desiderio di tornare, allora avremo già fatto qualcosa di grande”.
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La celebrazione si è conclusa con la processione per le vie del centro cittadino. L’immagine della Madonna del Rosario è stata portata a spalla lungo via San Nicolò, via Resinelli, via Volta, via Cavour e via Mascari, per poi far ritorno in basilica per la conclusione e la benedizione solenne. Tutta la comunità pastorale è stata invitata a partecipare, seguendo il corteo con canti e preghiere, condividendo un percorso che unisce devozione, comunione e senso di responsabilità.
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Ma il vero messaggio della serata non è stato solo devozionale: è stato un appello a vivere la fede come responsabilità concreta, come scelta di relazione e di speranza. “Vogliamo essere una comunità che non si rassegna – ha detto il prevosto – ma che continua a credere che la pace e la fraternità sono possibili, a partire dai nostri gesti quotidiani”.
G.D.
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