Banca Lecchese, Cgil denuncia: la crisi da anni, nessun intervento. 900 azionisti coinvolti

La chiusura, entro la fine dell’anno, delle filiali della Banca lecchese presenti sul nostro territorio (a Oggiono, Merate e Lecco, unitamente a Bergamo e Monza) non avrà soltanto una ricaduta occupazionale sui 23 dipendenti ai quali è stata proposta la risoluzione contrattuale del rapporto di lavoro, in alternativa (riservata ad alcuni di loro) al trasferimento a Roma o a lavorare in qualità di agenti. Le conseguenze si faranno sentire anche a livello economico sull’intero territorio, e sui quei “piccoli risparmiatori” (sono 900, su un totale di 1.400 che le aveva acquistate) che possiedono azioni dell’istituto di credito ora soggette a forte svalutazione. 
Cgil e Federconsumatori ora si interrogano sul ruolo di chi aveva il compito di “vigilare”, Banca d’Italia compresa, puntando il dito contro la nuova proprietà che non avrebbe dimostrato la giusta attenzione e responsabilità sociale al complesso socio economico dell’istituto di credito, utilizzandolo come “contenitore” da svuotare per promuovere un’attività più redditizia. Il sistema economico locale, questo quanto sottolineato nella mattinata di oggi, non è stato in grado di confrontarsi con questa realtà lasciandola senza riferimenti, con la conseguenza che i piccoli azionisti hanno visto bruciare le loro risorse.

Wolfango Pirelli, Davide Riccardi, Carmine Leva e Francesco Castellotti

Federconsumatori, contatta da alcuni di loro, ha garantito il proprio impegno al fine di accertare se vi sia stata una “omessa vigilanza” sul percorso della banca, ed individuare eventuali “responsabilità” tra gli amministratori nel rendere note ai soci una serie di problematiche iniziate molto prima dell’annuncio, da parte dalla Oaktree Capital Management, della riconversione dell’attività.
A tracciare la storia di quella che è stata definita senza mezzi termini la “cronaca di una morte annunciata” sono stati il segretario generale Cgil Wolfango Pirelli e il segretario generale Fisac Cgil Davide Riccardi.
La Banca Lecchese era nata da una costola dell’ex Banca Popolare di Lecco, (ceduta negli anni Novanta dall’allora Banca popolare di Novara alla Banca d’America e d’Italia, poi divenuta Deutsche Bank), e fu venduta al Gruppo Banca Etruria. Il Commissario di quest’ultima effettuò poi la cessione al fondo Oaktree Capital Management che, dopo aver ricapitalizzato la società, ha ora previsto di utilizzare la licenza bancaria per riconvertire l’attività in una “newco” dedicata ai finanziamenti alle piccole e medie imprese, cessione del quinto, factoring e conti deposito.
“Niente più sportelli e dipendenti dunque, ma conti online e operazioni giudicate più redditizie. Una soluzione che non arreca danno solo ai lavoratori coinvolti, ma ha un impatto negativo sull’intero sistema produttivo del territorio” ha specificato Pirelli. “Sono circa 2.500 i correntisti,  per un credito pari a 60 milioni di euro. Le aziende che avevano sottoscritto prestiti o fidi hanno dovuto “rientrare” in tutta fretta  rivolgersi altrove. In generale siamo perplessi di fronte alla riorganizzazione aziendale proposta, dubitiamo della credibilità di questa operazione. In una periodo come quello attuale, in cui si intravedono timidi segnali di ripresa economica, l’accesso al credito in generale necessita di particolare attenzione e tutele. Questa era una situazione sulla quale era possibile intervenire anni fa, ma nulla è stato fatto”.
Nell’ambito della cessione al Gruppo Etruria nel 2013, la dirigenza della Banca lecchese aveva evidenziato gli aspetti positivi di tale operazione, in direzione di una “riduzione dei costi amministrativi, razionalizzazione e semplificazione della governance e dei processi decisionali, tenendo fede all’attenzione alle necessità del territorio”, adottando altresì (dalla relazione al bilancio 2015) “il presupposto della continuità aziendale”. “Il finale è stato molto diverso, e questo ci dice che la cessione di una banca ad un fondo non costituisca una garanzia per nessuno: privati, lavoratori, e l’intera comunità locale” ha concluso Pirelli sottolienando come si vada a perdere in questo modo qualsiasi legame sul territorio.

