Lecco: alla 'serata in maglione rosso', il grande futuro dell’alpinismo in un mondo ancora inesplorato

Le nuove leve si sono ormai lasciate alle spalle l’alpinismo “storico”. Quelli che l’avevano rivoluzionato sono ormai già anziani. I successori che avevano intuito nuovi sbocchi cominciano a essere tra i più vecchi.
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Raccontano, sì, di una storia cambiata, ma anche di un “nuovo” alpinismo che ha ancora un grande, grandissimo futuro. Si vanno a cercare montagne che noi profani non abbiamo nemmeno mai sentito nominare, ma delle quali sono all’oscuro gli stessi alpinisti se non qualche cerchia ristretta.
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Di più: si cercano montagne alle quali nemmeno le popolazioni locali hanno dato un nome, vette e pareti che nessuno ha mai salito e che si ergono in luoghi disabitati, sulle quali non riesci ad avere nemmeno un briciolo d’informazione e le stesse ricerche su internet sono infruttuose. Insomma, l’ignoto. Quasi come succedeva agli esploratori d’un tempo.
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O – ed è il filo rosso che unisce gli alpinisti d’antan con quelli d’oggi – quando si puntava su una montagna con l’unica pezza d’appoggio di una cartolina sgualcita sulla quale si cercava di individuare la via di salita. E ieri come oggi scopri che ci sono ancora mondi inesplorati, luoghi quasi incantati, selvaggi, fuori dal mondo, tutti da scoprire. Quasi una mappa del mondo ancora da completare.
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A dirlo sono i “Ragni”, il gruppo che ha riempito di gloria la nostra città e che è un autentico patrimonio dell’alpinismo mondiale. Loro, i “maglioni rossi”, che si sono ritrovati ieri sera all’auditorium della Camera di commercio, gremita all’inverosimile, con molti rimasti in piedi, a testimoniare che la montagna è ancora nelle corde dei lecchesi.
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L’appuntamento era la tradizionale “serata in maglione rosso” che ogni anno i “ragni” organizzano per raccontare l’attività effettuata nel corso degli ultimi mesi.
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A condurre, lo stesso presidente del gruppo Matteo De Zaiacomo che ha aperto la serata puntando i riflettori sui giovani e giovanissimi che si affacciano all’alpinismo o che già hanno cominciato a mietere successi: Beatrice Colli, naturalmente, ma anche Valentina Arnoldi e Alice Marcelli, ormai riconosciute come gli astri nascenti «e far parte dei ragni – ha detto Arnoldi – è indubbiamente un onore».
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Annunciata inoltre ufficialmente la riapertura della palestra di roccia di via Carlo Mauri, dopo i lavori di ampliamento. Lunedì si potrà tornare ad arrampicare, anche se per il momento solo nella parte “vecchia”, non essendo ancora completati i lavori in quella nuova.
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E a tal proposito, il presidente della Comunità montana Antonio Rusconi, nel suo intervento di saluto ha ammesso che si è in ritardo «e non ci stiamo facendo una bella figura» ma ora si imprimerà un’accelerata per concludere l’opera.
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Un saluto lo ha portato anche il sindaco di Lecco Mauro Gattinoni sottolineando quanto Lecco debba per popolarità nel mondo proprio ai “ragni”, quelli d’un tempo e quelli d’oggi, attraverso un continuo passaggio di testimone simboleggiato dalla presenza in sala di Luigino Aroldi, 95 anni, il più anziano, accanto a bambini già in maglione rosso. «Perché i “ragni” – gli ha fatto eco Rusconi – a parte il Manzoni che è intoccabile, sono il simbolo di Lecco.»
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Poi, la serata è entrata nel vivo. David Bacci ha raccontato la sua spedizione in Canada, al Circle of Unclimbables, nel Parco del fiume Nahanni, «un posto selvaggio, remoto, difficile da raggiungere, incontrando orsi più che persone, ripetendo vie già salite, ma aprendone anche di nuove fino a rendersi conto – con i tre compagni di missione - una volta arrivati in cima d’essere i soli esseri umani nel raggio di cinquecento chilometri.
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E poi il ritorno discendendo il Nahanni in kayak. «Potevano andare e venire in elicottero – ha chiosato De Zaiacomo – ma invece hanno scelto di vivere un’avventura al completo». 
