Lecco: visite a Villa Gomes e Villa Ponchielli, gioielli di un'epoca mitica
Una grande mobilitazione e un notevole afflusso di pubblico nella giornata di domenica per le visite alle ville Ponchielli e Gomes di Maggianico. E se quest'ultima, sede della scuola civica di musica, non è ormai più “segreta” per i lecchesi, la prima rappresentava invece un’opportunità da non perdere: si tratta infatti di uno degli edifici storici della città per i quali fino a ora si è tentato soltanto di arginare l’avanzare del degrado, dopo anni di abbandono, di incursioni vandaliche seguite a quelle dei ladri che hanno fatto man bassa di ciò che non era stato messo prontamente al sicuro altrove, uno stabile ancora in attesa di conoscere il suo destino.

A promuovere una giornata indubbiamente eccezionale – ripetendo l’esperimento del mese di giugno – è stato un “cartello” di diversi sodalizi: “Spring Run Lecco”, il circolo “Fratelli Figini" di Maggianico, il gruppo Alpini di Maggianico e Chiuso, l’associazione “Giuseppe Bovara”, l’Officina Gerenzone, l’Ordine dei cavalieri di Parte Guelfa, l’Archive’s Heritage, la Comunità pastorale del Beato Serafino.
Scopo ufficiale la raccolta di fondi per il restauro di un quadro secentesco conservato nella chiesa parrocchiale di Maggianico: un’Adorazione dei pastori collocata nella cappella dove, tra i molti altri, venne battezzata anche Amilcarina Gioconda Ponchielli, figlia appunto del musicista Amilcare Ponchielli che aveva costruito la sua villa accanto a quella di Carlo Gomes.

Si parla della più volte raccontata epopea della scapigliatura lecchese, con Antonio Ghislanzoni (cantante e poi scrittore, giornalista, librettista e tanto altro ancora) a richiamare a Maggianico, all’epoca in auge per via di uno stabilimento termale, una schiera di artisti che si radunava all’albergo del Davide, trasformandolo in una sorta di cenacolo ed entrato ormai nella mitologia della città, accanto al paesaggio più bello del mondo, ad Alessandro Manzoni, alla storia industriale e all’alpinismo.

Le visite alle due ville si sono susseguite per l’intera giornata, Il gruppo del quale faceva parte il vostro cronista è stato accompagnato da Paolo Colombo, Umberto Calvi, Enrico Bonaiti, Carlo Pirovano, Gianfranco Scotti e Annamaria Molinari.

Come detto, Villa Gomes è stata restituita da tempo ai lecchesi, dopo che anch’essa per anni era rimasta in stato di abbandono. Antonio Carlo Gomes (1836-1936) è ritenuto il maggior musicista brasiliano dell’Ottocento, anche se il suo periodo italiano non fu propriamente fortunato. L’amicizia con Ghislanzoni lo portò a soggiornare a Maggianico dove appunto volle costruire quella che chiamò Villa Brasilia, sorta nel 1880. Ma non se la godette a lungo – ha spiegato Molinari -. Già nel 1887, infatti, fu costretto a venderla per una serie di traversie finanziarie. Venne acquistata dall’imprenditore d’origine tedesca Alberto Moldenhauer, stampatore e cartografo che sarebbe morto nel 1904, mentre l’anno seguente sarebbe deceduto uno dei tre figli. La villa passò quindi agli altri due eredi: Carlo e Maria. Il primo fu medico di professione e fotografo per passione ma non per questo di secondaria importanza avendo lasciato un patrimonio inestimabile, in parte conservato dai musei lecchesi. Maria e il marito Ennio Groppelli, notaio milanese, avrebbero arricchito la villa con affreschi e altri interventi di abbellimento durati fino agli anni Venti del Novecento. Sullo scalone campeggia la scultura di un’aquila sulla quale è inciso il monogramma della famiglia, EMG, appunto Emilio e Maria Groppelli, lo stesso con il quale intestavano la carta da lettera.

