In viaggio a tempo indeterminato/411: una favola a 4.000 metri

Per le feste di Natale ho pensato a una storia. Una storia vera che parte da molto vicino, Bormio per l'esattezza, ma arriva molto lontano, fino in Ecuador.
Si potrebbe tranquillamente fare un film da questa storia ma non sarebbe di certo un cinepanettone. Ce la vedrei più come una bella fiaba di Natale da riguardare ogni anno mentre, reduci dal pranzo, si addenta con fatica una fetta di panettone.
La storia inizia così...

Sono le 5 del mattino e stanotte ha fatto molto freddo.
Esco a fatica dagli strati di coperte che ci siamo buttati addosso ieri sera. Dormono tutti e fuori è ancora buio. Faccio piano per non svegliare nessuno e mi avvicino alla stufa. La accendo con qualche pezzettino di legna e ci metto sopra la pentola dell'acqua. Sono momenti di silenzio. I bambini non si sono ancora svegliati e c'è tempo per andare a tirarli giù dal letto prima che inizi la scuola.
Apro un po' la finestra e l'aria frizzante del mattino entra rapida. Non c'è una nuvola in cielo e si vedono le stelle, sono così luminose che riesco a intravedere le sagome dei vulcani innevati all'orizzonte. Se ne vedono 5 quando il cielo non è coperto e mi ricordo da bambina gli davo nomi diversi. Me li immaginavo come mostri che sbuffano e giocano a prendersi in giro tra loro.
Mi infilo un poncho sulle spalle, anzi due. Quando il cielo è così terso farà freddo. Mi metto il cappello e recupero gli stivali di gomma appena fuori dalla porta.
Brrrrr sono congelati!
Esco di casa e chiudo la porta dietro di me senza fare troppo rumore. Imbocco l'unica strada che c'è e salgo verso il paramo. Vedo le nuvole di fumo che escono dalla mia bocca mentre il respiro si fa sempre più corto, man mano che la salita si fa ripida. I miei passi sembrano una melodia in mezzo a quel silenzio. Ma non sono le uniche note. Sento in lontananza le altre donne che si incamminano.
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Eccola lì la mia mucca. Ancora non ci credo sia mia.
Mi avvicino, la accarezzo un po'. Lei mi guarda mentre rumina inesorabile come fa ogni giorno.
Fa molto freddo stamattina e devo scaldarmi un po' le mani prima di iniziare a mungerla.
Ne ha parecchio di latte oggi. "Brava Mucchita!" le sussurro mentre piano piano vedo il contenitore di metallo riempiersi.
Ci è voluto poco stamattina a prendere tutto il latte. Si vede che le belle giornate terse degli ultimi giorni hanno fatto bene anche alla Mucchita.
Chiudo il coperchio di metallo e mi incammino verso la parte bassa del Paese.
Sono quasi le 7, ormai i bambini si saranno alzati e staranno andando a scuola.
Raggiungo la latteria, il sole sta scaldando l'aria e i vulcani ora li vedo tutti bene, uno di loro sta sbuffando. Mi metto in coda per consegnare il latte appena munto e chiacchiero con Petrona anche lei qui con il suo contenitore di metallo.
Quando arriva il mio turno Francisco lo controlla. Sono sempre un po' agitata perché ho paura che la mia Mucchita possa smettere di fare latte buono. È successo anche ad altre mucche prima e quel latte non lo compra nessuno. Test superato. 7 litri. Francisco li annota sul suo quaderno, io li tengo a mente per sapere quanto mi spetterà a fine settimana.
Saluto Francisco e mentre mi incammino verso casa ecco che incrocio Michele.
Ci salutiamo in kichwa. Anche se è italiano sa parecchie parole nella nostra lingua.
Mi ricordo ancora quando è arrivato qui al villaggio de La Esperanza. Sono passati vent'anni ed io ero una bambina. Mi aveva stupito vedere qualcuno di nuovo, così diverso da tutti gli adulti che avevo visto fino a quel momento. Ero curiosa e insieme agli altri bambini lo seguivamo in giro per il villaggio.
"Mamma quel signore strano cosa fa qui?" Avevo chiesto a mia madre. "Stai tranquilla" mi aveva detto lei "è qui per darci una mano."
E io, da bambina, non capivo che aiuto dovesse darci una persona venuta da lontano. I miei genitori lavoravano nei campi e avevamo una piccola casa fatta di fango e paglia. Che cosa ci mancava?
Sono passati vent'anni e ora so che mia madre aveva ragione.
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Michele, la sua associazione Ayuda Directa, e tutti i volontari che negli anni sono venuti qui hanno fatto tanto per questo minuscolo gruppo di case tra i monti.
Ci hanno aiutato a costruire il bagno con la doccia. Ora ce n'è uno per casa.
Ci hanno aiutato a costruire la latteria e insegnato a fare i formaggi da vendere al mercato. Prima dell'arrivo di Michele non avevo mai assaggiato la mozzarella... in realtà non sapevo nemmeno cosa fosse!
Ci hanno aiutato ad aprire una banca e senza quel prestito che mi hanno fatto, oggi non avrei la mia Mucchita.
E poi ci hanno aiutato a costruire un ristorante e un alloggio per i turisti. Siamo tutti orgogliosi quando qualcuno da lontano viene a stare qui.
Un giorno ho chiesto a Michele come fosse finito a La Esperanza e lui mi ha raccontato la sua storia.
Viene da Bormio, una città in Italia. Anche lì ci sono le montagne ma non ci sono i vulcani. Dice che spesso c'è anche la neve. Qui a La Esperanza invece, non nevica mai.
Michele lavorava in una banca molto più grande di quella che abbiamo qui ora in paese. A un certo punto però ha capito che quello non era il suo posto e voleva andare a vedere il mondo. Così ha lasciato la sua casa e il suo lavoro, ha preparato uno zaino e ha iniziato il suo viaggio. Poi per caso è arrivato tra queste montagne e ha trovato qui la sua seconda casa.
Se non fosse stato per lui e l'associazione oggi forse La Esperanza sarebbe solo un insieme di case disabitate. Credo ce ne saremmo andati tutti altrove in cerca di un futuro che qui sembrava impossibile.

Questa non è una fantasiosa storia di Natale. È una realtà che abbiamo potuto vivere direttamente anche noi. Lassù, a quasi 4000 metri di altitudine, ho percepito un senso di comunità che mi ha commosso, emozionato, entusiasmato e fatto sentire parte di qualcosa di bello, concreto e reale.
Ho visto la fatica sul volto di chi ha passato una vita a lavorare nei campi. Ho stretto mani ruvide che mi hanno ricordato quelle di mia nonna, cresciuta anche lei in campagna.
E ho incrociato sguardi orgogliosi e sinceri.
A volte penso che vorrei avere anche solo la metà della forza e del coraggio che hanno spinto Michele a fondare Ayuda Directa e fare così tanto per aiutare queste persone.
Non so se li avrò mai, ma posso parlarne, sostenere quei progetti, farli conoscere a chi avrà voglia di ascoltare questa storia.
Una fiaba moderna che parte da Bormio e arriva fino in Ecuador.
Angela (e Paolo)
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