Insubria: ultime due condanne, ricorso in Cassazione per le 'attenuanti'

Si è definitivamente chiuso con la condanna degli ultimi due imputati, il filone lecchese del processo Insubria.
Nelle scorse settimane il giudice per l'udienza preliminare del tribunale di Milano ha condannato a quattro anni di reclusione - con la concessione delle attenuanti generiche - Domenico Lamanna, 65 anni, residente a Calolziocorte ma originario di Laureana di Borrello (Reggio Calabria)  e Francesco Petrolo, 57 anni, di Giffone (nel Reggino) con casa a Torre de’ Busi, entrambi difesi dall'avvocato Giuliana Scaricabarozzi.
La sentenza irrogata nei confronti dei due va ad aggiungersi a quella relativa agli altri 35 coimputati - giudicati e poi condannati - in abbreviato. Pene le ultime due, sostanzialmente più contenute rispetto a quelle dell'altro troncone processuale, quello che ha visto coinvolti i presunti affiliati alla cosiddetta “locale” di Calolziocorte. Sei anni infatti la condanna massima, emessa nei confronti di Antonio Mandaglio di Carenno.
Secondo quanto è emerso, per quel che riguarda la posizione di Lamanna e Petrolo sarebbe caduta l'aggravante detenzione delle armi; confermata invece l’ipotesi di reato prevista dall’articolo 416 bis del codice penale, vale a dire l’associazione per delinquere di stampo mafioso.
Se i difensori dei lecchesi già condannati in primavera hanno depositato istanza di appello, la Procura generale di Milano ha presentato un ricorso alla Cassazione sulla legittimità dell’applicazione delle attenuanti generiche agli imputati, che ha ridotto notevolmente le condanne rispetto alle richieste avanzate dai pubblici ministeri Milano Paolo Storari e Francesca Celle.
162 anni di carcere stabiliti dalla sentenza del gup del Tribunale di Milano Fabio Antezza contro quasi 400 richiesti dalla pubblica accusa.
G.C.
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