Da Valmadrera a via Fani: l'agente di Polizia Giulio Rivera
I colleghi di lavoro di Giulio Rivera quando faceva l’operaio in una fabbrica di Valmadrera avevano fatto pervenire a Guglionesi, presso la camera ardente allestita nel paese natale del giovane agente di P.S. trucidato a Roma dalle Brigate Rosse, un grande mazzo di fiori, con allegato un biglietto dove era scritto “Il vento soffia forte, e cancella ogni cosa. L’acqua scende rapida, silenziosa su ogni fiore, ma la tua immagine vive sempre nei nostri cuori”. Quei compagni di fabbrica di Valmadrera, un anno dopo la tragedia di via Fani a Roma, fecero fondere quelle parole in una lapide e la portarono a Guglionesi, dove ora spicca sul bronzo di granito dove è sepolto Giulio Rivera.

Giulio Rivera
L’episodio è riferito nelle pagine del libro uscito in questi giorni “Gli eroi di via Fani” (Longanesi), dedicato agli uomini della scorta di Aldo Moro, caduti nell’adempimento del dovere, a Roma, il 16 marzo 1978, nell’atroce agguato terroristico delle Brigate Rosse. L’autore del volume, Filippo Boni, già autore di ricerche sulla Resistenza e sull’età contemporanea, è andato nei luoghi in cui hanno vissuto i cinque scomparsi, ha parlato con le persone che li avevano amati e conosciuti.
Vi è, nel libro, un capitolo dedicato al “ragazzo del sud”, che a 16 anni aveva raggiunto Valmadrera per cercare lavoro, seguendo il fratello maggiore Angelo. Giulio Rivera trovò occupazione nella ditta Castagna, che produceva attrezzature per campeggiatori. Rimase in tale ditta sino a vent’anni, quando, al momento del servizio militare di leva, decise di arruolarsi nella Polizia. Nella prefazione del volume, curata da Mario Calabresi, si legge: “Il più giovane era il molisano Giulio Rivera, 24 anni, anche lui di famiglia contadina, andava a scuola con gli zoccoli, pure quando c’era la neve. Seguì il percorso del fratello Angelo verso nord, operaio in fabbrica a Lecco. Allievo nella scuola di Alessandria, poi destinato al 3° Celere di Milano, nei momenti del ’75 contrassegnati da una crescente violenza, Giulio passa poi al corso per addetti alle scorte, ad Abbasanta, in Sardegna. Nel 1977 arriva a Roma, prima facendo parte della scorta di Flaminio Piccoli e poi entrando in quella di Aldo Moro, con cui rimarrà nove mesi, in tempo, però, per passare l’ultimo Natale in casa Moro, tutti insieme, invitati dal leader politico della Democrazia Cristiana".

L’agguato di via Fani a Roma

Giulio Rivera era arrivato a Valmadrera per l’ultima volta, nel giugno 1977; è scritto nel volume: “Erano mesi che non tornava al Nord, la vita di Roma lo assorbiva troppo, e poi dividersi tra Guglionesi e la provincia di Lecco, durante i congedi, non era facile”. Nel volume è descritto anche l’ultimo giorno, a Roma, il 16 marzo 1978. Guidava l’Alfetta della Polizia con a bordo il vice brigadiere Zizzi ed il collega Raffaele Iozzino, al seguito dell’auto su cui viaggiava il presidente Moro. Si votava la fiducia al governo, era un giorno importantissimo. Intorno alle 7.45 fece salire i colleghi a bordo, Zizzi accanto a lui e Iozzino dietro, prese il posto di guida, poggiò la Beretta 92 vicino alla leva del cambio alla sua destra e partirono rapidamente alla volta del Forte Trionfale, a casa Moro, dove avevano appuntamento con i Carabinieri Domenico Ricci ed Oreste Leonardi, che viaggiavano su una Fiat 130 sulla quale sarebbe salito Aldo Moro. Dopo pochi minuti di attesa vide Moro, lui salutò con la mano e salì sulla Fiat. Quando giunsero in via Fani, all’altezza con l’incrocio con via Stresa vide la Fiat 130 frenare bruscamente; un gruppo di uomini con lunghi mantelli neri, armi in pugno, erano sbucati dal lato sinistro della strada, dietro alcune siepi, ed avevano iniziato a sparare. Non ebbe tempo di fare alcuna manovra con l’auto, era troppo attaccato alla 130 guidata da Ricci, che di fronte a sé aveva un’altra vettura bianca ferma allo stop, che gli bloccava la strada…”.

Panorama di Valmadrera nella seconda metà del Novecento
Angelo, il fratello maggiore di Giulio, seppe della sua morte mentre lavorava in fabbrica a Valmadrera, corse a casa e con il suocero partirono alla volta di Roma. Intervistato dal TG1 presso la lapide di via Mario Fani, alla conclusione della recente cerimonia, con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il fratello maggiore Angelo ha confermato: “Seppi in fabbrica, dal titolare, di quanto avvenuto a Roma, era la stessa fabbrica dove Giulio aveva lavorato prima di arruolarsi in Polizia”.
Giulio Rivera era entrato in Polizia, nella scuola allievi guardie di Alessandria, il 18 aprile 1974; vi restò per tutto l’anno. Il giorno del giuramento c’erano tutti i parenti, tranne Lina, la sorella che era in Canada. Era una bellissima giornata di autunno, il sole splendeva, non c’era nemmeno una nuvola, ma l’Italia barcollava. Dopo le stragi di piazza Fontana, dell’Italicus e di piazza della Loggia, dopo le morti degli agenti Annarumma e Marino, a Milano era stato ucciso il commissario Luigi Calabresi. Il clima dei primi mesi del 1975 era rovente... Il Terzo reparto Celere al quale Giulio era assegnato era in prima linea a Milano per mantenere l’ordine pubblico ai cortei, per evitare che le manifestazioni di carattere politico sfociassero nel sangue, per contrastare la crescente violenza che stava diffondendosi.

