Case in affitto: poche e care. Il Comune di Lecco vuol cambiare rotta
Rilanciare il mercato della casa in affitto a Lecco. E’ uno degli obiettivi del nuovo Piano di governo del territorio, lo strumento che determinerà lo sviluppo della città nei prossimi cinque e oltre anni, per il quale entro il 3 novembre andranno presentate le osservazioni che saranno poi discusse dal consiglio comunale per arrivare all’adozione definitiva a inizio 2026.

Perché la carenza di case in affitto, e quelle poche sono sul mercato a canoni spesso inavvicinabili, determina lo stesso sviluppo economico della città. Perché per i giovani, che non hanno risparmi alle spalle e i cui primi stipendi sono bassi, ma anche per altre categorie come infermieri, agenti di polizia, insegnanti, dipendenti pubblici, autisti dei bus, operai, trovare una casa in affitto in città è impossibile. E allora si va altrove. Anche a lavorare. E in tal modo Lecco perde risorse. E allora occorrono nuove regole. Non solo vendita: i costruttori dovranno prevedere nell’ambito dell’intervento edilizio anche alloggi da affittare a prezzi calmierati o, in alternativa, versare al Comune un corrispettivo economico destinato a costituire un vero e proprio fondo per l’edilizia sociale. E prevedere che gli oneri di urbanizzazione – ciò che un operatore deve già versare per legge a fronte di un qualsiasi intervento edilizia – possano essere utilizzati nella stessa direzione. Anziché realizzare, in cambio del permesso a edifficare, una rotonda, un auditorium, una biblioteca o quant’altro, si costruiscano alloggi “pubblici”. Fino a oggi non è stato possibile perché i precedenti piani urbanistici non lo contemplavano.

Se ne è parlato ieri sera, alla “Piccola”, in occasione del secondo dei tre incontri promossi dall’amministrazione comunale per presentare pubblicamente le scelte del piano urbanistico cittadino. Al tavolo il sindaco Mauro Gattinoni, l’assessore al Sociale Emanuele Manzoni, quello all’urbanistica Giuseppe Rusconi e l’ingegnere Gabriele Rabaiotti che ha collaborato alla stesura del documento di programmazione.

Il primo cittadino ha aperto l’incontro fornendo qualche cifra che, da sola, “fotografa” l’attuale situazione: «Sono andato a vedere su un sito internet, quanti quadrilocali fossero disponibili in affitto. Ho trovato undici offerte, pochissime per una città da cinquantamila abitanti. Quello più economico prevedeva un canone mensile di mille euro, ma si saliva fino a 2300. E’ chiaro che non basta uno stipendio per un canone simile, senza contare che poi bisogna pagare le utenze, le spese condominiali. Oltre al resto. E’ un problema di tutte le città capoluogo, per non parlare naturalmente di Milano. Significa che una giovane coppia fatica a radicarsi, a scegliere Lecco come città in cui vivere. Non vogliamo certo fare la guerra a chi costruisce, vende o negozia sul mercato edilizio. Ma dobbiamo rispondere ai cittadini e soprattutto ai cittadini futuri che avranno salari ancora più bassi. Quindi, occorrono regole. Il nostro progetto è di arrivare a mettere sul mercato 490 alloggi a canoni d’affitto abbordabili. Che è un altro discorso rispetto alle case popolari. E quindi edilizia convenzionata, canoni concordati che non siano più alti di un terzo di una retribuzione mensile comune. I motivi di questa situazione li conosciamo: da una parte il turismo con le seconde case destinate a bed and breakfast o ad affitti brevi e dall’altra l’università che porta molti giovani a Lecco e che spesso si trovano costretti ad affittare un semplice posto letto a 750 euro al mese: una rapina!»

