Casargo: 'Attenti al lupo', la ricetta del prof. Michele Corti
Come aveva ben spiegato Antonio Pasquini nel corso della conferenza stampa di presentazione della XXXIV Mostra Regionale della Capra Orobica, il weekend casarghese dedicato “ai becchi” costituisce da sempre anche un prezioso momento di riflessione sulle problematiche che affliggono l’allevamento e il territorio in generale. 
In questa logica, l’edizione 2025 della manifestazione ha ospitato questa mattina un interessante convegno dal titolo “Attenti al Lupo: salviamo la nostra agricoltura di montagna”, nel corso del quale si è affrontato un tema decisamente spinoso (a livello politico, burocratico e di opinione pubblica) e di crescente rilevanza non solo mediatica, ma anche dal punto di vista dell’impatto concreto sui territori e sulle collettività. Tra gli altri, al convegno hanno preso parte l’europarlamentare Pietro Fiocchi e i consiglieri regionali Giacomo Zamperini e Pietro Macconi.
Lo stesso primo cittadino di Casargo ha introdotto e moderato l’incontro, dichiarando – al pari di quanto aveva fatto pochi giorni fa – che “la presenza del lupo è incompatibile con il sistema di agricoltura e di allevamento che caratterizza il nostro territorio: questo è il tema”, per poi dare la parola al primo ospite, il Prof. Michele Corti, presidente dell’Associazione Nazionale Tutela rurale e già docente in Zootecnia di montagna presso l’Università degli Studi di Milano. Corti ha aperto constatando un triste dato di fatto, ossia che “in molte zone del Nord Italia diversi allevamenti sono già stati abbandonati, mentre da altre parti “si tira avanti” nonostante un numero molto alto di predazioni da parte del lupo, che spesso non vengono denunciate”. Tra i casi emblematici, il professore ha citato: l’estinzione pressoché definitiva degli allevamenti di pecore verificatasi in Valcamonica e la situazione dell’Alto Lario Occidentale, dove è rimasto un solo allevamento di Capra di Livo (Lariana). “Gli allevatori – o almeno, quelli che tengono al bene degli animali e non puntano semplicemente a ottenere “il contributo” – stanno via via abbandonando la propria attività” ha ribadito Corti, muovendosi poi verso i temi legislativi.
In tal senso, una recente e preziosa novità è quella relativa al declassamento dello status del lupo – da specie “rigorosamente protetta” a “protetta” – deciso a livello europeo e recepito nell’ordinamento nazionale con un decreto legislativo dello scorso 6 novembre. Ma cosa comporta esattamente questo declassamento? In sostanza, alle regioni viene garantito un margine di azione più ampio in termini di catture/uccisioni dei lupi, in quanto si “ammorbidiscono” i parametri da soddisfare per rendere giustificabile una decisione di abbattimento dell’esemplare. In precedenza, al contrario, era necessario rispettare una lunga serie di “paletti”, relativi tanto alla pericolosità dimostrata e dimostrabile del lupo, quanto all’ adozione di una serie di misure preventive (reti anti-lupo, cani da guardiania, …) – “misure delle quali non si teneva mai in considerazione l’effettiva praticabilità tecnica ed economica” ha precisato Corti. Premessa, dunque, l’agevolazione dal punto di vista legislativo, il professore ha spiegato che “il cambio di passo effettivo deve ora nascere da una volontà politica di agire per mettere sotto controllo la situazione”. L’immobilismo di questi anni e “il continuo scaricabarile tra Stato e regioni, che si è tradotto in un nulla di fatto in termini di interventi”, è dimostrato dal fatto che nel corso del 2025 sul territorio nazionale solo due lupi sono stati abbattuti, nonostante i protocolli (ancora riferiti al “vecchio” status del lupo) permettessero di eliminarne tra i 98 e 160!
Due sono quindi i passi da compiere secondo Corti. In primis, “vanno presi in mano i piani di gestione e di abbattimento, per ricalibrarli sulla situazione attuale. Un modello che prevede l’abbattimento di 10-20 esemplari all’anno in regioni dove si contano un migliaio di lupi sono chiaramente inadeguati… ci vogliono invece, insieme alla gradualità, dei numeri “seri” che permettano di tenere sotto controllo una crescita dei branchi che è già sovrabbondante”; in secondo luogo, “serve operare una chiara e precisa mappatura delle zone dove è impossibile, tecnicamente e/o economicamente, mettere in atto misure preventive. L’Alta Valsassina è un esempio in questo senso, considerato che la capra orobica è una razza che pascola le pendici rocciose dei monti, luoghi dove è assolutamente impraticabile, ad esempio, la realizzazione di recinzioni”. Concludendo il suo intervento, Corti ha esortato i rappresentanti politici presenti ad avere coraggio, impegnandosi “in una direzione di buon senso e garantita dal quadro giuridico vigente”, altrimenti “questa potrebbe essere una delle ultime edizioni della capra orobica”.