Wolfango Pirelli e Davide Riccardi

 

È stato Davide Riccardi ad entrare nel merito del “declino” che, dal 2012, ha caratterizzato la Banca Lecchese, inserita in un contesto provinciale vivace, nonostante il numero degli addetti sia calato dai 1.600 degli anni 2008-2010 ai 1.450 di oggi. Sono oltre 230 gli sportelli afferenti ad una quarantina di istituti, nazionali e locali, per un ammontare di 3 miliardi di euro in depositi.
“Prima hanno parlato di continuità, poi hanno annunciato chiusure ed esuberi. Il fondo proprietario ha deciso di utilizzare la licenza acquisita per fare altro” ha spiegato.
Il numero dei dipendenti è sceso dai 36 del 2012 ai 23 attuali, e le “curve” relative al volume d’affari riflettono un drastico calo dopo il 2012. Il totale attivo (che indica la dimensione aziendale) è sceso da 155 milioni di euro agli 82 del 2015, i “mezzi propri” (patrimonio) da 27 a 9 milioni, i crediti verso la clientela da 120 a 62 milioni.

“Praticamente ogni attività si è dimezzata in tre anni, e questo ha avuto una conseguenza diretta sui ricavi”
ha spiegato Riccardi, evidenziando come quelli derivanti da commissioni nette (per operazioni legate ai conti, pagamenti etc..) siano scesi da 2,04 milioni a 1,27.


Allo stesso tempo, l’incidenza dei costi sui ricavi (per il personale e le spese amministrative) è aumentata, nonostante il costo unitario dei dipendenti non si allontani dalle medie di settore (fa eccezione il 2014). “Gli accantonamenti per i crediti “deteriorati”, vale a dire il cui valore è stato rettificato, sono cresciuti enormemente dopo il 2012, forse a causa di un’opera di “pulizia” relativamente a problematiche già esistenti, ma alle quali non veniva posta attenzione. I ricavi – al netto degli accantonamenti sui crediti – dal 2013 sono in negativo”. Si passa infatti ai 2,89 milioni di euro del 2012 ai – 3,67 del 2013, per scendere poi ulteriormente nell’anno successivo a -8,84.
“Il peso della sofferenza (crediti inesigibili) è quintuplicato dal 2009 in percentuale, e già a partire dal 2010 gli utili appaiono in negativo. I crediti in sofferenza (al netto degli accantonamenti) superano il patrimonio della banca, determinandone in pratica il fallimento. Il fondo proprietario ha messo a disposizione un capitale (5 milioni di euro) per riconvertire l’attività, ma è mancata una ricapitalizzazione antecdednte. Servivano altri interventi, e forse un maggiore controllo. Per quanto riguarda la trattativa con i lavoratori, dove Cgil non è presente perché non ha iscritti, avremmo preferito si agisse per preservare un presidio territoriale”.

Carmine Leva e Francesco Castellotti

 

Quello che si può fare ora, ha spiegato il presidente Federconsumatori Lecco Carmine Leva, è assistere i piccoli azionisti che chiedono “giustizia” e si sentono “raggirati”. “1.400 risparmiatori sono stati invitati a vendere le proprie azioni, il cui valore è sceso da 5 a 0,33 €. 500 lo hanno fatto, gli altri 900 no. Alcuni di loro ci hanno contattato la scorsa estate, quando hanno compreso che la banca avrebbe chiuso le filiali. Non è solo una questione economica, subentra anche un senso di vergogna a livello personale” ha spiegato.
Il presidente regionale di Federconsumatori Francesco Castellotti ha evidenziato come l’istituto lecchese rappresenti l’ennesimo esempio di come il sistema “banca-territorio” sia fortemente in crisi. “In questo caso potremmo essere di fronte ad un difetto nell’informazione verso i soci, in merito all’acquisto delle azioni. Serve un’analisi in merito ad una eventuale omessa vigilanza, e se vi sia stata o meno una responsabilità negli amministratori, nel “nascondere” problemi già presenti da anni. Noi ci siamo, e siamo accanto a questi 900 azionisti”.
La trattativa sindacale in merito al futuro dei dipendenti in servizio (ancora per poco) nelle filiali della banca Lecchese prosegue con Fabi, Cisl e Uil.
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