Nel 1959, la villa venne venduta al Comune che ne venne però in possesso solo nel 1969, alla morte di Maria. E iniziò un lungo periodo di incertezza: mentre ci si interrogava sui possibili utilizzi, il tempo inesorabilmente ne velocizzava il decadimento. Finché venne praticamente recintata e interdetta al pubblico, mentre il parco venne messo a disposizione del quartiere. Quando finalmente, negli anni Ottanta, si mise mano allo stabile, la situazione era disastrosa. Nel 1982, un soprintendente gettò la spugna e non ne volle più sapere. Dopo di che, a ridare vigore all’opera di recupero, fu il progetto presentato dallo Studio di architettura Terragni di Como e nel 1986 la villa tornò a vivere.

Nel frattempo, in città era sorta la scuola civica di musica poi intitolata ad Amilcare Zelioli. Una scuola della quale si parlava già una trentina d’anni prima, quando appunto il Comune acquisiva lo stabile. E l’ipotesi era che potesse trovare sede proprio a Villa Gomes. L’obiettivo, peraltro, era di realizzare un vero e proprio conservatorio. Di conservatorio, poi, non si parlò più, ma la scuola nacque (nel 1984) e crebbe. E dal 1986 è appunto a Maggianico, frequentata da centinaia di studenti dagli zero ai 99 anni, con corsi che vanno dalla musica antica alla contemporanea. Di recente non sono mancati ulteriori investimenti comunali. Inoltre, a breve, nella sala d’onore tornerà anche il vecchio lampadario a gocce che andrà a sostituire l’attuale sistema di illuminazione moderno, restituendo così l’antico fascino in quello che è un locale di rappresentanza: tra le altre cerimonie, vi si celebrano infatti anche i matrimoni civili.

Un futuro ancora tutto da inventare, invece, è quello di Villa Ponchielli o, meglio, Villa Teresina: il musicista infatti volle dedicarla alla moglie Teresina Brambilla.
La casa venne edificata anch’essa nel 1880 su un terreno che allora era un’autentica delizia. Per quanto compreso tra lo “Stradun” per Bergamo che non era certo trafficato come lo sarebbe stato in seguito, e la ferrovia aperta già nel 1863: ma c’era un solo binario, la frequenza dei treni era minima e il lago e l’Adda arrivavano a poca distanza, così che lo sguardo poteva essere sconfinato. La località si chiamava Castellazzo, un nome che affascinò Ponchielli, il quale volle così realizzare un’incongrua merlatura alla palazzina che ospitava le scuderie. Erano del resto ancora i tempi dei richiami architettonici al Medioevo.

Rispetto a Gomes, Ponchielli, nato nel 1834 a Milano, ebbe maggiori soddisfazioni professionali, anche se oggi – ha ricordato Enrico Bonaiti – è ormai quasi dimenticato. L’unica sua opera che si è continuato a rappresentare e che ancora compare in cartellone è “La Gioconda”, della quale il grande pubblico conosce il brano della “Danza delle ore”. Ponchielli era innamorato di Lecco e del suo paesaggio, c’era passato anche in viaggio di nozze. E così volle quella villa.
Ma come il collega Gomes, anche lui non vi soggiornò a lungo. Morì infatti nel 1886 – un anno prima, dunque, che Gomes vendesse la propria dimora - per i postumi di una broncopolmonite che lo colse mentre era in un tournée, ulteriormente aggravata dal ritorno a Milano a bordo di un treno gelido. La villa restò agli eredi fino al 1927, quando venne acquistata dall’imprenditore lecchese Valentino Gerosa Crotta: è il Valentino del celebre parco ai Piani Resinelli, donato dalla famiglia al Touring club (e oggi acquisito dalla Comunità montana) salvandolo così da un dissennato sviluppo edilizio che ha interessato la località ai piedi della Grignetta.

