Vent'anni fa a Santo Stefano moriva Cesare Golfari, un leader politico di primissimo rango. E' giunta l'ora di riprendere la sua lezione e il suo pensiero di orgoglioso democristiano.

Cesare Golfari
Vent'anni fa, a Santo Stefano, un semaforo rosso fermava l'esistenza di Cesare Golfari. Sulla sua cinquecento bianca finì fuori strada nel rione di Castello. Non fu un incidente ma il suo cuore che si arrestò dopo che da mesi aveva cominciato a fare le bizze. Quel giorno il "Rino" compiva 62 anni, un'età che in quell'era politica permetteva ancora orizzonti di gloria. Altro che rottamazione.
In particolare trattandosi di una figura che stava alla politica come un sarto alla stoffa. A lui, senatore della Repubblica, nessun traguardo era proibito, perchè era nato leader e sapeva, come pochi, coniugare il pensiero con l'azione.
Veniva dalla Romagna, terra rossa se ce n'è una, ma Golfari, sanguigno amante delle sfide e delle lotte, cattolico per contenuti e laico per metodo, giunse, fresco di diploma magistrale, a Galbiate dove insegnò e non ancora trentenne divenne sindaco per due lustri.
La Democrazia Cristiana è stata la sua seconda casa (la prima, amatissima e talvolta trascurata per lo straripare degli impegni, era la famiglia con i suoi sei figli e la saggia moglie Maria Teresa) e la sinistra di Base, dei Marcora, dei Granelli, dello stesso Cossiga, era il suo angolo prediletto, il laboratorio di un'esperienza politica che lo vide in prima fila.
Nel 1970 si trovò, d'improvviso, candidato alla Regione: fu eletto e quattro anni più tardi ne divenne il presidente. Fu quella la stagione nella quale diventammo amici fraterni, con la complicità di quello zio Vittorio Calvetti che chiamavamo affettuosamente così, io per ragioni di consanguineità, il Rino perchè dal deputato, scomparso nei giorni scorsi in età secolare, era stato "adottato", insieme al conterraneo Nino Fiamminghi sin dal suo approdo nella nostra provincia.
Che provincia autonoma da Como divenne grazie soprattutto all'impulso della coppia lecchese-romagnola.
Ora l'esproprio di Villa Locatelli sembra contraddire quell'intuizione, ma io credo che un parallelismo sia oggi fuori tempo, perchè i quattro lustri passati hanno il respiro e l'affanno di un'epoca. E' la ragione per la quale non mi riconosco nel luogo comune "sembra ieri che è morto", perché se ha un valore sul piano sentimentale, certamente non ne ha sul piano politico, considerando lo stravolgimento dei canoni e dei fondamentali di quel nobile gioco che si chiama servizio alla tua comunità. E' anche in virtù di questa distanza siderale di idee, di ideali, di ideologie, che sarebbe ora avventuroso e forzato coniugare il pensiero di Golfari con le contorsioni e gli stili del presente. Nel nostro rapporto c'è stato anche spazio per un periodo sabbatico. Erano i giorni nei quali fu candidato alla presidenza della Cariplo e io mi permisi di dirgli in faccia, come è mio costume, che non mi pareva un ruolo adatto a lui e che nonostante l'imprimatur di Craxi e Cossiga non doveva fidarsi dei marpioni della finanza. Provò una fortissima delusione per la bocciatura, ma era troppo tenace e orgoglioso per arrendersi. Semplicemente ritenevo che l'economia non fosse un vestito tagliato sulla sua misura. Anche perchè, de minimis, raramente ho conosciuto un uomo e un politico più lontano del "Rino" dal denaro e dall'affarismo.
Non credo che abbia lasciato ai suoi famigliari più di un soldo bucato. Così come diffido dei troppi che ora si considerano eredi della sua lezione e a me non paiono degni neppure di lustrargli le scarpe. Abbiamo scritto a due mani relazioni e discorsi e posso garantire che avesse una formidabile capacità di scrittura, sia che si cimentasse nella politica, sia nella pedagogia e nella didattica.
A paragonarlo a certi amministratori e parlamentari dell'ultimo ventennio, taluni da me seguiti e "assistiti", che faticano con la grammatica anche a mettere insieme gli auguri di Natale, mi vengono i brividi e mi convinco, una volta di più, che Cesare Golfari è stato un gigante. E lo sarebbe ancora, a maggior ragione.
Ma per onorarlo gli amici e i compagni di ventura (quorum ego) di quella stagione intensa, passionale, combattiva, devono assumersi il compito di rinfrescare la memoria in chiave prospettica, senza indulgere al passatismo e alla nostalgia.
Marco Calvetti
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