Lecco: il 23 febbraio 1969 una frana si staccò dal S.Martino. I ricordi 50 anni dopo

Mancano pochissimi giorni e saranno trascorsi cinquant'anni: erano le ore 1.30 della notte fra il 22 ed il 23 febbraio 1969, la notte del sabato grasso ambrosiano, quando un pauroso boato scosse la città di Lecco ed il vicino territorio. Un'imponente frana si era staccata dal monte San Martino, nel tratto impervio di parete sovrastante la via Stelvio, la zona residenziale Santo Stefano-viale Turati.

Le operazioni di socorso; il brigadiere dei vigili del fuoco ripreso sul lato sinistro è Enrico Secchi,
recentemente scomparso, allora al comando provinciale di Como, poi divenuto comandante a Lecco

L'enorme massa di detriti, di roccia, di terra, rotolò nel cuore della notte su un edificio di due piani collocato lungo via Stelvio, detto la "Casa del Sole", provocando morti, feriti e rovine. Sette furono le vittime della frana del San Martino del 1969; gli organi di informazione scrissero di "monte maledetto" che "di quando in quando lascia cadere macigni grandi come case, su Lecco".
La tragedia del 1969 resta la maggiore nella storia del San Martino, un monte che ha sempre dato preoccupazioni. La frana fu l'inizio di una lunga vicenda intorno al San Martino, con imponenti lavori di consolidamento e protezione dell'abitato. Poco oggi rimane della ciclopica frana del '69; la vegetazione ha coperto i sassi, la ghiaia è sparsa lungo le pendici; i ruderi della "Casa del Sole" sono invisibili, inghiottiti dal bosco cresciuto intorno a quella che era via Stelvio, cancellata dalle ruspe che hanno innalzato un gigantesco vallo paramassi.
I lavori del vallo hanno sconvolto la geografia del territorio, un lembo verde sotto il "monte matto", meta delle passeggiate lecchesi fuori porta sino alla seconda metà del Novecento.

Il titolo di un quotidiano dell'epoca

Adriano Spina, vigile urbano nativo di Roma, giunto a Lecco negli anni '60, è menzionato nella cronaca di quella tragica notte del febbraio 1969. Spina fu il primo a giungere sul luogo della catastrofe; aveva allora 28 anni. E' deceduto nel 2015. Adriano Spina dichiarò "Ero rientrato dal servizio notturno della notte di Carnevale; era stata una serata dura , la notte del sabato grasso gli automobilisti diventano indisciplinati. Abitavo in via Perazzo, a breve distanza dal San Martino. Sentii il tremendo boato, vibrarono i vetri delle finestre per lo spostamento d'aria. Compresi che c'era una frana; presi una pila, corsi fuori. C'era buio completo ed un polverone. La luce era venuta a mancare nelle case e nelle vie. Nelle case sentivo la gente gridare. Raggiunsi subito via Stelvio; mi giungevano le invocazioni dei feriti imprigionati fra le macerie della "Casa del Sole". Trovai persone terrorizzate. Giunse subito un'auto dei Carabinieri, poi agenti di Polizia, Vigili del Fuoco, Croce Rossa, Finanza, tecnici comunali, volontari CAI, Soccorso Alpino e del gruppo Aurora San Francesco. Si chiesero rinforzi a Como, con fotoelettriche, per illuminare la zona della tragedia. Venne organizzato un cordone di protezione intorno alla zona franata, con un plotone dei fanti della Legnano giunti dalla caserma Sirtori, con il maresciallo Altadonna Ricordo anche che dalla vicina chiesa dei Cappuccini arrivò un giovane frate per benedire i defunti".

I primi lavori sulle pendici dl San Martino, per i giganteschi valli paramassi

E' stata un'opera lunga e pietosa il soccorso ai feriti, il recupero dei morti. Il comando Vigili del Fuoco di Lecco inviò tutti gli uomini ed i mezzi disponibili; la caserma del Bione venne "rimpiazzata" dai volontari del distaccamento di Valmadrera, allertati per eventuali nuovi interventi. Da Como partì subito la prima squadra in uscita, con il brigadiere Enrico Secchi, recentemente scomparso, che sarà, qualche anno dopo, comandante di Lecco. Nella notte arrivò anche il comandante provinciale ing. Angelo Lazzarotto. Alle prime luci dell'alba, mentre continuavano le ricerche tra le macerie della frana, giunse il prefetto di Como, Giovanni Zecchino. Sul posto c'erano autorità cittadine, con il sindaco Alessandro Rusconi, assessori e consiglieri comunali, parlamentari, tecnici del Comune, del settore lavori pubblici, con l'ing. Mario Magnani. Il municipio di piazza Diaz era stato subito aperto nella notte, dal custode residente Sandro Lodetti, e si stava allestendo un gruppo operativo per interventi nel settore Servizi sociali per le famiglie colpite dalla tragedia. Nella celebrazione delle Messe festive si pregò per i defunti, per la guarigione dei feriti e per tutti coloro che erano impegnati nella rischiosa opera di soccorso e di rimozione dei detriti.
Le vittime furono sette: le piccole Palma e Filomena Carpino, di 11 e 3 anni; i giovani coniugi Antonio e Francesca Aceto, di 26 e 25 anni; Bernardo Statti, di 19; Rosario Gatto, di 69, con la consorte Maria Francesca Madia, di anni 68. Erano tutti di origini calabresi; erano stati residenti nei Comuni di Petilia Policastro e di Petronà, in provincia di Catanzaro.

Il fronte della frana

Quali sono state le cause della frana? E' difficile dirlo, ma non è altrettanto difficile pensare ad un distacco di massi provocato da infiltrazioni d'acqua e di gelo. A fine novembre '68 il San Martino aveva destato preoccupazioni con grossi massi rotolati sul fronte di Pradello, lungo la Statale 36, provocando una parziale interruzione di traffico; fortunatamente, in quel momento, sulla vecchia via Stelvio e sulla statale non transitavano veicoli. L'attenzione si fissò, quindi, su questo tratto del monte verso il lago, pensando che la bonifica di due anni prima, con il noto sasso "Orsini o Rusconi", fatto esplodere dopo una complessa operazione, avesse ripulito la parete più verticale. Molto probabilmente ciò non era avvenuto in profondità.
Aloisio Bonfanti
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