Online il film del lecchese Giosuè Bolis (Les Cultures), storia vera dell’amicizia tra il figlio Ruben e un bambino nel deserto

Una storia vera, anzi “vera vera”, vissuta da chi a sette anni non era troppo sicuro di poter credere ai racconti di mamma e papà, che alle sue orecchie suonavano più come “belle fiabe”, molto ben orchestrate. E invece di loro ci si poteva fidare: il deserto esisteva davvero, proprio come gli era stato descritto; c’erano le carovane, e anche i bambini come lui, quelli “che vivono in un modo un po’ curioso”, in luoghi dove “ci sono animali straordinari”, “nelle foreste di alberi così alti che non lasciano vedere il cielo”.
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Si intitola “Il colore del cuore” ed è il cortometraggio a firma del lecchese Giosuè Bolis, che per la prima volta ha voluto pubblicare online il suo lavoro – già proiettato nelle scuole – per metterlo a disposizione di bambini (e non solo) in questi lunghi giorni di quarantena: un film di 35 minuti, realizzato nel 2005 dopo un viaggio in Africa, solo uno dei tanti per Giosuè e la moglie, ma il primo in assoluto per il loro figlio Ruben, sette anni, che nel cuore del Sahara – ad Araouane, un villaggio sperduto 260 km a nord di Timbuctù (Mali) – fa amicizia con Baba, un ragazzino nomade che lo conduce alla scoperta del suo mondo, facendolo vivere per un breve lasso di tempo come un vero “bambino del deserto”.

Baba e Ruben

“Siamo ancora in contatto con lui, che proprio in questo periodo sta concludendo gli studi per svolgere una professione simile a quella dell’infermiere” ci ha raccontato Giosuè Bolis, che nel 1991 ha “chiuso casa” per quattro mesi per partire alla volta del Continente nero e seguire le carovane di sale in movimento nel deserto, dando così il via a quella che poi sarebbe stata la sua professione. “Ho iniziato a fare il film-maker, tornando in Africa tutti gli anni per una serie di progetti di Les Cultures, associazione con cui ho anche contributo a fondare un gruppo di cooperazione internazionale per l’aiuto delle persone del posto, inizialmente in Niger: secondo lo stesso spirito, in seguito sono state avviate anche le iniziative per l’accoglienza dei bambini di Chernobyl. Ho registrato decine di filmati durante i miei viaggi, che poi abbiamo fatto conoscere anche qui a Lecco, nelle scuole e in manifestazioni come il festival Immagimondo”.

1991, una carovana del sale in Niger

1995, Mali

Importante per Giosuè Bolis anche la collaborazione con il MEAB (Museo Etnografico dell’Alta Brianza) di Galbiate, con cui ha realizzato ulteriori lavori su temi antropologici e culturali in genere, in aggiunta ai video prettamente legati al nostro territorio che tuttora – pur essendo ormai in pensione – si presta a creare. “L’esperienza in Africa si è conclusa, purtroppo, nel 2008, dopo che con il mio gruppo sono stato sequestrato da una banda di Al Qaeda” ha ricordato ancora il lecchese, non senza rammarico nel ripensare a un periodo che – comprensibilmente – non ricorda volentieri.

Il villaggio di Araouane

1999, Giosuè Bolis in Niger con Idrissa Assanagua, la guida della carovana a cui
ha consegnato un libro scritto da lui che lo vede protagonista

“Da allora, per forze di cose, i contatti fisici con la gente del posto si sono interrotti: la situazione era diventata complicata per noi e per loro, continuamente circondati dalle bande criminali” ha concluso Giosuè Bolis. “Non è venuto meno, però, lo sforzo per aiutare le “nostre” popolazioni, che ci ha consentito, nel tempo, di avere notizie da amici come Baba, co-protagonista insieme a Ruben, ora 22enne, di questo corto che ho voluto condividere pubblicamente: è indirizzato in modo particolare ai più piccoli, che spero possano guardarlo in questi giorni di quarantena per scoprire un mondo nuovo – di cui discutere, magari, con i loro genitori – e soprattutto la storia di una bella amicizia, quella tra due bambini in grado, molto meglio di noi adulti, di andare oltre qualsiasi diversità”.
Benedetta Panzeri
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