PAROLE CHE PARLANO/250
Pirata
Il termine pirata evoca subito vele gonfiate dal vento, bandiere nere con teschi e tibie incrociate, mappe del tesoro e ci riporta al tempo in cui, da bambini, immaginavamo di vivere avventure ai confini del mondo. Ma dietro questa immagine eroica e romantica si nascondono storie morali crudeli e sanguinarie e linguistiche complesse.
La parola deriva dal latino pirāta, a sua volta dal greco peiratḗs, formato dal verbo peiráō, che significa “tentare”, “provare”, “mettersi alla prova”. Il peiratḗs era, letteralmente, “colui che tenta la sorte”. All’inizio poteva realmente essere un avventuriero, un esploratore dei mari: una figura epica, possiamo dunque affermare. Ma in seguito il termine si specializzò per indicare chi cercava la fortuna sfidando non tanto la natura, quanto le regole; non il commerciante, ma chi attaccava, depredava, uccideva contro ogni legge umana e civile.
Il pirata divenne così il simbolo di chi affronta il rischio per trarne profitto, un rischio che, ieri come oggi, si gioca spesso utilizzando prepotenza, violenza e sopraffazione.
I mari odierni non sono più solcati da galeoni, ma la parola pirata continua a vivere. La ritroviamo nel linguaggio dell’informatica, nei conflitti per il controllo delle rotte e delle risorse, e la possiamo correttamente utilizzare per definire chi - in nome di una presunta “sovranità” o per supposte ragioni di sicurezza - aggredisce fuori dalle proprie acque territoriali, in barba a ogni regola e al diritto internazionale. Come se, parafrasando Orwell, tutti fossero uguali, ma alcuni fossero più uguali degli altri.
L’etimologia della parola pirata ci ricorda che “tentare” può significare scoprire, ma anche violare. E in ogni epoca, la nostra compresa, si deve scegliere se farne un atto di conoscenza o di drammatica e inaccettabile prepotenza.