PAROLE CHE PARLANO/251

Sbirro

Il termine sbirro è usato oggi, in modo colloquiale e spesso dispregiativo, per indicare un agente di polizia o una guardia. Eppure, la sua origine affonda nel lessico rinascimentale e barocco, raccontando una storia di evoluzione semantica tanto affascinante quanto rivelatrice.

L’etimologia più accreditata lo riconduce al tedesco Schirrmeister (letteralmente "capo delle scuderie" o "attendente armato"), o alla radice schirren ("attaccare i cavalli, legare"). 

La parola arrivò in Italia nel Cinquecento, portata dalle milizie mercenarie tedesche che servivano negli Stati preunitari. Inizialmente, il termine indicava un uomo armato al servizio dell’autorità, con compiti militari o di polizia urbana, una figura che, lungi dall’essere disprezzata, incarnava ordine e lealtà al potere.

Alcuni studiosi, però, hanno ipotizzato in modo alternativo un legame con il termine lombardo sbira ("squadra, schiera armata"), un’etimologia che tuttavia rafforza l’associazione con guardie e milizie. Quale che sia la sua origine esatta, la parola si diffuse soprattutto negli Stati italiani centro-settentrionali, dove gli sbirri erano ufficiali subalterni addetti alla cattura di malviventi, al controllo dell’ordine pubblico e all’esecuzione degli ordini giudiziari.

È con il passare del tempo, però, che il termine acquisì una sfumatura negativa. Lo sbirro non venne più visto come un tutore imparziale della legge, ma come uno strumento talvolta brutale del potere politico o giudiziario, un esecutore di ordini spesso percepiti come ingiusti o arbitrari. Questa connotazione peggiorativa si è consolidata nell’uso moderno, tanto che oggi rimane un sinonimo popolare, spesso offensivo o ironico, di "poliziotto", carico tuttavia di memoria storica.
Rubrica a cura di Dino Ticli
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