Lecco-Malgrate: dopo lo stop forzato sulle rive del Lago torna anche a... gettare l'amo

Come gli appassionati di montagna hanno ricominciato a popolare i sentieri e come gli amanti del lago hanno ricominciato a stendere i propri teli sulle rive delle spiagge lariane, così anche i pescatori sono ritornati sulle sponde lecchesi dopo due mesi di stop a causa della diffusione del coronavirus. Per qualcuno uno sport, per altri una semplice passione o hobby da coltivare nei momenti liberi, la pesca è di sicuro l’attività che, per eccellenza, richiede silenzio e pazienza e, talvolta, una buona dose di fortuna.


Per molti, andare a pescare, significa anche sveglia presto: “è dalle 6 che siamo qui, ed è il primo pesce che riesco a pescare da stamattina” racconta Luigi, con l’aria delusa di chi, da 4 ore, attende paziente il passaggio di qualche carpa o agone.

“Non è cambiato molto da prima che scoppiasse la pandemia” ammette il pescatore, che, ogni anno viene qui a svagarsi con ami, esche e canna. “I pesci non sono molti ormai da un po’ di tempo: la colpa è di chi mette in acqua pesci che mangiano gli altri esemplari più piccoli, come ad esempio i siluri ma anche le tartarughe che si nutrono delle uova deposte sulla riva” continua Luigi, sostenuto dal compagno di pesca - quest’oggi solo nella veste di osservatore - Mauro. “Il problema serio non siamo noi pescatori, che nella gran parte dei casi rilasciamo ciò che abbiamo pescato, ma chi porta squilibri nell’ecosistema inserendo esemplari provenienti da altri contesti” continua l’amante della disciplina, facendo riferimento anche alle nutrie o ai cormorani,  speci “non autoctone” che con la loro presenza rompono gli equilibri di interi ecosistemi. “L’acqua è forse più pulita, ma in generale non c’è mai stata tanta sporcizia in questa zona” aggiunge “fatta eccezione per la riva vicino a Pescate, in cui spesso si vedono macchie d’olio o altri liquidi inquinanti”.

Lamenta, invece, la presenza di troppe barche un pescatore a qualche metro di distanza, sempre sulla riva lecchese: “ci sono troppe imbarcazioni, specialmente oggi: il continuo passaggio di motoscafi, talvolta a velocità piuttosto elevate ignorando così il limite posto in prossimità del ponte, spaventa i pesci che, spesso, rinunciano ad abboccare all’amo”.


“Abbiamo pescato 12 pesci in totale, 10 lui e 2 io, pur stando a pochi metri di distanza: qualche volta è questione di fortuna” esordisce Augusto che, insieme all’amico Giorgio, da anni pratica la pesca sportiva.

“Il virus non ha inciso granché rispetto a come si pesca; penso, però, abbia influito rispetto all’affluenza e al tipo di persone che si approcciano a questo sport. Prima era frequentato principalmente da professionisti, ora, invece, mi è capitato di vedere dilettanti o persone che si riavvicinano a questo sport dopo mesi di inattività: è come se la quarantena prolungata avesse fatto riscoprire passioni assopite da tempo”.

“La pesca è il secondo sport in Italia, dopo il calcio, per numero di tesserati” ricorda Giorgio. “Qualche parcheggio in più o due bidoni della spazzatura per agevolare la permanenza da questa parte del lago renderebbero questa zona un luogo di attrattiva per molti appassionati”. Dopo aver sottolineato la bellezza del panorama dalla riva di Malgrate porto, i due “professionisti” hanno insistito sulle potenzialità economiche che un settore come quello della pesca potrebbe riservare alla città, se solo le amministrazioni prestassero un po’ più di attenzione a questo sport.
A.A.
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