Lecco: quel professore del Bertacchi che si è inventato scrittore per i 'suoi' ragazzi

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Il problema principale di questa situazione è stato, per tutti, accettare che qualcosa potesse limitarci. L'uomo, il padrone del mondo, che ha sottomesso terra, mare e cielo al suo volere, terrorizzato e decimato da un essere piccolissimo, che lo costringe a vivere come un topo! Se lo accetti, allora trasformi la tua casa in una palestra, un'aula scolastica, una biblioteca, una chiesa, un luogo di relazione virtuale, insomma tutto quello che ti serve per vivere. Se non lo accetti, ti droghi. Ti droghi di cibo, di cioccolata, di caffè, di sigarette, di TV, di porno, di alcol, di marijuana, insomma peggiori tutte le tue dipendenze e ti ammazzerà questo e non il virus. Per cui, possiamo scegliere come adattarci. Penso che la maggior parte di noi farà un po' e un po'. Siamo fragili, però, capaci anche di grandi cose.
Un abbraccio (per ora, virtuale) a tutti.
Ci sono professori e professori. Qualcuno per carattere e predisposizione diventa per gli alunni un punto di riferimento, una sorta di secondo papà. Un fratello maggiore. Un mentore, pronto, al bisogno a svestire i panni dell'insegnante per indossare la tonaca del confessore. Ed ecco che possono nascere testi come quello riportato qui sopra. Lo firma il professor Claudio Visca, 53 anni, nativo di Bollate ma cresciuto di fatto a Pomigliano d'Arco. Laureato in Sociologia all'Università Federico II di Napoli è approdato all'insegnamento dopo aver maturato esperienze come operatore sociale,formatore di dinamiche relazionali, assistente educativo nella scuola primara e aver fatto perfino il cantante chitarrista e il responsabile miniclub nei villaggi turistici. Da quattro anni, insegna Sciente Umane a Lecco, dove vive. Questo è il secondo anno all'Istituto Superiore Giovanni Bertacchi, dove ha un ruolo di sostegno. Il cv variegato e un'indole predisposta all'ascolto lo hanno portato, in un periodo oggettivamente difficile per tutti, a dare sfogo alla sua capacità di scrittura, proponendo ai suoi ragazzi spunti di riflessione e suggerimenti (anche non rischiesti), sottoforma di testi creativi inviati loro, come appunto quello proposto in apertura e come i due brani riportati in calce.

Il prof. Claudio Visca
Prof. Visca, da insegnante, come sta gestendo questo periodo di allontanamento forzato dai suoi alunni e di didattica dunque solo on-line?
È difficile per tutti. Anche per quelli che sono abituati a starsene sempre per conto loro! Non come me, che invece amo viaggiare e stare con la gente. Premetto che io sono per una scuola più pratica possibile, questo per poter veramente formare i ragazzi. Nel mio mondo ideale, vedrei addirittura poche lezioni frontali e tanta, tanta pratica. Pensi quanti infermieri avremmo avuto oggi a disposizione, ad esempio, in questo periodo di grave emergenza, se a tutti i ragazzi di un indirizzo sociosanitario fosse stata data la possibilità di lavorare già dall'inizio della scuola negli ospedali, nelle case di cura, nelle comunità, ecc.
Tornando a noi, queste video lezioni servono giusto per mantenere una sorta di contatto, didattico e umano, ma spero finisca presto. La trasmissione del sapere non può e non deve avvenire così.
Dal momento che non abbiamo altro, possiamo valutare insieme i vari aspetti dell'esperienza.
"In onda" i ragazzi non disturbano o disturbano di meno, questo è positivo, ma non sai se sono veramente attenti. Non sai neanche se abbiano davvero capito ciò che hai spiegato. Il linguaggio non verbale dice sempre la verità e quello non puoi vederlo. Per quanto riguarda il mio lavoro di quest'anno, come insegnante di sostegno, mettere su carta (elettronica) tutti gli argomenti è una cosa che facevo già prima. Io faccio personalmente solo video lezioni a uno o due alunni alla volta. Ed è diverso interloquire così, mi stimola però il dover trovare termini ed esempi sempre più semplici per potermi fare capire. Semplice non significa facile, lo dice anche la pubblicità! Da quello che vedo, gli studenti si collegano tutti entro un margine di tempo abbastanza accettabile, con qualche assenza, dovuta spesso a problemi di connessione delle linee sovraccaricate di questo periodo, o proprio alla mancanza di PC.
Nei ragazzi, credo che i più timidi possano sentirsi più tranquilli e protetti a casa loro, così possono anche imparare di più, non dovendo sopportare lo stress del confronto con gli altri e con il docente. Nelle mie lezioni, mi è capitato di salutare in video anche i genitori degli alunni a cui spiegavo le cose, mentre erano in casa, e questo ha creato un clima simpatico con le famiglie.

