Svelati i dati di un sondaggio riferito a sette RSA lecchesi

Una casa o un ospedale. Ma anche un incrocio di strade. È questo l’immaginario che viene prevalentemente associato ad una RSA, ovvero una residenza sanitaria assistenziale. A rivelarcelo è stata la ricerca presentata ieri mattina da Laura Formenti e Gaia Del Negro dell’Università Milano Bicocca nell’ambito del progetto “RSA. Dove le generazioni si incontrano”, promosso da sette RSA della provincia di Lecco con ente capofila gli Istituti Riuniti Airoldi e Muzzi e finanziato dalla Fondazione comunitaria del lecchese - Fondo Aiutiamoci - e dalla Fondazione Fratelli Frassoni. 
L’aula magna del Liceo Manzoni era quasi al completo per l’occasione: oltre 120 i partecipanti intervenuti, tra giovani, volontari, adulti e responsabili delle RSA coinvolte nel progetto (Casa di Riposo “Brambilla-Nava” di Civate; Villa dei Cedri di Merate; Borsieri di Lecco; Regoledo di Perledo – Fondazione Sacra Famiglia; Casa di Riposo Enrico e Antonio Nobili di Viganò Brianza;  RSA La Madonnina di Vendrogno). Un pubblico eterogeneo, così come eterogeneo è stato il campione dell’intervista raccolta nei mesi scorsi dalle ricercatrici, che hanno elaborato le risposte a quasi 1.200 questionari forniti da adolescenti (47%), adulti (dai 20 ai 64 anni il 42%) e senior (oltre i 65 anni l’11%), in grande prevalenza donne (77%), che hanno frequentato una RSA come visitatori (69%) o volontari (28%).
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Tra i risultati emersi sono state descritte le principali metafore emerse che rappresentano nell’immaginario le RSA. La RSA è considerata innanzitutto una casa, “un luogo accogliente, dove le persone si sentono a proprio agio e supportate”, che, “proprio come una casa, dovrebbe offrire comfort, calore e un ambiente familiare a chi ci vive”. In effetti una RSA “per tanti anziani soli può essere come stare in famiglia”. A ritenerla tale il 34% degli intervistati, con una netta prevalenza per gli adolescenti (41%) e i senior (41%), nel loro ruolo di visitatori o ospiti. 
Per il 18% prevale invece la visione di ospedale, “perché è un luogo dove le persone vengono curate e seguite da medici e infermieri proprio come in ospedale”, ma anche perché “l’ambiente, le stanze, i camici e i macchinari ricordano un reparto ospedaliero”. La vedono così soprattutto gli adolescenti (il 21%) e gli adulti (18%), studenti i primi e famigliari i secondi.
Infine per il 9% - in prevalenza adulti (12%) e senior (11%), nel ruolo di operatori e volontari i primi, ospiti i secondi - una RSA è un incrocio di strade, sia “perché si incontrano diverse storie di vita, personali e professionali”, sia perché vi si ritrovano “generazioni diverse: chi ha bisogno di aiuto e chi lo offre, ma spesso accade il contrario”. Un contesto di relazioni, dove “un gesto, un ricordo o un sorriso dell’anziano cura più di qualsiasi terapia”, ma anche dove, come agli incroci, “a volte ci si riconosce e ci si saluta; molto più spesso ci si ignora”.
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Percentuali minori hanno raccolto altre metafore, come un giardino (5%) o una prigione (4%), mentre non sono mancate altre immagini positive (quali una tavola imbandita, una famiglia allargata, una mano che accarezza un viso, un cielo azzurro con le nuvole un po’ grigie, un ospedale divertente, un porto sicuro e un piccolo borgo), piuttosto che negative (un posto perduto che non lo auguri a nessuno, un paesaggio invernale) o malinconiche (un vecchio negozio di giocattoli rotti ma dagli occhi dolci).
Interessante anche la lettura delle risposte sulle funzioni principali delle RSA riconosciute dagli intervistati: fornire assistenza e cure sanitarie (83,4%), sostenere una cultura dell’invecchiamento attivo e significativo (31,7%), sostenere le relazioni tra ospiti e famiglie (30,2%), fornire occasioni di svago, sociali e culturali (25,5%), stimolare gli interessi degli ospiti (25%), favorire le relazioni tra gli ospiti (24,6%), fornire un ambiente di vita pulito e ordinato (18%), accompagnare nel fine vita (16,3%), alleggerire le famiglie (15,4%), diventare un luogo di riferimento per la comunità (13,6%) e favorire le relazioni tra generazioni (11,8%).
