Bollettino del Santuario di San Girolamo/9: il fiore in trincea e le 'grazie' ai soldati al fronte
La prima chiesa dedicata a San Girolamo Emiliani? Venne eretta a Pedrengo (Bergamo) dalla famiglia Sottocasa. E la sua statua nella Basilica vaticana? Opera di Pietro Bracci, sculture dell'Oceano di Fontana di Trevi. Mentre no, i "Gerolimini" non hanno a che fare con i Somaschi: furono fondati dall'Eremita Pietro da Pisa che scelse a guida e protettore della Congregazione San Girolamo Dottore. Da qui il nome.
Sono tre curiosità, che oggigiorno verrebbero poste l'intelligenza artificiale, a cui danno risposta i Padri di Somasca, all'interno della rubrica "Marginalia" inserita nel Bollettino numero 9, pubblicato nel settembre del 1915. Un foglio, quello di 110 anni fa, interamente - o quasi - dedicato alla Guerra, con messaggi dal fronte e richieste di intercessione.

A colpire, tra tutti gli scritti, quello intitolato "Il ritorno a Dio d'un giovine" a firma "Maestra Dina Ambrosioni". Poche righe per raccontare dapprima la devozione delle madri e delle moglie dei soldati alle armi, per poi concentrarsi, in particolare, su una donna, "bianco il crine, cadente, stanco, il capo", "che ha ripetuto fin dall'inizio della guerra la Scala Santa, implorando fiduciosa ogni giorno, ogni ora: "O mio San Girolamo, salvameli i miei figli, salva l'anima loro, riconducili a Dio ed a me una volta buona". Or ecco - prosegue la narrazione - che pare ringiovanita, né trova parole per ringraziare e benedire il Santo. Il figlio suo Angiolo Baggioli, il maggiore, il più esposto alla furia della battaglia le ha scritto dalle trincee... Essa bacia e ribacia quella lettera, che custodisce in seno e nella quale egli le parla di Dio, di San Girolamo, delle sue pratiche cristiane alle quali non era uso". Un riavvicinamento, insomma, alla Chiesa. "Infatti chi conobbe l'autore di questa lettera - continua la maestra - resta edificato e lieto che la dolorosa prova delle armi abbia così mirabilmente richiamato quel fiero sdegnoso soldato al sentimento ed alla pietà di vero cristiano. Sempre vere - l'aggiunta - le parole del Generale Cadorna: "chi ha perduto l'amore di Patria e di Dio, qui lo riacquista".
Tutto bene quel che finisce bene, quindi? Macché. Dopo aver riportato infatti uno stralcio della missiva indirizzata dal giovane alla madre, ecco l'epilogo: "Povero fiore di trincea, cresciuto bello e orgoglioso tra l'infuriare della mischia ed il rombo continuo ed assordante del cannone, doveva essere colto per venir trapiantato nei giardini celesti! San Girolamo, che così bene l'aveva preparato, lo voleva con sé a godere il premio dei forti e festeggiare la sua bella festa del 20 luglio. La povera madre può e sa confortarsi siccome cristiana ed italiana".
Ringrazia invece il Santo, il fante Girolamo Riva, per due grazie ricevute: "Una il giorno 28 luglio; una palla nemica - scrive, chiedendo espressamente la pubblicazione della sua testimonianza sul Bollettino - mi forò la manica della giubba ed ebbi il braccio illeso; l'altra il 2 agosto: una bomba caduta sulla trincea; per intercessione di San Girolamo ch'io invocai di cuore, m'ispirò di mettermi in salvo, mentre i miei compagni che restavano rimasero chi morti e chi feriti. Se io non avessi dato ascolto al suggerimento interno sarei rimasto anch'io morto!".
E di altra "protezione" concessa, si racconta anche in riferimento alla medagliette fatte pervenire ai soldati al fronte (con il rendiconto dell'obolo versato dai combattenti). "Ad uno che a Lui vivamente si raccomandava - è detto a proposito del "Padre degli orfani" - una scheggia violenta di granata, trapassava tre volte la mantellina, forava le fasce, ma non giungeva a ledere, con meraviglia di tutti quelli che hanno visto, hanno tremato al sibilo...".
Sembra poi di vederla, la scena descritta da un “figlio di San Girolamo”, tra fede e patriottismo: “Sotto le barracchette solitarie, piuttosto tane di trogloditi che albergo d'uomini, hanno fatto il loro altarino e nel mezzo splende l'immaginetta di San Girolamo Emiliani, in ogni sera, con Rosario della Vergine, raccomandano la fortezza delle nostre armi, sé stessi, le loro famiglie (...). Sublime e commovente è in questo altare, campati in cielo, sotto il sibilo minaccioso degli strumenti di morte, vedere compunti e fiduciosi accostarsi a ricevere il Pane dei forti, i difensori eroici dei diritti dell'Italia bella. E' nella rinascita di questa fede viva che si raccomanda l'avvenire della Patria".
Sono tre curiosità, che oggigiorno verrebbero poste l'intelligenza artificiale, a cui danno risposta i Padri di Somasca, all'interno della rubrica "Marginalia" inserita nel Bollettino numero 9, pubblicato nel settembre del 1915. Un foglio, quello di 110 anni fa, interamente - o quasi - dedicato alla Guerra, con messaggi dal fronte e richieste di intercessione.