Pietro Fiocchi, intervenuto in seguito, ha spiegato che “grazie al declassamento del lupo operato a livello europeo e ora recepito nel nostro ordinamento, le regioni possono agire con maggiore facilità”. L’europarlamentare ha esortato dunque ad organizzarsi al meglio: “ci vuole un assessore regionale in grado di portare un piano regionale di abbattimento in deroga, anche se all’inizio di certo non avremo grandi numeri e di certo verremo portati di fronte al TAR…” ha dichiarato. Allineandosi idealmente, e concretamente, con le voci degli allevatori presenti a Casargo, Fiocchi ha affermato che “se la buona politica non farà quello che deve fare, allora agiremo, andremo con i pullman e le capre davanti al Pirellone e vedrete che ci risponderanno. Io sarò con voi”.
Sulla scia di questo intervento, anche il sindaco di Pagnona (e allevatore) Martino Colombo ha parlato con toni decisamente risoluti, chiedendo innanzitutto alla nostra politica “come si possa sostenere che il lupo sia utile e vada bene sulle nostre montagne”. Sempre senza tanti giri di parole – ma a testimonianza di un problema reale e sentito da chi la montagna la vive – Colombo ha spiegato che “va fatta una scelta: se non interveniamo, il lupo ucciderà prima gli animali d’allevamento e poi quelli selvatici, finendo per appropriarsi di questa montagna, dato che il territorio – senza il prezioso lavoro di manutenzione degli allevatori – andrà totalmente in rovina e in abbandono. A quel punto sarà inutile e ridicolo parlare di salvaguardia e tutela dell’ambiente”. 
Infine, il primo cittadino di Pagnona ha voluto raccontare la passione con la quale tante persone (compresi diversi giovani) ancora portano avanti l’allevamento della capra orobica e le tradizioni del territorio, chiarendo che “se scegliamo di salvare il lupo, allora dovremo mollare tutto, decretando la fine di quello che stiamo facendo e di quello che hanno fatto i nostri antenati”.
Un intervento incentrato sui dati “che non urlano ma spiegano” è stato invece quello del consigliere regionale Giacomo Zamperini, il quale ha riportato alcuni numeri sui lupi in Lombardia. “In base alle rilevazioni, che riconosco essere sottostimate, nel 2024 abbiamo registrato la presenza di circa cento lupi nella nostra regione, e di duemila segnali della presenza del predatore (raddoppiati rispetto al 2023, ndr). Dal novembre 2024 ad oggi sono state effettuate dodici denunce per predazioni di capi di bestiame ad opera del lupo”. Numeri, questi ultimi, che secondo Zamperini danno conto di “una problematica che non rappresenta un’urgenza immediata”, per cui “non serve imbracciare il fucile o fare “stupidaggini”, dando in questo modo argomenti agli animalisti”. Ciò che il consigliere regionale ritiene necessario è invece la predisposizione di “un piano di gestione, non di sterminio”, tenendo a mente che “il nemico non è il lupo, ma chi in questi anni nei palazzi di Milano e di Bruxelles ha pensato che questo predatore fosse un animale dolce e con gli occhi azzurri”. Quello che è necessario secondo Zamperini è dunque un intervento di gestione “serio e scientifico”, che, mentre esce dal dogma che “il lupo non si tocca”, riconosca l’importanza di un monitoraggio condiviso in grado di fornire i numeri necessari per sviluppare piani di contenimento e di gestione. Il consigliere regionale ha infine tenuto a precisare che “oggi non è ancora possibile intervenire a livello regionale; per ora, possiamo solo stimolare il livello nazionale a mettere a terra il cosiddetto “Piano Lupo”, grazie al quale si potrà poi fare qualcosa di concreto”.
Di interesse particolare, infine, le parole del consigliere regionale Pietro Macconi, che ha interpretato il dibattito e la problematica del lupo come questioni di natura ideologica, per cui “il nostro nemico vero è il concetto per cui l’uomo è un danno per la natura, mentre la natura selvaggia è tutta positiva per definizione”. Da questo punto di vista, Macconi crede che la battaglia sia una di tipo culturale. “Una battaglia che, come politici, vi promettiamo di combattere”.
Il sindaco Pasquini ha chiuso la mattinata assicurando che “da questo convegno nasceranno interventi concreti, certo con gradualità e nel rispetto del piano normativo, ma che permetteranno di salvaguardare gli allevatori, e dunque di salvare il nostro ambiente, il nostro territorio, le nostre montagne”. “Dobbiamo prendere consapevolezza che quello del lupo è un tema reale, non un problema di contrapposizione mediatica” ha aggiunto, ribadendo che “quello che è emerso oggi non rimarrà lettera morta”.














