In viaggio a tempo indeterminato/402: il mistero dell'Eldorado
Tanto tempo fa, tra le alte montagne verdi dove oggi sorge la Colombia, viveva un popolo gentile e saggio chiamato Muisca. Non erano guerrieri spietati né re egoisti, ma erano agricoltori, artigiani e mercanti.
Credevano che la natura fosse viva e piena di spiriti e la veneravano come si fa con le cose importanti.
Ogni mattina, i bambini Muisca si svegliavano con il canto degli uccelli e aiutavano i genitori a coltivare mais, patate e zucche. Il sole era il dio che li proteggeva e la luna, sua compagna, la madre di tutte le acque e dei sogni.
Ma c’era una cosa che rendeva i Muisca diversi da tutti gli altri popoli: parlavano con l’oro.
No, non usavano l’oro per diventare ricchi. Per loro quel metallo luccicante era sacro. Rappresentava un dono degli dei, la luce del sole che prendeva forma e si poteva toccare. Con l’oro, forgiavano piccole offerte: uccellini, barche, maschere, che lanciavano in un bacino d'acqua, come un lago. Era un dono agli spiriti delle acque.
Il lago più importante era Guatavita, un luogo misterioso circondato da colline e giungla, dove si svolgeva un rito segreto. Quando un nuovo re veniva scelto, il popolo copriva il suo corpo con polvere d’oro fino a farlo brillare come il sole. Il re veniva poi messo su una zattera piena di tesori e spinto verso il centro del lago.
Giunto nel mezzo dello specchio d'acqua, il re sollevava le braccia al cielo e getteva tutti i gioielli e le pietre preziose nell'acqua.
Era un modo per ringraziare gli dei, per renderli partecipi di quel momento importante e chiedere protezione e saggezza. Il popolo cantava, le montagne ascoltavano, il lago diventava custode di preghiere e meraviglie.
Questa era la vera ricchezza dei Muisca: non l’oro che si possiede e si accumula, ma quello che si dona, che si rispetta, che si riporta alla natura.
Un giorno, però, arrivarono uomini stranieri dall’altra parte dell’oceano. Portavano armature di ferro e parole difficili. Non ne volevano sapere di venerare la natura e parlavano di un dio invisibile che viveva in un altro cielo.
Un dio che aveva inventato il senso di colpa e la vergogna nel non avere vestiti.
E a capo di quella tribù venuta da lontano c'erano un re e una regina che si ricoprivano di gioielli d'oro ma non li donavano alla natura.
Quando sentirono parlare dell’"uomo dorato", questi forestieri credettero che i Muisca avessero una città tutta fatta d’oro. Eldorado la chiamarono e iniziarono a cercarla ovunque, scavando e distruggendo. A guidarli un demone così malefico da renderli ciechi, arrabbiati, disumani: l'avidità.
E più cercavano questo Eldorado e meno lo trovavano.
Era un uomo dorato? Era un luogo pieno di tesori? Era un regno perduto?
Più passava il tempo e più questa parola perdeva la sua forma, si trasformava, seguiva una nuova credenza fino a poi a scomparire.
Molti uomini morirono nella ricerca forsennata. La natura subì delle conseguenze e i Muisca vennero perseguitati per scoprire quel segreto che somigliava sempre più a una storia raccontata da un bambino.
E così, mentre i conquistatori tornavano a mani vuote dalle loro ricerche, la leggenda sopravviveva.
Quel lago ancora oggi custodisce i segreti del popolo Muisca.
Diverse spedizioni nel corso dei secoli hanno cercato di prosciugarlo, convinte che sul fondo si trovassero i tesori gettati durante il rito di "incoronazione" dei re.
Alcuni oggetti d’oro sono stati effettivamente ritrovati, ma nulla che potesse giustificare le dimensioni del mito.
Nel 1911, fu trovata una piccola zattera d’oro, chiamata "La balsa Muisca", che raffigurava proprio questo rito. Oggi è considerata una delle testimonianze più concrete dell'esistenza dell'Eldorado.