Giulio Rivera
L’episodio è riferito nelle pagine del libro uscito in questi giorni “Gli eroi di via Fani” (Longanesi), dedicato agli uomini della scorta di Aldo Moro, caduti nell’adempimento del dovere, a Roma, il 16 marzo 1978, nell’atroce agguato terroristico delle Brigate Rosse. L’autore del volume, Filippo Boni, già autore di ricerche sulla Resistenza e sull’età contemporanea, è andato nei luoghi in cui hanno vissuto i cinque scomparsi, ha parlato con le persone che li avevano amati e conosciuti.
Vi è, nel libro, un capitolo dedicato al “ragazzo del sud”, che a 16 anni aveva raggiunto Valmadrera per cercare lavoro, seguendo il fratello maggiore Angelo. Giulio Rivera trovò occupazione nella ditta Castagna, che produceva attrezzature per campeggiatori. Rimase in tale ditta sino a vent’anni, quando, al momento del servizio militare di leva, decise di arruolarsi nella Polizia. Nella prefazione del volume, curata da Mario Calabresi, si legge: “Il più giovane era il molisano Giulio Rivera, 24 anni, anche lui di famiglia contadina, andava a scuola con gli zoccoli, pure quando c’era la neve. Seguì il percorso del fratello Angelo verso nord, operaio in fabbrica a Lecco. Allievo nella scuola di Alessandria, poi destinato al 3° Celere di Milano, nei momenti del ’75 contrassegnati da una crescente violenza, Giulio passa poi al corso per addetti alle scorte, ad Abbasanta, in Sardegna. Nel 1977 arriva a Roma, prima facendo parte della scorta di Flaminio Piccoli e poi entrando in quella di Aldo Moro, con cui rimarrà nove mesi, in tempo, però, per passare l’ultimo Natale in casa Moro, tutti insieme, invitati dal leader politico della Democrazia Cristiana".

L’agguato di via Fani a Roma

Giulio Rivera era arrivato a Valmadrera per l’ultima volta, nel giugno 1977; è scritto nel volume: “Erano mesi che non tornava al Nord, la vita di Roma lo assorbiva troppo, e poi dividersi tra Guglionesi e la provincia di Lecco, durante i congedi, non era facile”. Nel volume è descritto anche l’ultimo giorno, a Roma, il 16 marzo 1978. Guidava l’Alfetta della Polizia con a bordo il vice brigadiere Zizzi ed il collega Raffaele Iozzino, al seguito dell’auto su cui viaggiava il presidente Moro. Si votava la fiducia al governo, era un giorno importantissimo. Intorno alle 7.45 fece salire i colleghi a bordo, Zizzi accanto a lui e Iozzino dietro, prese il posto di guida, poggiò la Beretta 92 vicino alla leva del cambio alla sua destra e partirono rapidamente alla volta del Forte Trionfale, a casa Moro, dove avevano appuntamento con i Carabinieri Domenico Ricci ed Oreste Leonardi, che viaggiavano su una Fiat 130 sulla quale sarebbe salito Aldo Moro. Dopo pochi minuti di attesa vide Moro, lui salutò con la mano e salì sulla Fiat. Quando giunsero in via Fani, all’altezza con l’incrocio con via Stresa vide la Fiat 130 frenare bruscamente; un gruppo di uomini con lunghi mantelli neri, armi in pugno, erano sbucati dal lato sinistro della strada, dietro alcune siepi, ed avevano iniziato a sparare. Non ebbe tempo di fare alcuna manovra con l’auto, era troppo attaccato alla 130 guidata da Ricci, che di fronte a sé aveva un’altra vettura bianca ferma allo stop, che gli bloccava la strada…”.

Panorama di Valmadrera nella seconda metà del Novecento
Angelo, il fratello maggiore di Giulio, seppe della sua morte mentre lavorava in fabbrica a Valmadrera, corse a casa e con il suocero partirono alla volta di Roma. Intervistato dal TG1 presso la lapide di via Mario Fani, alla conclusione della recente cerimonia, con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il fratello maggiore Angelo ha confermato: “Seppi in fabbrica, dal titolare, di quanto avvenuto a Roma, era la stessa fabbrica dove Giulio aveva lavorato prima di arruolarsi in Polizia”.
Giulio Rivera era entrato in Polizia, nella scuola allievi guardie di Alessandria, il 18 aprile 1974; vi restò per tutto l’anno. Il giorno del giuramento c’erano tutti i parenti, tranne Lina, la sorella che era in Canada. Era una bellissima giornata di autunno, il sole splendeva, non c’era nemmeno una nuvola, ma l’Italia barcollava. Dopo le stragi di piazza Fontana, dell’Italicus e di piazza della Loggia, dopo le morti degli agenti Annarumma e Marino, a Milano era stato ucciso il commissario Luigi Calabresi. Il clima dei primi mesi del 1975 era rovente... Il Terzo reparto Celere al quale Giulio era assegnato era in prima linea a Milano per mantenere l’ordine pubblico ai cortei, per evitare che le manifestazioni di carattere politico sfociassero nel sangue, per contrastare la crescente violenza che stava diffondendosi.
A.B.