E allora nelle aree di rigenerazione urbana, che sono poi quelle delle industrie dismesse o di vecchi edifici, l’operatore deve destinare il 20% del costruito a questo genere di affitto e fino al 50% se dovesse ricorrere ai “premi” e cioè a ottenere la possibilità di una maggiore volumetria rispetto a quanto previsto. E poi, vendite calmierate, oppure in affitto per almeno vent’anni.
«Dobbiamo dire – ha aggiunto Gattinoni – che i costruttori non ci hanno accolto con il tappeto rosso, ma hanno capito e hanno avanzato loro proposte.»
Ci potrà essere la possibilità versare un corrispettivo economico del valore del non costruito – moltiplicato per due o per tre secondo le situazioni – da destinare a un fondo per la casa; di recuperare proprietà attualmente inutilizzate da destinare a questo fine.
«E’ necessario – ha concluso il primo cittadino – trovare un punto di equilibrio senza scoraggiare il mercato.»

L’assessore Manzoni ha sottolineato come in questo caso non si tratta di risolvere casi di singoli in situazioni disagiate, ma di creare un’offerta abitativa complessiva. Perché la mancanza di lavoratori in molte aziende e strutture pubbliche è determinata proprio dalla mancanza di abitazioni. Se chiamiamo persone da fuori a lavorare in città, non avranno le risorse per trovare casa. A questo mirava il piano triennale per l’offerta abitativa messo in cantiere con trenta Comuni della nostra provincia e cioè andare oltre il semplice censimento dell’edilizia pubblica.»

Gli occhi sono quindi puntati sulla trasformazione e la rigenerazione urbana, sui piani di intervento che arriveranno nei prossimi anni interessando alcuni angoli della nostra città da recuperare. E verificando la possibilità edificatoria complessiva della città nei prossimi anni, si ipotizza che, se naturalmente tutto fosse realizzato, si potrà appunto arrivare ad avere 490 alloggi in affitto a canoni accessibili. E poi c’è il Fondo per la casa che Manzoni assicura non poter finire nel calderone della spesa comunale perché sarà vincolato proprio all’uso abitativo. E il fondo potrà servire per rimettere in sesto quel 25% dei 340 appartamenti comunali in pessime condizioni e quindi inabitabili, ma anche “accompagnare” chi abita da tempo una casa popolare e ha ormai la possibilità di accedere al mercato libero, incrementare il contributo affitto erogato in questi tre anni per le famiglie a basso reddito, aiutare le giovani coppi e anche costruire nuove abitazioni.
Un piano intervento che è stato elaborato con lo studio K-City, specializzato in rigenerazione urbana, un piano che vede Lecco come terza città lombarda ad adottarlo, dopo Milano e Bergamo.

E dello studio K-City fa parte l’ingegner Rabaiotti che ha spiegato: «Fino al 1997 era lo Stato che si occupava di questo aspetto. Chi è più anziano si ricorderà le trattenute in busta paga destinate al fondo Gescal che serviva proprio per l’edilizia popolare. Appunto nel 1997, lo Stato ha trasferito quel che restava del fondo e le competenze alle Regioni. Negli ultimi 25 anni, i Comuni hanno esaurito quei fondi ed erano in attesa dello scossone che la Regione Lombardia avrebbe dato al comparto. Ma lo scossone non è arrivato e allora i Comuni hanno dovuto attrezzarsi per conto proprio. E lo strumento per intervenire è proprio il piano di governo del territorio. Riguarda realtà urbane che hanno già una capacità attrattiva o che ambiscono ad averla. Ma bisogna che tali realtà siano vivaci, vitali, aperte all’innovazione e alla sperimentazione. Serve un accordo tra Comune, operatori, cittadini, tutti i soggetti interessati, altrimenti nei prossimi dieci anni succederà che la nuova popolazione sarà espulsa da queste realtà, soprattutto la popolazione giovane che non ha diponibilità economiche con ciò che ne consegue per vivacità, rinnovamento e problemi demografici.»

