Lecco: gli anni '70 e i Festival Rock in una mostra fotografica

Venerdì 28 novembre, nelle sale di Palazzo delle Paure, Lecco ha riaperto una pagina decisiva della propria memoria culturale inaugurando “L’altra faccia della luna. Gli anni Settanta e l’utopia dei Festival Rock”, la mostra fotografica collettiva ideata dal Comune e dal Sistema Museale Urbano Lecchese. Più che un percorso espositivo, un viaggio nella vibrazione di un’epoca che ancora oggi continua a interrogare, evocando la spinta rivoluzionaria dei giovani, il fermento sociale e culturale e l’utopia musicale di quegli anni.
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Allestita nella fototeca, uno spazio pensato per valorizzare fotografie, incisioni e opere su carta e avvicinare il pubblico al patrimonio artistico dei musei lecchesi, la mostra raccoglie le opere di nove artisti che hanno documentato con passione e partecipazione gli storici Festival Rock italiani degli anni Settanta. Il percorso espositivo comprende anche i manifesti rivoluzionari del celebre graphic designer Giancarlo Iliprandi, capaci di raccontare attraverso l’immagine le tensioni, le battaglie e le aspirazioni di quegli anni. Dal Festival di Re Nudo del 1971 a Montalbano, fino alle edizioni milanesi al Parco Lambro, le fotografie, analogiche e cariche di autenticità, restituiscono non solo il fermento musicale, ma anche l’intensità delle emozioni dei giovani, dei musicisti e degli spettatori.
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Barbara Cattaneo, curatrice della mostra, ha aperto la conferenza inaugurale sottolineando il valore della tutela e della valorizzazione dei fondi fotografici: «Abbiamo accolto fondi dispersi, raccolto circa quattromila fotografie dell’Ottocento e del Novecento e creato un panorama che mette in dialogo autori locali con contesti nazionali e internazionali. Questi scatti non sono solo documenti, sono memoria viva». Ha poi ricordato come i festival rappresentassero un periodo di utopia e rivoluzione, in cui i giovani si affacciavano per la prima volta alla vita politica, culturale e sociale con uno spirito di rottura e partecipazione che traspare in ogni immagine esposta.
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L’assessore alla cultura Simona Piazza ha evidenziato l’importanza della mostra per le nuove generazioni, spiegando come le fotografie permettano di comprendere l’impatto sociale e culturale di quegli anni: «Queste immagini ci aiutano a capire come la passione e l’energia di allora abbiano attraversato la città e il Paese. È fondamentale che i giovani possano vedere da vicino questi movimenti». Ha poi sottolineato il valore dei fotografi e di chi ha messo a disposizione il proprio lavoro per rendere possibile la mostra, permettendo al pubblico di immergersi nel clima di quei festival.
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Festival di cui ha parlato anche Luigi Erba, raccontando inoltre l’evoluzione della fotografia a Lecco e spiegando che il Foto Club nasceva proprio in quegli anni, legandosi al fermento nazionale. «Questi giovani fotografi non erano osservatori distaccati, ma partecipi: condividevano l’energia, la musica e le battaglie dei loro coetanei. Immortalare quegli eventi dietro a un obiettivo era un atto performativo, un modo di entrare nella vita di un’epoca e di restituirla con intensità», ha detto. La passione dei fotografi, ha aggiunto, spesso superava la tecnica, perché era l’essere dentro l’evento, l’essere parte del movimento, a rendere le immagini autentiche.
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Roberto Mutti ha approfondito il contesto storico e sociale dei festival: «Gli anni Settanta erano un tempo complesso, in cui la comunicazione era scarsa e il passaparola fondamentale. I giovani cercavano di appropriarsi della propria vita, esprimersi, fare esperienze radicalmente nuove. I festival rock furono microcosmi in cui la rivoluzione culturale e musicale si intrecciava con la vita quotidiana. Chi guardava da fuori non capiva, ma chi era lì percepiva la forza del cambiamento».
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Dopo gli interventi dei curatori, spazio ai protagonisti. «Fotografare quei festival è stato naturale: la musica, il fermento sociale e le battaglie dei giovani ci hanno coinvolto totalmente. La mia collaborazione con Roberto Masotti ci ha permesso di catturare momenti unici, con una spontaneità che oggi è difficile da ricreare» ha detto Silvia Lelli, ricordando la varietà dei soggetti, dai gruppi femministi ai musicisti emergenti, e le performance innovative come quella del gruppo Area, che coinvolgeva il pubblico in modi assolutamente pionieristici.
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Fabio Minotti ha poi condiviso i ricordi delle prime reflex e delle prime esperienze fotografiche: «La musica era il motore di tutto. Fotografare Franco Battiato nella prima edizione del ’74 è stato un privilegio: eravamo immersi nell’energia dei festival, senza sentire il peso del lavoro, ma solo l’entusiasmo di chi vive un momento storico».
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Renato Corsini ha offerto riflessioni più teoriche e profonde sulla fotografia: «Non esistono belle fotografie, esistono buone fotografie. E per essere buone, bisogna essere vicini: non vicini fisicamente, ma vicini al movimento, all’energia, alla vita che si svolge davanti all’obiettivo. Solo così la fotografia diventa testimonianza autentica, documento di un’epoca e di una rivoluzione». La sua citazione è emblematica: una fotografia deve “trasmettere il tempo e l’essenza di ciò che ritrae”, e nelle immagini esposte si percepisce questo coinvolgimento diretto.
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Gli altri sei fotografi, le cui opere sono esposte nella mostra, pur non essendo presenti in conferenza – alcuni perché impossibilitati, altri perché scomparsi – hanno arricchito l’esposizione con i loro sguardi unici, dal reportage sociale alla composizione artistica, contribuendo a creare un mosaico completo e appassionato del Festival Rock. L’intera esposizione testimonia come i giovani, i musicisti e i fotografi di quegli anni siano stati coinvolti in un periodo di grande fermento, segnando profondamente la memoria culturale italiana.
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Al termine della conferenza, i presenti hanno potuto visitare la mostra, immergendosi tra le immagini, i manifesti e le atmosfere evocative di un’epoca che, pur distante nel tempo, continua a parlare e a emozionare. La visita ha permesso di toccare con mano la vitalità di quegli anni e di comprendere il potere della fotografia come strumento di memoria e di racconto sociale.
G.D.
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