In viaggio a tempo indeterminato/406: la destinazione conta?

Le scarpe sembrano attaccarsi al terreno molliccio.
La cumbia che esce forte dalle enormi casse copre ogni rumore e anche i miei pensieri fanno fatica a esprimersi.
Nell'aria c'è odore di pesce ma anche di brace.
Sento gli sguardi su di noi.
Il colore delle barche che sbattono l'una contro l'altra vorrebbe urlare "portatemi via da qui".
Questa Colombia è sempre la stessa ma anche così diversa. Faccio fatica a riconoscerla.
Eppure El Banco, il porto fangoso dove sto camminando ora, è solo a pochi chilometri di distanza dalla cittadina di Mompox.
Ripenso a quel luogo ora e mi dà serenità, mentre quello che mi circonda va in un'altra direzione.
A Mompox tutto mi era sembrato così stranamente perfetto. Mi ha stregata perché è come se il romanzo che sto leggendo avesse preso vita attorno a me.
"Cent'anni di solitudine" di Gabriel García Márquez. L'autore, premio Nobel per la letteratura, in questo testo racconta la sua terra, la Colombia. Lo fa partendo dalla surreale storia di una famiglia in cui tutti hanno gli stessi nomi. Generazione dopo generazione, nell'immaginaria cittadina di Macondo, la storia della Colombia prende spazio. Intralcia le vite dei protagonisti, le sconvolge, dà loro un senso.
Mompox sembra proprio quella Macondo di Marquez. C'è il fiume che smuove la tranquillità dei pomeriggi di sole. Ci sono le case eleganti, un tempo dimore dei ricchi mercanti che si fermavano in questa cittadina in attesa dell'oro che dalle Ande veniva trasportato in barca fino ai Caraibi.
E poi ci sono le vie strette e i muri candidi ricoperti di calce bianca.
È la prima volta che le parole del libro che sto leggendo diventano reali e mi circondano. Ed è anche una delle rare volte in cui l'immagine che si era formata nella mia mente, pagina dopo pagina, coincide con la realtà.
In genere si dice sempre che il libro sia meglio del film proprio perché la nostra fantasia, leggendo, ha creato un'immagine che difficilmente un regista potrà ripresentare.
Mompox/Macondo però non è il set di un film, è vera.
Penso che se camminando tra le sue vie, avessi trovato da qualche parte un pesciolino d'oro, mi sarei messa a urlare cercando la famiglia Buendia.
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Ma torniamo a El Banco perché ora sono qui. Il candore della calce è sparito e anche quell'atmosfera di tardo pomeriggio d'estate sembra un lontano ricordo.
L'unica costante è il fiume che scorre veloce e si porta via anche l'ultima immagine che avevo di Mompox.
Siamo qui per un'impresa poetica e romantica. Prendere una barca e risalire il fiume Magdalena, uno dei corsi d'acqua più importanti della Colombia.
Ma come nel romanzo di Marquez, anche questa impresa all'apparenza innocua e tanto tranquilla, nasconde un'insidia o più di una.
La prima sfida è partire. Il porto a El Banco è una capanna di legno che si sposta con la corrente. Le barche in partenza attraccano sotto la tettoia, a pochi metri dal tavolo che è la biglietteria.
Prendiamo posto all'interno della nostra barca con i sedili duri in plastica degli autobus cittadini, come si è prodigata a farci notare la signora che vende i biglietti.
Mancano pochi minuti alla partenza ma ha iniziato a piovere. 
"Mettetevi i giubbetti salvagente" ci urla un signore, l'autista della barca.
In quel momento il forte boato di un tuono sovrasta la cumbia che esce dalle casse. La pioggia scrosciante cancella l'orizzonte. Noi passeggeri ci guardiamo impauriti. Qualcuno si fa il segno della croce. Qualcuno si tiene al giubbetto salvagente.
"Non partiremo ora!" dico a Paolo.
Passano 15 minuti e il capitano accende il motore mentre la pioggia non accenna a diminuire.
Ci fa segno di abbassare dei teli di plastica nera che chiudono gli spazi laterali della barca. Non ci sono finestre su questa imbarcazione ma per fortuna il tetto sì.
Con quel telo nero abbassato non vedo nulla fuori ma sento solo le onde che sbattono forti sullo scafo della nostra piccola barca. Siamo partiti e c'è un silenzio tra queste assi di legno che urla forte un corale "ma chi me l'ha fatto fare di salire su sta barca stamattina".

Dopo una mezz'ora, però,la pioggia si placa. Possiamo finalmente alzare i teli e fuori vedo la costa desolata e selvaggia che scorre via controcorrente. Piano piano il sole, e il mocio dell'aiutante sulla barca, asciugano il pavimento zuppo d'acqua. Finalmente posso godermi il viaggio. Mancano "solo" 7 ore.
Attracchiamo a qualche villaggio lungo il fiume. C'è sempre qualcuno che ci aspetta a ogni porticciolo. Passeggeri che salgono, merci da caricare, ragazzini che vedendomi azzardano l'unica frase che conoscono in inglese (che per fortuna era un "I  love you").
A bordo sale persino una gallina. Sembra viaggiare sola e la sistemano nei posti davanti.
Osservo questo fiume, la gente che vive qui e mi domando come sia possibile che questa tranquillità, fino a pochi anni fa, fosse intrisa di paura e violenza. Il viaggio in barca che stiamo facendo ora, qualche tempo fa non era possibile. Gruppi armati di narcotrafficanti usavano il fiume per il trasporto di droga. Le barche passeggeri, quindi, non navigavano più perché era troppo pericoloso. Scontri a fuoco tra narcotrafficanti e forze dell'ordine, assalti alle imbarcazioni, vittime anche tra i civili. Questo fiume, troppo spesso, si è tinto di rosso.
Oggi la situazione sembra decisamente più tranquilla.
O almeno questo era quello che pensavamo.
Sì perché nella foga di intraprendere questo viaggio via fiume, non ci eravamo preoccupati di conoscere la meta.
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Barrancabermeja, la destinazione finale del nostro viaggio in barca. Una città dal nome difficilissimo da pronunciare con una poco invitante raffineria di petrolio a due passi dal centro.
A primo impatto, una normale città non turistica della Colombia e se non fosse stato per uno strano odore fortissimo percepito durante la notte, non avrei mai scoperto cosa si nascondeva sotto la facciata.
"Barrancabermeja es segura por la salud?" cerco su Google alle due di notte mentre non riesco a dormire per la forte puzza.
Risultato della ricerca: "Barrancabermeja è la città con il più alto tasso di omicidi di tutta la Colombia. Più alto di città come Medellin o Santa Marta."
Si parla di un tasso di omicidi pari a 66 ogni 100.000 abitanti. Un numero impressionante. Per dare un'idea della gravità della situazione il tasso di omicidi in Italia è attorno allo 0,55 ogni 100.000 abitanti.
Leggo i dati su Google nel buio della notte. Guardo Paolo che dorme accanto a me. Ripenso ai paesaggi e alla natura meravigliosa che mi ha riempito gli occhi in 7 ore di navigazione in barca.
E penso che, mai come in questa situazione, sia vera la famosa frase "è il viaggio che conta, non la destinazione".
Angela (e Paolo)
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