In viaggio a tempo indeterminato/408: qualcuno da lontano...

Un giorno arriva qualcuno da lontano. Da un posto così remoto che sembra essere su un altro pianeta.
Questo qualcuno parla una lingua incomprensibile, mangia cibo dai sapori mai assaggiati e si ricopre di vestiti scomodi e senza una vera funzione utile.
Ha la carnagione completamente diversa, più chiara, sembra del colore di una nuvola.
Gli occhi, la fisionomia del volto, la tinta dei capelli... tutto è così diverso. Questo straniero arrivato da lontano crede fermamente che lassù nel cielo, oltre quello che è visibile, viva un'entità che governa ogni cosa. Un'entità che non si può vedere né toccare, ma che ha il potere di decidere chi è giusto e chi è sbagliato.
Tu sei lì che osservi incredulo quel nuovo arrivato e sei confuso dalla sua presenza. Magari fai un gesto gentile per accoglierlo, alla fine è arrivato da lontano, magari sarà stanco e starà farneticando per il lungo viaggio.
All'improvviso questo qualcuno inizia a farti capire che tutto quello che sai e che fai è sbagliato. Il cibo, i vestiti, il modo di vivere, quello in cui credi... tutto è sbagliato. Ti obbliga a cambiare e non ti lascia scelta. Devi imparare una nuova lingua e dimenticare la tua. Devi mangiare cibi di cui non conoscevi nemmeno l'esistenza. E per qualche motivo che tu non riesci a capire, quella che fino ad allora era stata la tua terra e la tua casa diventa la sua terra e la sua casa.
Hai due opzioni a quel punto. Restare e cancellare tutto quello che conosci, la tua identità, la tua cultura. Oppure morire.
Tu cosa sceglieresti?

È quello che si sono chiesti i Misak, e con loro tutte le popolazioni indigene del Sud America, quando si sono visti arrivare a casa gli spagnoli.
Alcuni hanno scelto la seconda opzione e sono scomparsi nell'oblio. 
Altri invece non hanno avuto altra scelta che rinunciare alle proprie origni, mischiarsi con i nuovi arrivati e accettare nuove usanze e tradizioni.
E poi ci sono i Misak che sono riusciti ad adottare una terza via. Si sono uniti e hanno resistito. Si sono dovuti adattare ma non hanno permesso che questi uomini venuti da lontano cancellassero completamente chi erano. E da secoli la loro lotta per non scomparire continua.
A metà tra modernità e tradizione, con un cellulare in tasca e un poncho fatto a mano sulle spalle, ogni settimana accorrono a Silvia, un paesino a 3000 metri tra le Ande colombiane.
Li abbiamo incontrati lì, avvolti nei loro abiti decorati, carichi di sacchi di verdure da vendere al mercato del lunedì.
E nei volti segnati dal tempo delle signore abbiamo visto la resilienza e la fatica di un popolo che prova a resistere.
I Misak, letteralmente il "popolo dell'acqua", hanno un legame molto profondo con la natura.
La loro società è organizzata attorno alla famiglia patrilocale, cioè la coppia dopo il matrimonio va a vivere nella casa della famiglia d'origine del marito. (Esprimo tutta la mia vicinanza alle povere spose!).
E seguono due regole matrimoniali: l'endogamia etnica, cioè si sposano solo con altre persone della stessa etnia, e l'exogamia locale che prevede l'unione solo con persone di altri villaggi, evitando parentele troppo strette. Insomma, scegliere un marito (o una moglie) è ancora più complicato di quanto già non sia.
L’economia della comunità è basata sull’agricoltura (soprattutto mais, patate, caffè, fagioli) e più recentemente sull'allevamento. Questa seconda parte è stata "importata" dagli spagnoli che dall'Europa si sono portati maiali, mucche e altri animali.
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Ma l'aspetto più interessante della cultura Misak, forse anche quello più distante da noi, riguarda la spiritualità.
Tutto si basa sul dualismo tra elementi, sole-luna, maschile-femminile. Questa energia contrapposta regola tutto l'universo. Centrale è anche la figura del "curandero" (Murbik), conoscitore di piante medicinali e guida rituale che conduce cerimonie di purificazione per ristabilire equilibrio e armonia.
In questo contesto rientra anche il rapporto dei Misak con la terra, considerata la “Grande Madre”, colei che è da rispettare, venerare e proteggere.
È il cuore dell’identità Misak.
Un'identità che si esprime anche nel vestiario tradizionale.
Questo aspetto è quello più "evidente". È ciò che salta subito agli occhi quando ci si reca a Silvia.
Per strada le donne indossano una gonna lunga scura che rappresenta la madre terra, fermata in vita da una cintura di tessuto con disegni naturali. 
La cintura viene usata anche per trasportare i bambini.
Nella parte alta portano generalmente due scialle di lana. Uno blu, colore dell'acqua e delle lagune. E uno rosso, simbolo del sangue versato dai Misak nella lotta contro la colonizzazione.
Al collo portano grandi collane bianche che rappresentano la purezza ma anche la vita in armonia con la natura.
Importanti sia per uomo che per donna sono anche i cappelli. In feltro o in paglia simboleggiano il ciclo della vita.
Anche gli uomini indossano delle gonne chiamate Pall e sono di colore blu come l'acqua.
Lo scialle che portano sulle spalle è generalmente dello stesso colore della gonna delle donne e rappresenta la famiglia e la protezione dei suoi membri. Al collo hanno una sciarpa rossa, elemento di forte identità culturale.
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Incontrare i Misak è l'esperienza più autentica che abbiamo fatto in Colombia.
Ci chiediamo spesso, da quando siamo qui, come sarebbe stato questo Paese se gli europei non fossero mai venuti a distruggere tutto.
I Misak, in parte, rispondono a questa nostra domanda.
E se da un lato ci sentiamo estremamente felici per aver avuto la possibilità di sbirciare per poco in un mondo che sembrava scomparso, dall'altro proviamo rabbia per tutto ciò che non c'è più. Per quei secoli di storia, architettura, tradizione che sono andati distrutti nella follia del colonialismo e nella ricerca spasmodica di ricchezze da parte di quel qualcuno che veniva da lontano, da un posto così remoto che sembra essere su un altro pianeta.
Angela e Paolo
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