Ma c'è anche il rovescio della medaglia...
Come dicevo prima, di negativo c'è il fatto che così si rischia di non incontrare davvero gli alunni. Nella vita reale, la comunicazione non è solo verbale. Si "parla" molto di più con uno sguardo, con un sorriso, con un atteggiamento, qualche volta anche con una pacca sulla spalla!
Ogni docente è chiamato oggi a "docere, movere, delectare" (insegnare, stimolare, divertire) in modo nuovo, per cui può essere utile in questo contesto così limitante per certi versi, ma scatenante per altri.
Nelle interrogazioni in video, ad esempio, il docente impara ad essere scaltro. Sa che dall'altra parte ci può essere un alunno con il libro aperto (non siamo nati ieri!), per cui deve fare domande che implichino un ragionamento solutivo, che solo uno che ha studiato può fare. Per cui...
Il lavoro dei docenti è aumentato e diminuito nello stesso tempo. Per quanto mi riguarda, è cessata ogni attività riguardante tecniche di animazione e di dinamiche relazionali, che da docente di Scienze Umane ho sempre usato, come il "circle time" (il cerchio del dibattito), o i giochi psicologici che creano gruppo. È aumentato invece il lavoro di stesura di slides, test, quiz, tutto il materiale didattico necessario per la trasmissione delle nozioni e per la valutazione.

Come è nata l'idea di proporre ai ragazzi anche testi suoi, per stimolarli alla riflessione?
L'idea è nata quando alcuni alunni hanno cominciato a confidarmi i loro problemi. Sarà perché ho dei trascorsi nell'ambito educativo, o per il mio atteggiamento, molto aperto, dicono. Ma non riuscivo a trovare il tempo per comunicare loro tutto quello che volevo, dal momento che a scuola i ritmi sono ovviamente scanditi dalle lezioni. Per cui, ho provato a farlo così. All'inizio avevo qualche timore, lo confesso, perché ogni azione di noi insegnanti è sempre osservata al microscopio, in Italia chi ha un po' di responsabilità è spesso oggetto di sfiducia, e questo non è facile gestirlo. Ma, mai farsi condizionare dalla paura, bensì dalla ricerca del bene dell'altro!

Come è stata accolta la proposta dai suoi studenti? Quali feedback ha avuto?
Da quello che mi hanno detto, molto bene! Altrimenti non avrei continuato. E la cosa mi ha piacevolmente sorpreso, vuol dire che il messaggio è arrivato. Non credo di essere un mentore, il "saggio della montagna", affatto! "Non sono meglio di voi" ripeto spessp sempre. "Sono solo uno più grande di voi, che c'è passato prima". Pare che così funzioni. Non ho certamente la pretesa di cambiare nessuno, la gente cambia da sola e solo se vuole farlo, ma mi piace l'idea di dare qualche spunto di riflessione e dimostrare loro interesse, vicinanza.

Ha sempre avuto la passione per la scrittura? Come è nata e come l'ha coltivata? Ha già scritto anche altro?
Da ragazzo scrivevo canzoni, che non ho mai pubblicato, anche se una è stata cantata nel mitico raduno salesiano del 1988 a Torino. Seguo il carisma di Don Bosco da sempre. Poi, ho cominciato a scrivere poesie e piccoli racconti, un po' per corteggiare le ragazze (eh sì, anche io), un po' per me stesso. Ogni scritto, una verità. Una consapevolezza raggiunta, dei sentimenti, dei desideri. Una ricerca di sé.