L’assessore Rusconi ha citato l’esempio di un piccolo paese dell’Alta Valsassina che aveva bandito un concorso per due posti di lavoro: «Non si è presentato nessuno, perché in paese non c’erano case in affitto. E allora quel Comune ha dovuto rifare il bando mettendo a disposizione alloggi comunali. Bisogna inventarsi delle soluzioni. E’ un piano un po’ utopistico e molto ambizioso perché cerca di dare una risposta a bisogni estremi. Ormai i dati parlano di una povertà sempre più diffusa anche all’interno del ceto medio. E chi dovrà farsene carico? Il Comune, naturalmente. E il costo della casa contribuisce a questo diffondersi della povertà. La nostra è dunque una scommessa. Ma bisogna essere molto concreti. Nel precedente piano di governo del territorio erano previsti sedici piani di recupero. Ne sono partiti solo due: quello della bsilica di San Nicolò e quello dell’area ex Logaglio. Gli altri non sono partiti, perché probabilmente non rispondevano alla richiesta. E se non dovesse partire alcun piano anche con il nostro piano? Vedremo. E’ una scommessa.»
Da parte sua, il sindaco ha poi aggiunto come ci sono costruttori che operano secondo una tradizione consolidata e immutata nel tempo e altri invece che innovano: «In altre realtà, questa maniera di agire è già diffusa, molte imprese innovative sanno già come muoversi. Il mercato lecchese è aperto non solo ai costruttori locali, ma anche a quelli provenienti da fuori, magari sono già attrezzati per questo genere di interventi.»