Nonostante nessuno abbia mai trovato questo famoso Eldorado, la leggenda ha raggiunto ogni angolo del mondo. È diventata simbolo della ricerca dell’impossibile, dell’avidità umana, ma anche della curiosità verso l'ignoto. Libri, film, cartoni animati, videogiochi e documentari hanno raccontato infinite versioni della sua storia. Ma nessuno, tranne i Muisca, sa davvero quale sia la verità.
Eldorado è, forse, il più grande tesoro che non è mai esistito. E proprio per questo continua ad affascinare, anche molti secoli dopo la sua nascita.
Camminando tra le montagne della Colombia, se si presta attenzione, si può sentire il vento sussurrare qualcosa. È la voce dei Muisca che raccontano la loro favola ai sognatori che ancora sanno ascoltare.
Credevano che la natura fosse viva e piena di spiriti e la veneravano come si fa con le cose importanti.
Ogni mattina, i bambini Muisca si svegliavano con il canto degli uccelli e aiutavano i genitori a coltivare mais, patate e zucche. Il sole era il dio che li proteggeva e la luna, sua compagna, la madre di tutte le acque e dei sogni.
Ma c’era una cosa che rendeva i Muisca diversi da tutti gli altri popoli: parlavano con l’oro.
No, non usavano l’oro per diventare ricchi. Per loro quel metallo luccicante era sacro. Rappresentava un dono degli dei, la luce del sole che prendeva forma e si poteva toccare. Con l’oro, forgiavano piccole offerte: uccellini, barche, maschere, che lanciavano in un bacino d'acqua, come un lago. Era un dono agli spiriti delle acque.

Giunto nel mezzo dello specchio d'acqua, il re sollevava le braccia al cielo e getteva tutti i gioielli e le pietre preziose nell'acqua.
Era un modo per ringraziare gli dei, per renderli partecipi di quel momento importante e chiedere protezione e saggezza. Il popolo cantava, le montagne ascoltavano, il lago diventava custode di preghiere e meraviglie.
Questa era la vera ricchezza dei Muisca: non l’oro che si possiede e si accumula, ma quello che si dona, che si rispetta, che si riporta alla natura.

Un dio che aveva inventato il senso di colpa e la vergogna nel non avere vestiti.
E a capo di quella tribù venuta da lontano c'erano un re e una regina che si ricoprivano di gioielli d'oro ma non li donavano alla natura.
Quando sentirono parlare dell’"uomo dorato", questi forestieri credettero che i Muisca avessero una città tutta fatta d’oro. Eldorado la chiamarono e iniziarono a cercarla ovunque, scavando e distruggendo. A guidarli un demone così malefico da renderli ciechi, arrabbiati, disumani: l'avidità.
E più cercavano questo Eldorado e meno lo trovavano.
Era un uomo dorato? Era un luogo pieno di tesori? Era un regno perduto?
Più passava il tempo e più questa parola perdeva la sua forma, si trasformava, seguiva una nuova credenza fino a poi a scomparire.
Molti uomini morirono nella ricerca forsennata. La natura subì delle conseguenze e i Muisca vennero perseguitati per scoprire quel segreto che somigliava sempre più a una storia raccontata da un bambino.
E così, mentre i conquistatori tornavano a mani vuote dalle loro ricerche, la leggenda sopravviveva.
Quel lago ancora oggi custodisce i segreti del popolo Muisca.
Diverse spedizioni nel corso dei secoli hanno cercato di prosciugarlo, convinte che sul fondo si trovassero i tesori gettati durante il rito di "incoronazione" dei re.
Alcuni oggetti d’oro sono stati effettivamente ritrovati, ma nulla che potesse giustificare le dimensioni del mito.
Nel 1911, fu trovata una piccola zattera d’oro, chiamata "La balsa Muisca", che raffigurava proprio questo rito. Oggi è considerata una delle testimonianze più concrete dell'esistenza dell'Eldorado.

Nonostante nessuno abbia mai trovato questo famoso Eldorado, la leggenda ha raggiunto ogni angolo del mondo. È diventata simbolo della ricerca dell’impossibile, dell’avidità umana, ma anche della curiosità verso l'ignoto. Libri, film, cartoni animati, videogiochi e documentari hanno raccontato infinite versioni della sua storia. Ma nessuno, tranne i Muisca, sa davvero quale sia la verità.
Eldorado è, forse, il più grande tesoro che non è mai esistito. E proprio per questo continua ad affascinare, anche molti secoli dopo la sua nascita.
Camminando tra le montagne della Colombia, se si presta attenzione, si può sentire il vento sussurrare qualcosa. È la voce dei Muisca che raccontano la loro favola ai sognatori che ancora sanno ascoltare.
Angela (e Paolo)