Lettera
Ciao, carissimo. Stasera pensavo al nostro discorso dell'altro giorno, ed ho scritto di getto questa lettera. Immagino tu sappia già quale ne sia il motivo. In realtà, non è voler solo convincerti a non "fumare" più. Ma è un invito a guardarti dentro. L'uso di una sostanza stupefacente è un rimedio per qualcuno che "sta male", sempre. All'inizio si può fare per divertimento, per sentirsi del gruppo, per dire agli altri che si ha coraggio, magari che si è già grandi. Ci sta. Anch'io sono stato ragazzo come te, le ho vissute anch'io queste dinamiche. Il problema nasce quando diventa un'abitudine, allora cambia tutto. Risponde ad un bisogno. Abbiamo bisogno di rilassarci, abbiamo bisogno di controllare l'ansia, il timore di qualcosa. Diventa un rifugio, in cui magari si pensa di ritrovarsi, riprendere le energie, come un buon sonno. Per poi riaffrontare la realtà. Ma il problema rimane. La realtà non cambia, non cambiano le emozioni che si provano dentro, non cambiano i genitori, non cambia la scuola, non cambia l'idea di sé e la forza interiore. L'uso della canna comincia invece a cambiare chi la usa.
Non si riescono più a gestire le emozioni e le reazioni emotive. Tutto è alterato. Non ci si controlla. Si corre sull'Everest per poi cadere nella Fossa delle Marianne. Tutto ai massimi valori, rabbia, paura, tristezza, euforia, gioia. Non ci sono più vie di mezzo, e si rischia di perdere il proprio equilibrio. Solo dopo ci si accorge dei propri eccessi, e si cerca di fare salti mortali per rimediare in qualche modo. Intanto, però, tutti si sono accorti che sei diverso, anche se tu non vuoi vederlo. Gli altri cambiano...con te. Cambia il loro atteggiamento. Vedi che la fiducia viene meno, e la tua credibilità. E non puoi farci niente. Tu lo sai che le cose le comprendi, lo sai che hai ragione, vedi bene anche le miserie degli altri, sei acuto, fine, ma nessuno ti ascolta. Ed alla fine, ti ritrovi solo, al limite con altri come te che provano le tue stesse cose. Certo, "mal comune, mezzo gaudio", dice il proverbio, in un piccolo gruppo si può anche star bene, ma il mondo e le cose rimangono lontane. Oppure, può sostenerti il fatto di sentirti capito da qualcuno, di essere un genio incompreso e tormentato. E ciò può farti sentire anche un po' speciale. Ho conosciuto gente che ci vive tutta una vita così, ad autocompatirsi, a dare la colpa a tutto ed a tutti, di essere degli "sfigati". Si riesce ad avere un po' d'attenzione...
Si perde il contatto con la realtà. Per quanto ci si sforzi di controllarlo, accade sempre, senza che ce ne accorgiamo. Di solito, i dittatori delle nazioni perdono questo contatto. Mussolini si credeva un dio e voleva far grande l'Italia, ma mandò migliaia di giovani a morire, senza armi adeguate, senza equipaggiamento, senza preparazione. Contro eserciti molto più grandi e potenti, facendoci diventare schiavi dei tedeschi. Con i risultati che vediamo ancora oggi.
A scuola. Non si riesce ad ascoltare più nessuno. Si fa una gran fatica a concentrarsi, ad apprendere ed a ricordare. Eppure, in qualche momento di lucidità, ti accorgi che per te sono cose scontate, banali. Ma vai comunque lento, tutto costa fatica ed è facile trovare ragioni per lasciar perdere tutto. Pensi di potercela fare, che ci sarà tempo, che basterà impegnarsi un po' e tutto si risolverà. Che niente è poi così importante...Chissà perché tutti si preoccupano così tanto...
A casa. I genitori se ne accorgono. Ognuno reagisce in modo diverso. C'è chi si dispera e implora i figli in ginocchio di smetterla. È penoso. Al figlio dispiace, ma compatisce e continua. Al limite se ne va. C'è poi chi reagisce con violenza e sbatte i figli fuori di casa. Qui può succedere di tutto. Ancora, chi cerca una via del dialogo, ma è debole, non vuole perdere il contatto con il figlio, però lo lascia alla sua dipendenza. Io conosco persone così, che ancora oggi sono dipendenti da qualcosa, cambia solo la droga. Il gioco, l'alcool, il sesso, il cibo, internet. Tutti che mettono grandi maschere...
Dipendenza, ecco. A me questa parola ricorda una corda al collo. Può sembrare un male necessario, che rende più sopportabile la vita. La corda, poi, può diventare cravatta. Ma ne abbiamo già parlato. Una dipendenza toglie tempo a tanto altro: letture, relazioni, sport, viaggi, opportunità. E costa, anche. E si passano dei guai, inoltre, perché in Italia, che lo si voglia o no, la cannabis è ancora illegale.
Il resto lo puoi andare a leggere su wikipedia. L'uso della cannabis porta sonnolenza, malattie respiratorie, impotenza, apatia, problemi alla guida, ecc. ma lo sai già, anche se magari pensi che sia tutta "propaganda reazionaria", che demonizza la cannabis perché segno di libertà e di verità. Anni fa lessi un libro dello psichiatra francese Claude Olievenstein, il quale per primo creò nel 1971 le comunità per tossicodipendenti, perché si accorse che non potevano essere curati ed equiparati agli altri pazienti. Cercò di capire come aiutare tutta quella gente sotto effetto degli stupefacenti; i filosofi del '68 affermavano che l'eroina aiutava ad uscire fuori dagli schemi della società ipocrita e consumista, che era uno strumento per arrivare ad un fine elevato. Poi tutti capirono che lo strumento diventò il fine e che la gente si drogava per drogarsi e basta. Non ci fu nessuna auspicata rivoluzione interiore e sociale, l'uomo di oggi è solo diventato più consumista ed individualista e non ha rinunciato alla sua indole predatoria.
Tornando all'inizio, io andrei a vedere perché si usa. Quale dolore mi angoscia? Quale paura? Qual è il motivo della mia rabbia, della mia solitudine, della mia demotivazione? Perché non accetto umilmente di farmi aiutare ad uscire da questa situazione di disagio? Le gabbie possono essere dorate, uno può sentircisi al sicuro, perché è tutto ciò che conosce, ha il controllo, anche se ci si sta male.
Ma sono sempre gabbie.
Un abbraccio, carissimo.
Claudio Visca