Da parte del pubblico, tra gli altri, è intervenuto Alfredo Marelli a proporre anche un rilancio dell’edilizia in cooperativa. Gli ha risposto Rabaiotti rilevando come quella modalità serviva per l’acquisto della casa: ci si metteva in cooperativa, si acquistava il terreno, si costruiva, c’erano agevolazioni pubbliche e poi la cooperativa si scioglieva. Semmai, bisognerebbe imboccare la strada della proprietà indivisa: io sono socio di una cooperativa e ho l’appartamento garantito per tutta la vita, me se voglio andarmene posso farlo senza dovermi portare dietro la casa e al mio posto entrerà un altro socio che a sua volta avrà la garanzia a vita. Il problema è che nel nostro paese si è puntati alla proprietà dell’abitazione, mentre nei Paesi che stanno meglio economicamente, la casa in affitto è predominante.»
Perché la carenza di case in affitto, e quelle poche sono sul mercato a canoni spesso inavvicinabili, determina lo stesso sviluppo economico della città. Perché per i giovani, che non hanno risparmi alle spalle e i cui primi stipendi sono bassi, ma anche per altre categorie come infermieri, agenti di polizia, insegnanti, dipendenti pubblici, autisti dei bus, operai, trovare una casa in affitto in città è impossibile. E allora si va altrove. Anche a lavorare. E in tal modo Lecco perde risorse. E allora occorrono nuove regole. Non solo vendita: i costruttori dovranno prevedere nell’ambito dell’intervento edilizio anche alloggi da affittare a prezzi calmierati o, in alternativa, versare al Comune un corrispettivo economico destinato a costituire un vero e proprio fondo per l’edilizia sociale. E prevedere che gli oneri di urbanizzazione – ciò che un operatore deve già versare per legge a fronte di un qualsiasi intervento edilizia – possano essere utilizzati nella stessa direzione. Anziché realizzare, in cambio del permesso a edifficare, una rotonda, un auditorium, una biblioteca o quant’altro, si costruiscano alloggi “pubblici”. Fino a oggi non è stato possibile perché i precedenti piani urbanistici non lo contemplavano.
Se ne è parlato ieri sera, alla “Piccola”, in occasione del secondo dei tre incontri promossi dall’amministrazione comunale per presentare pubblicamente le scelte del piano urbanistico cittadino. Al tavolo il sindaco Mauro Gattinoni, l’assessore al Sociale Emanuele Manzoni, quello all’urbanistica Giuseppe Rusconi e l’ingegnere Gabriele Rabaiotti che ha collaborato alla stesura del documento di programmazione.
Il primo cittadino ha aperto l’incontro fornendo qualche cifra che, da sola, “fotografa” l’attuale situazione: «Sono andato a vedere su un sito internet, quanti quadrilocali fossero disponibili in affitto. Ho trovato undici offerte, pochissime per una città da cinquantamila abitanti. Quello più economico prevedeva un canone mensile di mille euro, ma si saliva fino a 2300. E’ chiaro che non basta uno stipendio per un canone simile, senza contare che poi bisogna pagare le utenze, le spese condominiali. Oltre al resto. E’ un problema di tutte le città capoluogo, per non parlare naturalmente di Milano. Significa che una giovane coppia fatica a radicarsi, a scegliere Lecco come città in cui vivere. Non vogliamo certo fare la guerra a chi costruisce, vende o negozia sul mercato edilizio. Ma dobbiamo rispondere ai cittadini e soprattutto ai cittadini futuri che avranno salari ancora più bassi. Quindi, occorrono regole. Il nostro progetto è di arrivare a mettere sul mercato 490 alloggi a canoni d’affitto abbordabili. Che è un altro discorso rispetto alle case popolari. E quindi edilizia convenzionata, canoni concordati che non siano più alti di un terzo di una retribuzione mensile comune. I motivi di questa situazione li conosciamo: da una parte il turismo con le seconde case destinate a bed and breakfast o ad affitti brevi e dall’altra l’università che porta molti giovani a Lecco e che spesso si trovano costretti ad affittare un semplice posto letto a 750 euro al mese: una rapina!»
E allora nelle aree di rigenerazione urbana, che sono poi quelle delle industrie dismesse o di vecchi edifici, l’operatore deve destinare il 20% del costruito a questo genere di affitto e fino al 50% se dovesse ricorrere ai “premi” e cioè a ottenere la possibilità di una maggiore volumetria rispetto a quanto previsto. E poi, vendite calmierate, oppure in affitto per almeno vent’anni.
«Dobbiamo dire – ha aggiunto Gattinoni – che i costruttori non ci hanno accolto con il tappeto rosso, ma hanno capito e hanno avanzato loro proposte.»
Ci potrà essere la possibilità versare un corrispettivo economico del valore del non costruito – moltiplicato per due o per tre secondo le situazioni – da destinare a un fondo per la casa; di recuperare proprietà attualmente inutilizzate da destinare a questo fine.
«E’ necessario – ha concluso il primo cittadino – trovare un punto di equilibrio senza scoraggiare il mercato.»