La villa di Maggianico è stata abitata fino al 1991 dagli eredi che la lasciarono agli Istituti Airoldi e Muzzi, che nel 1995 la vendettero al Comune. Da allora è in attesa di una valorizzazione. In questi trent’anni, però, ha attraversato tempi bui: qualcosa di quanto vi era conservato si è riuscito a salvare, altri arredi sono stati rubati, per un certo periodo è stato ricovero di sbandati e senza tetto. E, anni fa, anche il Comune ci mise del suo, incaricando un rigattiere di far sparire tutto quanto era rimasto. Anche il parco, lasciato a sé stesso, era diventato una giungla. Soltanto una parte affidata a un allevatore viene manutenuta costantemente.

Ponchielli ne aveva curato la realizzazione con particolare attenzione dal punto di vista della vegetazione e del suo disegno: vi installò un laghetto alimentato da una vicina sorgente e attorniato da una corona d’alberi che ne facevano un angolo riparto e romantico. Poco sopra, una scalinata raggiunge la casa passando per una grotta con stalattiti artificiali, tale era il gusto dell’epoca.

Nei mesi scorsi, i volontari delle varie associazioni coinvolte hanno lavorato sodo per disboscare l’area, togliere i rovi cresciuti spontaneamente e aggrovigliatisi in una selva quasi inestricabile, così da renderla agibile per le visite, una prima a giugno e un’altra appunto ieri. Si è cercato, nei limiti del possibile, di ricreare il laghetto; è stata ripulita la grotta, la villa è malmessa, ma ancora recuperabile.

Per arricchire la visita, cercando di ricostruire l’atmosfera della dimora ai suoi tempi migliori, in una stanza del pian terreno rimesso in sesto dagli stessi volontari sono stati posti candelabri e appesi alle pareti quadri dei pittori Orlando Sora, Carlo Pizzi, Andrea Fleissner e Paolo Solari, la cui opera e importanza per la nostra città sono state illustrate da Gianfranco Scotti.

Da parte sua, Paolo Colombo ha riconosciuto al Comune il coraggio di consentire l’apertura della villa alle visite, considerato che lo stato di degrado non è certo un bel biglietto da visita per una qualsiasi amministrazione. Ora, il parco è stato inserito nel programma di manutenzione del verde cittadino, per cui periodicamente si procede allo sfalcio e alla pulizia. Ma naturalmente l’attenzione va al recupero completo della villa.
Nel corso di questi trent’anni, con le giunte più diverse, le idee si sono susseguite, più o meno fantasiose, senza però arrivare mai a un progetto concreto. Si era anche parlato di parco a tema o addirittura di un ristorante. Recentemente ci sono anche stati contatti tra il Comune e il Fai (il Fondo per l’ambiente) su una possibile convenzione per la gestione e l’apertura della villa.
Le stesse associazioni che hanno proposto la giornata di apertura hanno proprie idee. Ma occorrono innanzitutto investimenti di grande portata per il restauro del compendio. La mobilitazione di questi ultimi mesi ci dice, però, che qualcosa in città si sta muovendo: Villa Ponchielli non è dimenticata.

A promuovere una giornata indubbiamente eccezionale – ripetendo l’esperimento del mese di giugno – è stato un “cartello” di diversi sodalizi: “Spring Run Lecco”, il circolo “Fratelli Figini" di Maggianico, il gruppo Alpini di Maggianico e Chiuso, l’associazione “Giuseppe Bovara”, l’Officina Gerenzone, l’Ordine dei cavalieri di Parte Guelfa, l’Archive’s Heritage, la Comunità pastorale del Beato Serafino.


Si parla della più volte raccontata epopea della scapigliatura lecchese, con Antonio Ghislanzoni (cantante e poi scrittore, giornalista, librettista e tanto altro ancora) a richiamare a Maggianico, all’epoca in auge per via di uno stabilimento termale, una schiera di artisti che si radunava all’albergo del Davide, trasformandolo in una sorta di cenacolo ed entrato ormai nella mitologia della città, accanto al paesaggio più bello del mondo, ad Alessandro Manzoni, alla storia industriale e all’alpinismo.

Le visite alle due ville si sono susseguite per l’intera giornata, Il gruppo del quale faceva parte il vostro cronista è stato accompagnato da Paolo Colombo, Umberto Calvi, Enrico Bonaiti, Carlo Pirovano, Gianfranco Scotti e Annamaria Molinari.

