Bertacchi: gli studenti si confrontano con l’Imam, una suora e un don sulle religioni
Il dialogo tra religioni, l’integrazione e la tolleranza reciproca: sono stati questi i temi al centro dell’interessante assemblea d’istituto organizzata dai ragazzi del “Bertacchi” di Lecco per approfondire alcuni temi di grande concretezza e attualità, raramente discussi sui banchi di scuola.
“In che modo i giovani, e in particolare quelli musulmani, possono essere coinvolti e inseriti a pieno titolo nella nostra società?”: questa la prima domanda posta da Chiara, la moderatrice del dibattito, ai tre ospiti della mattinata, che hanno preso la parola a turno.
“È un percorso lungo e non privo di difficoltà, ma, se ci pensate un po’, di fatto i nostri ragazzi si integrano da soli, perché vivono nelle scuole, nei bar, nelle piazze e nelle strade proprio come tutti i loro coetanei italiani” ha risposto l’Imam Al Santawy. “La sfida – ha aggiunto Suor Giusy Valentini – è quella di imparare a conoscere e ad apprezzare l’altro nelle sue diversità, trascorrendo del tempo insieme nella quotidianità di ogni giorno”.
“In realtà anche qui, almeno fino agli anni ’70, tutte le signore erano solite coprirsi la testa ogni volta che entravano in Chiesa, in segno di rispetto e pudore” ha ricordato don Lorenzo, facendo riferimento a un aneddoto più volte raccontatogli dalla madre. “In pratica era un simbolo di modestia, spesso utilizzato – almeno in alcune regioni del mondo – anche per ragioni di clima e di tradizioni. Dobbiamo liberarci del diffuso pregiudizio che tutte le donne che indossano un velo siano sottomesse, quasi come delle schiave: piuttosto, è più utile tenere a mente che spesso il nostro corpo può essere anche un inganno per noi stessi e per gli altri, e che il rischio è quello di ridurlo a un semplice oggetto. È proprio da qui che può sorgere un punto di contatto tra le due religioni: che cosa significa (e che cosa implica) davvero essere liberi con il proprio corpo?”.
“Non c’è nessun fondamento religioso nelle azioni di quegli scellerati che seminano odio e violenza nel nome di Allah” ha affermato. “È come se vi dicessi che la Chiesa Cristiana sforna mafiosi soltanto perché talvolta alcuni boss siciliani – come nel film “Il padrino” – sono “ritratti” con una corona del Rosario tra le mani. Al di là delle battute, credo che per chi vuole fare del male agli altri qualsiasi scusa è buona: spesso, per alcuni uomini, il terrorismo è stato il punto di arrivo di una disperata ricerca di soluzioni forti per uscire da una situazione di disagio o di grave difficoltà, che li ha portati su una strada senza ritorno. La radice – anche etimologica – dell’Islam, invece, è la pace, l’abbandono e la consegna di sé alla volontà divina”.
“Un po’ come accadeva nei nostri anni “di piombo”, quando la parte dei “cattivi” era recitata, a turno, da fascisti e comunisti, penso che i terroristi costituiscano una piccola minoranza di persone che vogliono far sentire la propria voce in maniera eclatante” ha poi concluso don Lorenzo Maggioni. “La verità è che se le religioni non vengono comprese e analizzate a fondo rischiano di chiudere le menti, invece di aprirle: siamo noi, quindi, a dover imparare a non lasciarci imprigionare dagli “schemi”. Da questo punto di vista, la scelta di organizzare un’iniziativa come quella di oggi è davvero notevole, oltre che coraggiosa e insolita: non posso fare altro, pertanto, che ringraziare voi ragazzi per averci invitato a questo momento di confronto e approfondimento, prezioso tanto per voi, quanto per noi ospiti”.
“In che modo i giovani, e in particolare quelli musulmani, possono essere coinvolti e inseriti a pieno titolo nella nostra società?”: questa la prima domanda posta da Chiara, la moderatrice del dibattito, ai tre ospiti della mattinata, che hanno preso la parola a turno.
“È un percorso lungo e non privo di difficoltà, ma, se ci pensate un po’, di fatto i nostri ragazzi si integrano da soli, perché vivono nelle scuole, nei bar, nelle piazze e nelle strade proprio come tutti i loro coetanei italiani” ha risposto l’Imam Al Santawy. “La sfida – ha aggiunto Suor Giusy Valentini – è quella di imparare a conoscere e ad apprezzare l’altro nelle sue diversità, trascorrendo del tempo insieme nella quotidianità di ogni giorno”.
Suor Giusy Valentini, don Lorenzo Maggioni, l’Imam Usama Al Santawy
A proposito di simboli, sono stati diversi i quesiti posti dagli studenti per soddisfare alcune loro semplici curiosità legate, per esempio, al copricapo indossato dall’Imam (“un semplice accessorio tradizionale, peraltro made in China”) e all’anello sfoggiato da Suor Giusy “al posto della più ingombrante tonaca, come indicazione visibile dell’unione con Dio”. Immancabile, poi, una domanda sul velo, caratteristico soprattutto delle donne musulmane.“In realtà anche qui, almeno fino agli anni ’70, tutte le signore erano solite coprirsi la testa ogni volta che entravano in Chiesa, in segno di rispetto e pudore” ha ricordato don Lorenzo, facendo riferimento a un aneddoto più volte raccontatogli dalla madre. “In pratica era un simbolo di modestia, spesso utilizzato – almeno in alcune regioni del mondo – anche per ragioni di clima e di tradizioni. Dobbiamo liberarci del diffuso pregiudizio che tutte le donne che indossano un velo siano sottomesse, quasi come delle schiave: piuttosto, è più utile tenere a mente che spesso il nostro corpo può essere anche un inganno per noi stessi e per gli altri, e che il rischio è quello di ridurlo a un semplice oggetto. È proprio da qui che può sorgere un punto di contatto tra le due religioni: che cosa significa (e che cosa implica) davvero essere liberi con il proprio corpo?”.
“Non c’è nessun fondamento religioso nelle azioni di quegli scellerati che seminano odio e violenza nel nome di Allah” ha affermato. “È come se vi dicessi che la Chiesa Cristiana sforna mafiosi soltanto perché talvolta alcuni boss siciliani – come nel film “Il padrino” – sono “ritratti” con una corona del Rosario tra le mani. Al di là delle battute, credo che per chi vuole fare del male agli altri qualsiasi scusa è buona: spesso, per alcuni uomini, il terrorismo è stato il punto di arrivo di una disperata ricerca di soluzioni forti per uscire da una situazione di disagio o di grave difficoltà, che li ha portati su una strada senza ritorno. La radice – anche etimologica – dell’Islam, invece, è la pace, l’abbandono e la consegna di sé alla volontà divina”.
“Un po’ come accadeva nei nostri anni “di piombo”, quando la parte dei “cattivi” era recitata, a turno, da fascisti e comunisti, penso che i terroristi costituiscano una piccola minoranza di persone che vogliono far sentire la propria voce in maniera eclatante” ha poi concluso don Lorenzo Maggioni. “La verità è che se le religioni non vengono comprese e analizzate a fondo rischiano di chiudere le menti, invece di aprirle: siamo noi, quindi, a dover imparare a non lasciarci imprigionare dagli “schemi”. Da questo punto di vista, la scelta di organizzare un’iniziativa come quella di oggi è davvero notevole, oltre che coraggiosa e insolita: non posso fare altro, pertanto, che ringraziare voi ragazzi per averci invitato a questo momento di confronto e approfondimento, prezioso tanto per voi, quanto per noi ospiti”.
B.P.