Lecco, clinica Mangioni: la verità delle cifre contro la forza della maternità, della vita
La verità delle cifre contro la forza della maternità, della vita. Gli euro contro i vagiti. E sotto traccia, ma non troppo, una drammatica questione occupazionale. La chiusura del reparto ostetricia della Clinica Mangioni ha suscitato reazioni impetuose e solidarietà contagiose. Cortei di mamme e raccolte di adesioni. Una vicenda che corre sul filo della nostalgia e dei ricordi, ma che non può esaurirsi nella sfera emotiva quando il bilancio è in rosso. Rosso profondo. Se mille sono le firme di sostegno alla battaglia per la salvezza del reparto dovrei aggiungere idealmente la mia, se solo pescassi nella mia memoria e mi fermassi al codice dei sentimenti. Il dottor Gian Battista Mangioni, fondatore della Casa di Cura, era il ginecologo di mia madre e suo nipote, il professor Costantino Mangioni, luminare e accademico del ramo è uno dei responsabili (non so se lungimirante o presbite) della mia professione avendomi incoraggiato, ai tempi del liceo, a scrivere sul giornale di Gioventù studentesca. Si chiamava “12.30”. Assecondai la sua intuizione, corroborata anche, dalle insistenze del cardinale Angelo Scola. La parentesi mi serve per dire che a quel tempo erano molti quelli di noi, venuti alla luce in Clinica e per ciò ripensarci oggi è come visitare i luoghi dell’infanzia. Ma la vicenda non può essere liquidata così. Non ci sono i numeri per sostenere il servizio. Il fatturato, cioè i neonati, è diminuito e gli attuali parametri regionali non permettono assistenza e sussistenza nel quadro di una spesa sanitaria ormai astronomica. Ma c’è di più: credo che non si debba difendere con gelosia l’orto di casa se l’erba del vicino è davvero più verde. Fuor di metafora mi riferisco all’ospedale Manzoni dove opera una struttura che è stata classificata appena un passo giù dal podio per qualità, efficienza e modernità in una classifica nazionale. Non solo ma si integra con la neonatologia che è l’ancora di salvezza per superare le complicanze delle prime settimane di vita. Tanto è vero che i bimbi nati alla Mangioni con qualche criticità vengono trasferito all’Eremo. L’osservazione merita di essere approfondita e, presto lo faremo, perché se non si entra nell’ottica di razionalizzare le risorse avremo magari un presidio in più, un dipartimento in più, una specialità in più ma certamente non tutti sullo stesso piano in ordine alla validità del servizio. Per ciò se la difesa di un luogo e di un simbolo è doverosa e commendevole, occorre altresì armarsi di sano realismo e di fare i conti con la complessità del problema.
Altra storia è quel che riguarda i posti di lavoro. Ho ragione di ritenere che per le 10 ostetriche che rischiano di rimanere a casa ci siano soluzioni sia interne, legate ad un loro accorpamento al personale della ginecologia, sia esterne con una ricollocazione nei centri ospedalieri della provincia. O anche fuori nel rispetto delle regole sulla mobilità. Insomma se il dilemma ha due corni, è necessario affrontarli singolarmente per evitare che le legittime aspettative degli operatori siano annacquate nel lavacro del tempo che fu e nel repertorio di lacrime e gioie che la vita, dalla nascita, porta con sé.
Altra storia è quel che riguarda i posti di lavoro. Ho ragione di ritenere che per le 10 ostetriche che rischiano di rimanere a casa ci siano soluzioni sia interne, legate ad un loro accorpamento al personale della ginecologia, sia esterne con una ricollocazione nei centri ospedalieri della provincia. O anche fuori nel rispetto delle regole sulla mobilità. Insomma se il dilemma ha due corni, è necessario affrontarli singolarmente per evitare che le legittime aspettative degli operatori siano annacquate nel lavacro del tempo che fu e nel repertorio di lacrime e gioie che la vita, dalla nascita, porta con sé.
Marco Calvetti