Come detto, Villa Gomes è stata restituita da tempo ai lecchesi, dopo che anch’essa per anni era rimasta in stato di abbandono. Antonio Carlo Gomes (1836-1936) è ritenuto il maggior musicista brasiliano dell’Ottocento, anche se il suo periodo italiano non fu propriamente fortunato. L’amicizia con Ghislanzoni lo portò a soggiornare a Maggianico dove appunto volle costruire quella che chiamò Villa Brasilia, sorta nel 1880. Ma non se la godette a lungo – ha spiegato Molinari -. Già nel 1887, infatti, fu costretto a venderla per una serie di traversie finanziarie. Venne acquistata dall’imprenditore d’origine tedesca Alberto Moldenhauer, stampatore e cartografo che sarebbe morto nel 1904, mentre l’anno seguente sarebbe deceduto uno dei tre figli. La villa passò quindi agli altri due eredi: Carlo e Maria. Il primo fu medico di professione e fotografo per passione ma non per questo di secondaria importanza avendo lasciato un patrimonio inestimabile, in parte conservato dai musei lecchesi. Maria e il marito Ennio Groppelli, notaio milanese, avrebbero arricchito la villa con affreschi e altri interventi di abbellimento durati fino agli anni Venti del Novecento. Sullo scalone campeggia la scultura di un’aquila sulla quale è inciso il monogramma della famiglia, EMG, appunto Emilio e Maria Groppelli, lo stesso con il quale intestavano la carta da lettera.

Nel 1959, la villa venne venduta al Comune che ne venne però in possesso solo nel 1969, alla morte di Maria. E iniziò un lungo periodo di incertezza: mentre ci si interrogava sui possibili utilizzi, il tempo inesorabilmente ne velocizzava il decadimento. Finché venne praticamente recintata e interdetta al pubblico, mentre il parco venne messo a disposizione del quartiere. Quando finalmente, negli anni Ottanta, si mise mano allo stabile, la situazione era disastrosa. Nel 1982, un soprintendente gettò la spugna e non ne volle più sapere. Dopo di che, a ridare vigore all’opera di recupero, fu il progetto presentato dallo Studio di architettura Terragni di Como e nel 1986 la villa tornò a vivere.

Nel frattempo, in città era sorta la scuola civica di musica poi intitolata ad Amilcare Zelioli. Una scuola della quale si parlava già una trentina d’anni prima, quando appunto il Comune acquisiva lo stabile. E l’ipotesi era che potesse trovare sede proprio a Villa Gomes. L’obiettivo, peraltro, era di realizzare un vero e proprio conservatorio. Di conservatorio, poi, non si parlò più, ma la scuola nacque (nel 1984) e crebbe. E dal 1986 è appunto a Maggianico, frequentata da centinaia di studenti dagli zero ai 99 anni, con corsi che vanno dalla musica antica alla contemporanea. Di recente non sono mancati ulteriori investimenti comunali. Inoltre, a breve, nella sala d’onore tornerà anche il vecchio lampadario a gocce che andrà a sostituire l’attuale sistema di illuminazione moderno, restituendo così l’antico fascino in quello che è un locale di rappresentanza: tra le altre cerimonie, vi si celebrano infatti anche i matrimoni civili.

Un futuro ancora tutto da inventare, invece, è quello di Villa Ponchielli o, meglio, Villa Teresina: il musicista infatti volle dedicarla alla moglie Teresina Brambilla.
La casa venne edificata anch’essa nel 1880 su un terreno che allora era un’autentica delizia. Per quanto compreso tra lo “Stradun” per Bergamo che non era certo trafficato come lo sarebbe stato in seguito, e la ferrovia aperta già nel 1863: ma c’era un solo binario, la frequenza dei treni era minima e il lago e l’Adda arrivavano a poca distanza, così che lo sguardo poteva essere sconfinato. La località si chiamava Castellazzo, un nome che affascinò Ponchielli, il quale volle così realizzare un’incongrua merlatura alla palazzina che ospitava le scuderie. Erano del resto ancora i tempi dei richiami architettonici al Medioevo.