Ci sono persone.

Ci sono persone che trovano sempre un motivo per essere arrabbiate. Oggi ce l'hanno con lo Stato, domani ce l'hanno con i giovani, dopodomani ce l'hanno con Dio. Insultano, pontificano, parlano male di tutti, e cercano sempre un nemico, il colpevole dei loro problemi e della loro infelicità.

Altre persone, invece, trovano sempre un motivo per essere tristi. Gli è morto il gatto 5 anni fa e lo piangono ancora. Gli manca sempre qualcosa, sono convinti che andrà sempre tutto male, c'è una congiura dell'universo contro di loro.

Poi, ci sono quelle che cercano sempre un motivo per avere paura. "Ci sono i terroristi, ci sono le malattie, l'inquinamento, il clima, ecc. "C'è sempre un persecutore che ce l'ha con loro, e vogliono sempre qualcuno che li venga a salvare. Cercano sempre aiuto.

Alla fine, ci sono quelli che, invece, trovano sempre un motivo per essere felici. Non che non abbiano difficoltà e sofferenze nella vita, ma sanno sempre ridere, la prendono con ironia, con ottimismo, con la "mentalità vincente". Credono in loro stessi, scelgono semplicemente di non essere vittime.

Tutte queste persone hanno una cosa sola in comune: usano la realtà come pretesto. Perché loro, questo atteggiamento, ce l'hanno dentro. Un giorno di pioggia, ad esempio, per gli arrabbiati è un motivo di prendersela con il destino, i tristi andranno in depressione, i paurosi temeranno un'inondazione, gli ultimi, invece, i felici, balleranno "Singing in the rain". Io preferisco gli ultimi.

Ogni scelta avrà comunque qualche vantaggio. Gli arrabbiati avranno sempre una scusa per non prendersi la responsabilità di ciò che fanno. È sempre colpa degli altri! I tristi avranno sempre la scusa per non cercare di cambiare niente nel mondo. "Tanto, andrà sempre così!". I paurosi invece avranno la scusa per non vivere mai ciò che sono veramente, saranno delle Ferrari che corrono come le 500.

Tutti, invece, possiamo essere felici. Ciò che è felicità per ognuno di noi è diverso. Io so solo di certo che cosa non è. È non essere arrabbiati, è non essere tristi, è non avere paura. E possiamo raggiungerla quando decidiamo di cambiare, perché la felicità è un gesto di volontà.

Claudio Visca

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