Un tema, quello dell’intergenerazionalità, che è proprio il focus del progetto “RSA. dove le generazioni si incontrano”, di cui sono state presentate nella prima parte del convegno - aperto dal saluto del segretario generale della Fondazione comunitaria del Lecchese Paolo Dell’Oro e moderato da Ruggero Plebani (Direttore Ambiti Territoriali di Lecco, Bellano e Merate) alcune esperienze significative maturate in questo anno di attività. E sono state tutte testimonianze estremamente ricche ed emotivamente toccanti, che hanno evidenziato i valori della cura, della relazione e dell’ascolto, ma anche dello scambio di esperienze, di un sano protagonismo attento all’altro, di una reciprocità nel dare e nel ricevere, e al tempo stesso di un aprirsi delle RSA alla comunità, per una loro sempre già stretta integrazione.
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“Quello che è emerso quest’oggi - ha commentato Betty Lazzarotto, coordinatrice del progetto - è un senso di coralità: ci siamo messi insieme per condividere un percorso di pensiero e azione, ad oggi intrapreso in sette RSA del territorio, ma aperto anche ad altre realtà che hanno chiesto di aderirvi. È un mondo, quello che abbiamo ascoltato questa mattina, che riconosce l’importanza e la bellezza della cura dell’anzianità fragile e lo fa facendo entrare nelle strutture le giovani generazioni. Queste ultime spesso non conoscono le strutture e non sono ingaggiate nella cura nemmeno quando hanno un anziano in casa. I giovani che stanno vivendo questo progetto vengono così ingaggiati in un’esperienza di attenzione e cura che li fa crescere oggi come persone e si proietta verso il futuro”.
Da strutture isolate e confinate a poli vivi e attrattivi, risorsa per la società: è questa la scommessa del progetto. “Crediamo che l’invecchiamento non debba più essere solo attivo, ma comunitario. - ha continuato Betty Lazzarotto - Deve cioè collegarsi da un lato con le politiche del territorio e dall’altro aprirsi ad una condivisione sempre più stretta a tutta la comunità”.
Significativo, da questo punto di vista, la testimonianza di Michela Cavenaghi, Sara Bertaglio e Andrea Orsingher, giovani “competenti” del Progetto Living Land che hanno parlato a nome di tutti i giovani impegnati nel progetto. “Ascoltare e raccontare storie di vita in Rsa”: “L’esperienza che noi giovani abbiamo avuto l’opportunità di vivere nelle diverse RSA del territorio, fatta di ascolto e di raccolta di storie di vita, può essere riassunta in due parole: fortemente umana. Abbiamo incontrato mani che tremano, ma che hanno ancora tanta voglia di fare. Voci che si spezzano, ma che non rinunciano a raccontare. Sguardi che portano dentro decenni di storia, e che si illuminano quando trovano qualcuno disposto ad ascoltare. Spesso si pensa alle RSA come luoghi spenti e silenziosi, segnati dall’idea della fine. Noi abbiamo visto invece emozioni vive, desideri che non si arrendono allo scorrere del tempo, e una voglia di vivere da cui prendere ispirazione”. E hanno continuato: “Abbiamo avuto modo di scoprire la sensibilità e la fragilità che ha caratterizzato la vita delle persone che abbiamo incontrato, ma anche la grande forza e il coraggio che hanno dimostrato nell’affrontare le numerose sfide che la vita gli ha posto di fronte. Ci ha colpito e sorpreso il fatto che nella maggior parte dei casi hanno avuto la capacità di reagire con leggerezza e ottimismo, trasformando le difficoltà in opportunità. Si sono dimostrati partecipi e vogliosi di raccontare le loro storie, con la consapevolezza e la gioia che, così facendo, una parte della loro vita sarebbe rimasta impressa nella vita di qualcun altro. E noi, in quel momento, ci siamo sentiti custodi di qualcosa di autentico e prezioso”. 
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