Io non ci sto. Prima persone poi direttrici di Banca
Caro Direttore,
Da alcuni giorni gira ovunque – social e stampa – il video amatoriale di una direttrice di banca che, insieme ai colleghi, canta e promuove la sua filiale.
Messo in rete malgrado fosse destinato a un uso solo interno, ancora una volta è stato motivo per far emergere la quantità spropositata di cafoni, volgari e indecenti commentatori che – su internet e fuori - non han rispetto per le persone.
E altrettanto gravemente, a parer mio, non si rendono conto, o se ne fregano, (basta sentire alcune trasmissioni tv o radio) dei potenziali danni che certi loro commenti, certi atti di bullismo, (perché la maggior parte dei commenti sono da inserire dentro questa categoria,) possono incidere e ferire i protagonisti, messi alla berlina e derisi con una gravità sempre vigliacca da tastiera.
IO NON CI STO. Non è buonismo o solidarietà, la mia, con la categoria. E’ proprio per un’evidenza oggettiva.
Perché in un video amatoriale, certo sopra le righe, probabilmente spinto più dall’aziendalismo quasi estremo che dalla scanzonata autogoliardia, i commenti non hanno quasi mai ridicolizzato questo, ossia l’azione, ma la persona.
Una violenza. Senza scusanti.
IO NON CI STO. Perché si può essere anche consapevoli che l’epifenomeno della mancanza di senso del ridicolo, non è mai gratis: si paga e, in fondo, si deve pagare, ma c’è da chiedersi chi lo stabilisce il prezzo giusto? Il bullo della giostra da tastiera? Riteniamo davvero che una persona, ancor prima che una lavoratrice, una persona normale come la direttrice della Banca stia pagando davvero un prezzo equo?
Benvenuta quella società dove i suoi membri comprendono che è nobile e qualificante stare dalla parte del soggetto più vulnerabile e, “qui e ora”, adoperarsi perché nessuno, debba essere vessato, umiliato, offeso.
Qui non c’entra nulla, come non c’entra quando una donna subisce una violenza, dire che va difesa perché potrebbe essere nostra sorella, figlia, o madre… no. Qui, come in ogni altra violenza questa è tale perché colpisce una persona, in quanto persona.
La violenza non si misura, mai, in base al rapporto, al grado di parentela con noi.
Il vero dramma, la vera gravità, è che questa slavina di persone che han commentato in maniera così volgare, idiota, arrogante, sarcastica, che han tenuto comportamenti così meschini, vigliacchi e stupidi, non sono state in grado nemmeno di comprendere che la vera gravità, violenza, è dentro questo modello di lavoro, questa società che costringe – consapevolmente o meno – troppe persone a prendere parte a cose ridicole, che nulla hanno a che fare con le proprie competenze, capacità professionali e saperi.
E’ questo modello di economia e lavoro che ti costringe a mostrare il proprio attaccamento al lavoro, in maniera a volte eccessiva, come in questo specifico caso.
Il dramma sta in questo modello di lavoro dove occorre sorridere non per avere un premio, ma solo per sopravvivere.
Questo è il vero dramma; il video ne è casomai solo una conseguenza, e merita il rispetto che si porta alle vittime, vittime peraltro non in maniera secondaria di carnefici da tastiera.
Da alcuni giorni gira ovunque – social e stampa – il video amatoriale di una direttrice di banca che, insieme ai colleghi, canta e promuove la sua filiale.
Messo in rete malgrado fosse destinato a un uso solo interno, ancora una volta è stato motivo per far emergere la quantità spropositata di cafoni, volgari e indecenti commentatori che – su internet e fuori - non han rispetto per le persone.
E altrettanto gravemente, a parer mio, non si rendono conto, o se ne fregano, (basta sentire alcune trasmissioni tv o radio) dei potenziali danni che certi loro commenti, certi atti di bullismo, (perché la maggior parte dei commenti sono da inserire dentro questa categoria,) possono incidere e ferire i protagonisti, messi alla berlina e derisi con una gravità sempre vigliacca da tastiera.
IO NON CI STO. Non è buonismo o solidarietà, la mia, con la categoria. E’ proprio per un’evidenza oggettiva.
Perché in un video amatoriale, certo sopra le righe, probabilmente spinto più dall’aziendalismo quasi estremo che dalla scanzonata autogoliardia, i commenti non hanno quasi mai ridicolizzato questo, ossia l’azione, ma la persona.
Una violenza. Senza scusanti.
IO NON CI STO. Perché si può essere anche consapevoli che l’epifenomeno della mancanza di senso del ridicolo, non è mai gratis: si paga e, in fondo, si deve pagare, ma c’è da chiedersi chi lo stabilisce il prezzo giusto? Il bullo della giostra da tastiera? Riteniamo davvero che una persona, ancor prima che una lavoratrice, una persona normale come la direttrice della Banca stia pagando davvero un prezzo equo?
Benvenuta quella società dove i suoi membri comprendono che è nobile e qualificante stare dalla parte del soggetto più vulnerabile e, “qui e ora”, adoperarsi perché nessuno, debba essere vessato, umiliato, offeso.
Qui non c’entra nulla, come non c’entra quando una donna subisce una violenza, dire che va difesa perché potrebbe essere nostra sorella, figlia, o madre… no. Qui, come in ogni altra violenza questa è tale perché colpisce una persona, in quanto persona.
La violenza non si misura, mai, in base al rapporto, al grado di parentela con noi.
Il vero dramma, la vera gravità, è che questa slavina di persone che han commentato in maniera così volgare, idiota, arrogante, sarcastica, che han tenuto comportamenti così meschini, vigliacchi e stupidi, non sono state in grado nemmeno di comprendere che la vera gravità, violenza, è dentro questo modello di lavoro, questa società che costringe – consapevolmente o meno – troppe persone a prendere parte a cose ridicole, che nulla hanno a che fare con le proprie competenze, capacità professionali e saperi.
E’ questo modello di economia e lavoro che ti costringe a mostrare il proprio attaccamento al lavoro, in maniera a volte eccessiva, come in questo specifico caso.
Il dramma sta in questo modello di lavoro dove occorre sorridere non per avere un premio, ma solo per sopravvivere.
Questo è il vero dramma; il video ne è casomai solo una conseguenza, e merita il rispetto che si porta alle vittime, vittime peraltro non in maniera secondaria di carnefici da tastiera.
Paolo Trezzi