Rispetto a Gomes, Ponchielli, nato nel 1834 a Milano, ebbe maggiori soddisfazioni professionali, anche se oggi – ha ricordato Enrico Bonaiti – è ormai quasi dimenticato. L’unica sua opera che si è continuato a rappresentare e che ancora compare in cartellone è “La Gioconda”, della quale il grande pubblico conosce il brano della “Danza delle ore”. Ponchielli era innamorato di Lecco e del suo paesaggio, c’era passato anche in viaggio di nozze. E così volle quella villa.
Ma come il collega Gomes, anche lui non vi soggiornò a lungo. Morì infatti nel 1886 – un anno prima, dunque, che Gomes vendesse la propria dimora - per i postumi di una broncopolmonite che lo colse mentre era in un tournée, ulteriormente aggravata dal ritorno a Milano a bordo di un treno gelido. La villa restò agli eredi fino al 1927, quando venne acquistata dall’imprenditore lecchese Valentino Gerosa Crotta: è il Valentino del celebre parco ai Piani Resinelli, donato dalla famiglia al Touring club (e oggi acquisito dalla Comunità montana) salvandolo così da un dissennato sviluppo edilizio che ha interessato la località ai piedi della Grignetta.

La villa di Maggianico è stata abitata fino al 1991 dagli eredi che la lasciarono agli Istituti Airoldi e Muzzi, che nel 1995 la vendettero al Comune. Da allora è in attesa di una valorizzazione. In questi trent’anni, però, ha attraversato tempi bui: qualcosa di quanto vi era conservato si è riuscito a salvare, altri arredi sono stati rubati, per un certo periodo è stato ricovero di sbandati e senza tetto. E, anni fa, anche il Comune ci mise del suo, incaricando un rigattiere di far sparire tutto quanto era rimasto. Anche il parco, lasciato a sé stesso, era diventato una giungla. Soltanto una parte affidata a un allevatore viene manutenuta costantemente.

Ponchielli ne aveva curato la realizzazione con particolare attenzione dal punto di vista della vegetazione e del suo disegno: vi installò un laghetto alimentato da una vicina sorgente e attorniato da una corona d’alberi che ne facevano un angolo riparto e romantico. Poco sopra, una scalinata raggiunge la casa passando per una grotta con stalattiti artificiali, tale era il gusto dell’epoca.

Nei mesi scorsi, i volontari delle varie associazioni coinvolte hanno lavorato sodo per disboscare l’area, togliere i rovi cresciuti spontaneamente e aggrovigliatisi in una selva quasi inestricabile, così da renderla agibile per le visite, una prima a giugno e un’altra appunto ieri. Si è cercato, nei limiti del possibile, di ricreare il laghetto; è stata ripulita la grotta, la villa è malmessa, ma ancora recuperabile.

Per arricchire la visita, cercando di ricostruire l’atmosfera della dimora ai suoi tempi migliori, in una stanza del pian terreno rimesso in sesto dagli stessi volontari sono stati posti candelabri e appesi alle pareti quadri dei pittori Orlando Sora, Carlo Pizzi, Andrea Fleissner e Paolo Solari, la cui opera e importanza per la nostra città sono state illustrate da Gianfranco Scotti.

Da parte sua, Paolo Colombo ha riconosciuto al Comune il coraggio di consentire l’apertura della villa alle visite, considerato che lo stato di degrado non è certo un bel biglietto da visita per una qualsiasi amministrazione. Ora, il parco è stato inserito nel programma di manutenzione del verde cittadino, per cui periodicamente si procede allo sfalcio e alla pulizia. Ma naturalmente l’attenzione va al recupero completo della villa.
Le stesse associazioni che hanno proposto la giornata di apertura hanno proprie idee. Ma occorrono innanzitutto investimenti di grande portata per il restauro del compendio. La mobilitazione di questi ultimi mesi ci dice, però, che qualcosa in città si sta muovendo: Villa Ponchielli non è dimenticata.
D.C.