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E’ stata poi la volta di Marco Zanchetta, un “ragno” e di Mattia Sandionigi, un “gamma” raccontare delle loro arrampicate in Kirghisistan, «un Paese che non sapevamo nemmeno dove fosse, una volta individuato sulla cartina siamo partiti».
Unendo gli sforzi, nonostante l’appartenenza ai due gruppi dell’alpinismo d’élite lecchesi, i “ragni” e appunto i “gamma” formatisi da una dolorosa scissione proprio dei “ragni” e che a lungo sono stati rivali, ma che da qualche anno sembrano avere ritrovato sentieri comuni.
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Quindi, Chiara Gusmeroli ha raccontato delle imprese in Ladakh in India con lo stesso De Zaiacomo e con Davide Nesa ad aprire nuove vie su vette inesplorate tra i cinquemila e i seimila metri, tra un tentativo riuscito e uno fallito per poco.
A corollario è stato poi proiettato un filmato sul viaggio ancora di Gusmeroli e De Zaiacomo l’anno scorso in Pakistan, nella Nangama Valley salendo sullo Skem Braq.
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Luca Schiera, Giacomo Mauri e Luca Moroni hanno invece raccontato il loro tentativo sulla parete ovest del Changabang in Himalaya, 7800 metri, «una parete iconica del nuovo alpinismo», sulla mitica via aperta nel 1976 da Joe Tasker e Peter Boardman, ma in stile alpino.
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Tentativo fallito per via del maltempo, «ed è una ferita ancora aperta da sanare. Chissà, magari l’anno prossimo per il cinquantesimo dell’apertura della via».
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Spazio anche al boulder con Stefano Carnati a girare per sassi europei e Simone Tentori a Rocklands in Sudafrica.
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Infine, Matteo Della Bordella ha presentato il film che ha documentato la spedizione in Groenlandia alla conquista di una parete inviolata di 1200 metri di sviluppo su una montagna praticamente senza nome raggiunta dopo dieci giorni e 300 chilometri in kayak tra i ghiacciai e iceberg: «Trenta giorni in cui ci è capitato di tutto» compreso l’incontro con un orso bianco che li ha costretti a fare turni notturni di guardia per scongiurare eventuali assalti.
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Con Della Bordella c’erano il francese Simon Welfringer e gli svizzeri Silvan Schübbach e Alex Gammeter. La spedizione è stata raccontata appunto in un film, intitolato “Odyssea Borealis” e diretto da Alessandro Beltrame. Ma le riprese sono state effettuate dagli stessi alpinisti: «Il regista ci aveva dato alcune raccomandazioni: primo, usare molto il drone e siamo riusciti a distruggerlo dopo cinque giorni; secondo, intervistare più gente possibile e non abbiamo incontrato praticamente nessuno».
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«In effetti – ha continuato Della Bordella – è stata un po’ un’odissea. Ci é successo un po’ di tutto. Ma il nostro intento era vivere un’avventura con uno stile che favorisca il contatto e la consapevolezza per l’ambiente che ti circonda e anche la sostenibilità» con un’attenzione quindi a non lasciare rifiuti, tracce…
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Nel corso della serata è stato anche ricordato come l’impegno dei “ragni” in giro per il mondo non sia stato però solo quello di arrampicare o conquistare montagne, ma anche di creare contatti con le popolazioni locali, magari facendo i conti con le restrizioni imposte in Paesi retti da dittature.
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Ma le iniziative avviate in molte località stanno a dimostrare l’incrocio della storia del gruppo con la grande Storia. A testimonianza, è stato proiettato un brevissimo filmato dedicato a Mariolino Conti che, in Pakistan nel 2010, era intendo a costruire due stampelle per un bambino che non non era in grado di camminare per una malformazione a una gamba.
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E proprio legandosi a questo tema, il già presidente del Cai Alberto Pirovano, sottolineando come «noi ragni andiamo in montagna ma non siamo fuori dal mondo», ha letto un documento dedicato ai venti di guerra concludendo ricordando l’articolo 11 della nostra Costituzione, quello dell’Italia che ripudia la guerra.
D.C.
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