Da Premana all’Uganda: l’esperienza di Sara Gianola, ventunenne studentessa in ostetricia

Si è conclusa solo pochi giorni fa – e precisamente il 17 dicembre, quando ha fatto ritorno nella sua amata Premana – l’esperienza che Sara Gianola, studentessa di ventun anni del “paese delle lame”, ha vissuto in terra africana. Tre i mesi trascorsi presso il villaggio di Kalongo, nel Nord dell’Uganda, nell’ambito di un’esperienza formativa e di tirocinio legata al corso di laurea in Ostetricia, che Sara frequenta presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca. 
Con_le_colleghe.jpg (254 KB)
Sara con le colleghe locali

Il tirocinio è stato organizzato grazie alla collaborazione dell’Ateneo con la Fondazione Ambrosoli, che dal 1998 sostiene il Dr. Ambrosoli Memorial Hospital e la St. Mary’s Midwifery Training School di Kalongo, questi ultimi fondati nel 1957 dal chirurgo e missionario comboniano padre Giuseppe Ambrosoli. 
La giovane è partita alla volta dell’Uganda lo scorso 11 ottobre, volando prima in direzione della capitale Kampala e raggiungendo in seguito Kalongo dopo un viaggio in auto… di dieci ore. Tragitto lungo il quale la premanese ha avuto modo fin da subito di rendersi conto delle condizioni di povertà in cui vessa la popolazione locale, soprattutto nella parte settentrionale del Paese, quella in cui si è recata Sara.
Sala_parto.jpg (232 KB)
La sala parto

Giunta presso Kalongo, l’aspirante ostetrica ha iniziato quasi immediatamente il suo praticantato, lavorando presso il Dr. Ambrosoli Memorial Hospital, affiancata dal personale locale, oltre che da una sua compagna di corso, con la quale ha condiviso l’intera esperienza. “Non essere sola è stato molto importante, soprattutto nei primi giorni e nelle prime settimane, quando ho dovuto calarmi in una realtà non semplice” ci ha raccontato Sara, mentre illustrava le condizioni di un ospedale… “ben diverso dai nostri. Oltre al reparto maternità, c’erano una sorta di pronto soccorso, un settore di medicina interna, una pediatria e una sala operatoria. Niente altro. Mancavano inoltre la maggior parte delle attrezzature che abbiamo qui e accedere ai farmaci era molto difficile, soprattutto per via dei costi elevati”.
Villaggio.jpg (201 KB)
Oltre alla pratica in ospedale (tra sala parto e clinica antenatale), alcuni giorni della settimana erano riservati alle “uscite” sul territorio, nei villaggi che circondano Kalongo (anche a due, tre ore di distanza), per assistere domesticamente le donne gravide o per offrire test di screening. “Spostandomi sul territorio, sono entrata in contatto con realtà ancora più povere di quanto già non fosse il villaggio di Kalongo: capanne che sorgono nel mezzo del nulla, nelle quali vivono persone che non hanno niente. Anche se l’area non si può definire “di povertà estrema”, il Nord dell’Uganda (a differenza del Sud industrializzato), è un’area rurale, dove si vive (a stento) di un’economia esclusivamente agricola”.

Galleria fotografica (17 immagini)

“L’esperienza è stata molto forte” ci ha confidato ancora Sara “perché è bastato pochissimo tempo per percepire l’enorme divario che c’è tra casa nostra e questi luoghi, sotto tutti i punti di vista”. Basti pensare che nelle aree settentrionali del Paese le strade asfaltate semplicemente non esistono; perciò – e qui emerge una dimensione tragica – “mi sono accorta che le nascite in ospedale diminuivano drasticamente nel periodo delle piogge. Perché le donne preferiscono partorire a casa che rischiare di rimanere impantanate nel tragitto verso l’ospedale”.
Uganda_2.jpg (192 KB)
Per quanto riguarda le relazioni con la gente del luogo, Sara ci ha spiegato che “i rapporti più stretti li ho intrecciati con i miei colleghi, persone del posto con le quali ho dovuto e potuto interagire costantemente, imparando anche ad adattarmi e a convivere con una cultura, lavorativa e non, abbastanza diversa dalla nostra”. “Oltre a loro” ha aggiunto “purtroppo non ho avuto la possibilità di interfacciarmi così tanto con la gente del luogo, perché la maggior parte delle persone non va a scuola, dunque non sa parlare inglese e usa solo la lingua locale, l’acholi” (anche per questo motivo, Sara ha dovuto imparare alcune parole ed espressioni in acholi, in particolare quelle più utili nell’ambito del parto). “Devo però dire che la gente di Kalongo è molto accogliente e c’è tanto rispetto reciproco” ha voluto aggiungere.
Uganda_6.jpg (63 KB)
Come accennato, la premanese ha fatto ritorno in patria solo pochi giorni fa, il 17 dicembre, al termine di tre mesi molto intensi e carichi di emozioni. “Da un lato ritornerei lì domani” ha affermato “anche se è stata un’esperienza a tratti molto forte. Chiaramente, dall’altra parte avevo voglia di tornare a casa, visto anche il periodo”. Prima di salutarci, Sara ha voluto spiegarci come “una volta tornati qui, si percepisce ancora di più la differenza con quei luoghi nel mondo dove le persone non sono fortunate come noi, e questo mi ha fatto molto pensare”. Ciò che è certo è che la giovane premanese ha lasciato un pezzo del suo cuore in terra africana, oltre a… “un pezzo di Premana”, grazie alle coperte realizzate dal sodalizio locale “unfilocheciunisce” e donate alla terapia intensiva neonatale dell’ospedale ugandese.
A.Te.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.