Carenno: in tantissimi alla proiezione del film dedicato al reduce di Russia Balossi
Fedele Balossi è nato a Carenno nel 1919. Fin da piccolo ha curato le bestie al pascolo, come tanti altri in paese. Ma la sua vita è cambiata quando la Storia ha bussato alla sua porta e da Carenno lo ha portato – con un cappello da Alpino in testa – al fronte.
Da tempo il carennese racconta a ragazzi e studenti la sua storia e quella dei tanti compagni del Battaglione Tirano che non hanno avuto la fortuna di ritornare a casa ma hanno perso la vita tre le nevi della Russia, uccisi da un proiettile o dal gelo.
Intervistato da Sergio Vaccaro, Angelo Gandolfi e Cristina Melazzi, Fedele ha raccontato pagine dure e tristi della sua gioventù rubata.
Fedele ha visto tante vite di giovani spezzarsi sotto i suoi occhi. Come quella del compaesano Giacomo Mazzoleni, centrato da un colpo di mortaio a pochi metri da Balossi. “Sono riuscito solo a prendere la sua pipa e il suo portafogli per riconsegnarli alla famiglia quando sono rientrato in Italia”.
Nel documentario, questo ricordo ha fatto scoppiare in lacrime Fedele: “Un giorno mi convocarono in ufficio e mi chiesero di firmare un documento con il quale mi chiedevano di unirmi ai Tedeschi. Ho subito capito che se avessi detto di sì mi avrebbero inviato al fronte, mentre se avessi detto di no sarei finito in un campo di sterminio. Ma non accettai e risposi loro: “Sono nato italiano, morirò italiano””.
Terminato il conflitto, con molta fatica, Fedele è tornato in Italia ma vi è rimasto poco: nel 1947 ha lasciato Carenno per andare a lavorare per quasi 30 anni in Svizzera. Un destino comune a tanti nonni del paese, costretti a emigrare per trovare un impiego, soprattutto come manovali nei cantieri elvetici, lasciando a casa moglie e figli che spesso vedevano solo durante i pochi mesi di ritorno al borgo natio.
Uno scroscio di applausi al termine della proiezione del Film – che si intitola “Il secolo lungo di Fedele Balossi. Memorie di guerra, di prigionia, di migrazione” – è stato ancora una volta il grazie delle moltissime persone presenti: Penne Nere, amministratori e carennesi, insieme per Fedele. A lui – in splendida forma “anche se le gambe non sono più quelle di una volta” - e alle altre “colonne” del gruppo Alpini è stata consegnata una targa di riconoscimento.
“I nostri nonni, come Fedele Balossi, ci hanno permesso di vivere in democrazia. I soldati hanno combattuto sui fronti, le popolazioni hanno sofferto le privazioni, i partigiani hanno lottato: a tuti dobbiamo essere riconoscenti” ha sottolineato il vicesindaco. “Dobbiamo pensare alle tante situazioni di guerra che ancora oggi ci sono nel mondo e che richiedono il nostro sostegno affinchè tutti possano godere di libertà e democrazia”.
A sinistra Fedele Balossi
Il vicesindaco Gabriella Zaina e il capogruppo degli Alpini Natale Carsana
Fedele, l’ultimo reduce della Val San Martino (ancora in vita è anche Antonio Sormani, alpino calolziese classe 1918, che però vive da tempo a Milano), è stato protagonista della terribile campagna di Russia – dove ha guadagnato sul campo una medaglia di bronzo al valor militare – ed ha conosciuto anche la prigionia in un campo tedesco.Da tempo il carennese racconta a ragazzi e studenti la sua storia e quella dei tanti compagni del Battaglione Tirano che non hanno avuto la fortuna di ritornare a casa ma hanno perso la vita tre le nevi della Russia, uccisi da un proiettile o dal gelo.
Intervistato da Sergio Vaccaro, Angelo Gandolfi e Cristina Melazzi, Fedele ha raccontato pagine dure e tristi della sua gioventù rubata.
Fedele ha visto tante vite di giovani spezzarsi sotto i suoi occhi. Come quella del compaesano Giacomo Mazzoleni, centrato da un colpo di mortaio a pochi metri da Balossi. “Sono riuscito solo a prendere la sua pipa e il suo portafogli per riconsegnarli alla famiglia quando sono rientrato in Italia”.
Nel documentario, questo ricordo ha fatto scoppiare in lacrime Fedele: “Un giorno mi convocarono in ufficio e mi chiesero di firmare un documento con il quale mi chiedevano di unirmi ai Tedeschi. Ho subito capito che se avessi detto di sì mi avrebbero inviato al fronte, mentre se avessi detto di no sarei finito in un campo di sterminio. Ma non accettai e risposi loro: “Sono nato italiano, morirò italiano””.
Terminato il conflitto, con molta fatica, Fedele è tornato in Italia ma vi è rimasto poco: nel 1947 ha lasciato Carenno per andare a lavorare per quasi 30 anni in Svizzera. Un destino comune a tanti nonni del paese, costretti a emigrare per trovare un impiego, soprattutto come manovali nei cantieri elvetici, lasciando a casa moglie e figli che spesso vedevano solo durante i pochi mesi di ritorno al borgo natio.
Uno scroscio di applausi al termine della proiezione del Film – che si intitola “Il secolo lungo di Fedele Balossi. Memorie di guerra, di prigionia, di migrazione” – è stato ancora una volta il grazie delle moltissime persone presenti: Penne Nere, amministratori e carennesi, insieme per Fedele. A lui – in splendida forma “anche se le gambe non sono più quelle di una volta” - e alle altre “colonne” del gruppo Alpini è stata consegnata una targa di riconoscimento.
“I nostri nonni, come Fedele Balossi, ci hanno permesso di vivere in democrazia. I soldati hanno combattuto sui fronti, le popolazioni hanno sofferto le privazioni, i partigiani hanno lottato: a tuti dobbiamo essere riconoscenti” ha sottolineato il vicesindaco. “Dobbiamo pensare alle tante situazioni di guerra che ancora oggi ci sono nel mondo e che richiedono il nostro sostegno affinchè tutti possano godere di libertà e democrazia”.
Paolo Valsecchi