A colpire, tra tutti gli scritti, quello intitolato "Il ritorno a Dio d'un giovine" a firma "Maestra Dina Ambrosioni". Poche righe per raccontare dapprima la devozione delle madri e delle moglie dei soldati alle armi, per poi concentrarsi, in particolare, su una donna, "bianco il crine, cadente, stanco, il capo", "che ha ripetuto fin dall'inizio della guerra la Scala Santa, implorando fiduciosa ogni giorno, ogni ora: "O mio San Girolamo, salvameli i miei figli, salva l'anima loro, riconducili a Dio ed a me una volta buona". Or ecco - prosegue la narrazione - che pare ringiovanita, né trova parole per ringraziare e benedire il Santo. Il figlio suo Angiolo Baggioli, il maggiore, il più esposto alla furia della battaglia le ha scritto dalle trincee... Essa bacia e ribacia quella lettera, che custodisce in seno e nella quale egli le parla di Dio, di San Girolamo, delle sue pratiche cristiane alle quali non era uso". Un riavvicinamento, insomma, alla Chiesa. "Infatti chi conobbe l'autore di questa lettera - continua la maestra - resta edificato e lieto che la dolorosa prova delle armi abbia così mirabilmente richiamato quel fiero sdegnoso soldato al sentimento ed alla pietà di vero cristiano. Sempre vere - l'aggiunta - le parole del Generale Cadorna: "chi ha perduto l'amore di Patria e di Dio, qui lo riacquista".
Tutto bene quel che finisce bene, quindi? Macché. Dopo aver riportato infatti uno stralcio della missiva indirizzata dal giovane alla madre, ecco l'epilogo: "Povero fiore di trincea, cresciuto bello e orgoglioso tra l'infuriare della mischia ed il rombo continuo ed assordante del cannone, doveva essere colto per venir trapiantato nei giardini celesti! San Girolamo, che così bene l'aveva preparato, lo voleva con sé a godere il premio dei forti e festeggiare la sua bella festa del 20 luglio. La povera madre può e sa confortarsi siccome cristiana ed italiana".

E di altra "protezione" concessa, si racconta anche in riferimento alla medagliette fatte pervenire ai soldati al fronte (con il rendiconto dell'obolo versato dai combattenti). "Ad uno che a Lui vivamente si raccomandava - è detto a proposito del "Padre degli orfani" - una scheggia violenta di granata, trapassava tre volte la mantellina, forava le fasce, ma non giungeva a ledere, con meraviglia di tutti quelli che hanno visto, hanno tremato al sibilo...".

A.M.