L’assessore Manzoni ha sottolineato come in questo caso non si tratta di risolvere casi di singoli in situazioni disagiate, ma di creare un’offerta abitativa complessiva. Perché la mancanza di lavoratori in molte aziende e strutture pubbliche è determinata proprio dalla mancanza di abitazioni. Se chiamiamo persone da fuori a lavorare in città, non avranno le risorse per trovare casa. A questo mirava il piano triennale per l’offerta abitativa messo in cantiere con trenta Comuni della nostra provincia e cioè andare oltre il semplice censimento dell’edilizia pubblica.»
Gli occhi sono quindi puntati sulla trasformazione e la rigenerazione urbana, sui piani di intervento che arriveranno nei prossimi anni interessando alcuni angoli della nostra città da recuperare. E verificando la possibilità edificatoria complessiva della città nei prossimi anni, si ipotizza che, se naturalmente tutto fosse realizzato, si potrà appunto arrivare ad avere 490 alloggi in affitto a canoni accessibili. E poi c’è il Fondo per la casa che Manzoni assicura non poter finire nel calderone della spesa comunale perché sarà vincolato proprio all’uso abitativo. E il fondo potrà servire per rimettere in sesto quel 25% dei 340 appartamenti comunali in pessime condizioni e quindi inabitabili, ma anche “accompagnare” chi abita da tempo una casa popolare e ha ormai la possibilità di accedere al mercato libero, incrementare il contributo affitto erogato in questi tre anni per le famiglie a basso reddito, aiutare le giovani coppi e anche costruire nuove abitazioni.
Un piano intervento che è stato elaborato con lo studio K-City, specializzato in rigenerazione urbana, un piano che vede Lecco come terza città lombarda ad adottarlo, dopo Milano e Bergamo.
E dello studio K-City fa parte l’ingegner Rabaiotti che ha spiegato: «Fino al 1997 era lo Stato che si occupava di questo aspetto. Chi è più anziano si ricorderà le trattenute in busta paga destinate al fondo Gescal che serviva proprio per l’edilizia popolare. Appunto nel 1997, lo Stato ha trasferito quel che restava del fondo e le competenze alle Regioni. Negli ultimi 25 anni, i Comuni hanno esaurito quei fondi ed erano in attesa dello scossone che la Regione Lombardia avrebbe dato al comparto. Ma lo scossone non è arrivato e allora i Comuni hanno dovuto attrezzarsi per conto proprio. E lo strumento per intervenire è proprio il piano di governo del territorio. Riguarda realtà urbane che hanno già una capacità attrattiva o che ambiscono ad averla. Ma bisogna che tali realtà siano vivaci, vitali, aperte all’innovazione e alla sperimentazione. Serve un accordo tra Comune, operatori, cittadini, tutti i soggetti interessati, altrimenti nei prossimi dieci anni succederà che la nuova popolazione sarà espulsa da queste realtà, soprattutto la popolazione giovane che non ha diponibilità economiche con ciò che ne consegue per vivacità, rinnovamento e problemi demografici.»
L’assessore Rusconi ha citato l’esempio di un piccolo paese dell’Alta Valsassina che aveva bandito un concorso per due posti di lavoro: «Non si è presentato nessuno, perché in paese non c’erano case in affitto. E allora quel Comune ha dovuto rifare il bando mettendo a disposizione alloggi comunali. Bisogna inventarsi delle soluzioni. E’ un piano un po’ utopistico e molto ambizioso perché cerca di dare una risposta a bisogni estremi. Ormai i dati parlano di una povertà sempre più diffusa anche all’interno del ceto medio. E chi dovrà farsene carico? Il Comune, naturalmente. E il costo della casa contribuisce a questo diffondersi della povertà. La nostra è dunque una scommessa. Ma bisogna essere molto concreti. Nel precedente piano di governo del territorio erano previsti sedici piani di recupero. Ne sono partiti solo due: quello della bsilica di San Nicolò e quello dell’area ex Logaglio. Gli altri non sono partiti, perché probabilmente non rispondevano alla richiesta. E se non dovesse partire alcun piano anche con il nostro piano? Vedremo. E’ una scommessa.»
Da parte sua, il sindaco ha poi aggiunto come ci sono costruttori che operano secondo una tradizione consolidata e immutata nel tempo e altri invece che innovano: «In altre realtà, questa maniera di agire è già diffusa, molte imprese innovative sanno già come muoversi. Il mercato lecchese è aperto non solo ai costruttori locali, ma anche a quelli provenienti da fuori, magari sono già attrezzati per questo genere di interventi.»
Da parte del pubblico, tra gli altri, è intervenuto Alfredo Marelli a proporre anche un rilancio dell’edilizia in cooperativa. Gli ha risposto Rabaiotti rilevando come quella modalità serviva per l’acquisto della casa: ci si metteva in cooperativa, si acquistava il terreno, si costruiva, c’erano agevolazioni pubbliche e poi la cooperativa si scioglieva. Semmai, bisognerebbe imboccare la strada della proprietà indivisa: io sono socio di una cooperativa e ho l’appartamento garantito per tutta la vita, me se voglio andarmene posso farlo senza dovermi portare dietro la casa e al mio posto entrerà un altro socio che a sua volta avrà la garanzia a vita. Il problema è che nel nostro paese si è puntati alla proprietà dell’abitazione, mentre nei Paesi che stanno meglio economicamente, la casa in affitto è predominante.»
D.C.














