Lecco: per il sabato sera di Immagimondo ospite Vasco Brondi con i suoi 'talismani per tempi incerti'
“Un diario che racconta un disco, che a sua volta racchiude tanti tasselli dell’esperienza umana. C’è il corpo, la penna, il viaggio, il politico. Il tutto in un momento particolare come quello della produzione: quando la creazione sorgiva è avvenuta nel corso degli anni e il disco si chiarisce”.




A Vasco Brondi Andrea Gentile ha chiesto come far dialogare mondi differenti tra loro, lui che è autore, cantautore e musicista poliedrico, capace di far convivere il teatro di Grotoski con influssi orientali e con i grandi classici come Emily Dickinson.
“Talismani per tempi incerti esplicita questo laboratorio, questo cantiere, condividendo spunti per canzoni o cose importanti per me che mi sono reso conto far parte di un percorso culturale molto caotico; da continenti a decenni, da stili a forme d’arte: ciò che li tiene insieme è altro, al di là di quella forma particolare”.

E allora la conclusione della chiacchierata approda ai lidi del concetto di libertà artistica, musicale, e di come questa possa adattarsi, accordarsi, inserirsi in una cornice lavorativa che inevitabilmente porta con sé aspettative (di altri) da soddisfare. “Ho avuto la fortuna di iniziare a suonare molto presto dal vivo, prima di saperlo fare, grazie al punk. Mi interessava più l’apparato che la musica in sé: il sunto era che più facevi schivo meglio era, ed è stata la cosa più salutare che io abbia mai incontrato”. E il retaggio di questa esperienza è rimasto anche oggi, quando il punk dell’epoca giovanile è tramontato: “Adesso la prendo come un "sono qua per condividere quello che faccio", quello è, e non c’è una ricerca vera di approvazione, un canale di comunicazione diverso che non ha a che fare con le votazioni, con un giudizio aritmetico”.
Andrea Gentile ha aperto così la serata di dialogo con Vasco Brondi, il cantautore veronese giunto a Lecco all’interno del festival Immagimondo. Il pretesto è stato il libro “Terra, diario di lavorazione o la gloriosa autostrada dei ripensamenti”, edito da La Nave di Teseo: appunti, racconti, storie di due anni di lavoro che hanno portato all’elaborazione di “Terra”, album conclusivo del progetto “Le luci della centrale elettrica”. Un testo che, però, trascende la semplice produzione cantautorale per abbracciare tematiche universali: dal rapporto tra la volontà dello scrittore e l’indipendenza dei testi alla musica come strumento conoscitivo del mondo ma anche di sé così come il problema dello scrivere all’interno di una cornice di sistema spesso opprimente.

Vasco Brondi
“Fare canzoni ha lo stesso procedimento, che è un po’ come tirare fuori l’acqua dall’aria: ho comprato un deumidificatore per la casa in cui vivo ormai da 5 anni e che nel corso della giornata riempie un secchio d’acqua. C’è qualcosa nell’atmosfera che ha molto a che fare con la mancanza di scelta, con l’inevitabile; non decido bene cosa fare, faccio un po’ come mi viene”. Un processo creativo quasi alla cieca, quello descritto da Brondi, che si appella ad un’eredità, un modello centrale per la sua attività artistica: “I CCCP dicevano che era importante fare storia e geografia con la musica; prendere la chitarra e suonare, non fare scale musicali”. E lo stesso Massimo Zamboni, anima e corpo dei CCCP e CSI, ha fatto tappa lecchese la sera prima, venerdì, sempre nello stesso luogo in cui Brondi si è trovato a dialogare ieri.

Il presidente di Les Cultures Giorgio Redaelli
Gentile ha poi portato il cantautore veronese - ma forse più ferrarese - sulla questione della musica come strumento conoscitivo: “Funziona meglio, la canzone diventa il mezzo attraverso cui racconto qualcosa di me che non sapevo. Passo dall’inconscio alla consapevolezza tramite essa. Mi riascolto, due, tre mesi dopo averla scritta e mi accorgo che non parla di una ragazza o di un’esperienza, parla di me. Trova il suo percorso e riesce ad uscire”. E allora in questo processo ermeneutico Vasco Brondi richiama al rapporto che si instaura tra chi scrive e ciò che viene prodotto: “è come se fosse una preghiera, questo andare avanti con la canzone; è avere fede in essa, perché ti conduce alla consapevolezza. E poi spesso non ti ci porta, crollano le illusioni di quel disco che pensavi ti avrebbe spinto alla sua conclusione, a chissà quale realizzazione, quale felicità. È che i dischi non fanno quella cosa lì, sono solo canzoni”.

Andrea Gentile
Ed è qui che allora il comporre per sé trascende una dimensione singolare per abbracciare un linguaggio universale - di sartriana memoria - in un album dal titolo emblematico come Costellazioni in terra: “è la voglia di interrogare mondi e di interrogarsi, entrare nel dettaglio e nell’abisso del personale ma al contempo parlare dell’universale”. Un personale che diventa universale proprio perché ciò che è chiaro, per Brondi, è che “qualsiasi esperienza avrei fatto, avrebbe avuto un senso dal momento in cui sarei riuscito a rielaborarla e condividerla”. E allora il ruolo dell’artista, ma anche di chiunque fa un lavoro che ha a che fare con la cultura, comincia a delinearsi all’interno della società in cui vive: “Mi ha colpito molto vedere un documentario sulle miniere dove c’è un canarino in una gabbia la cui funzione è quella di dare l’allarme nel caso in cui ci fossero esalazioni di fumi tossici: l'uccellino muore subito. In questo periodo storico, ma in realtà un po’ sempre, chi fa un lavoro artistico che ha a che fare con la cultura ha una funzione molto umile, come quella del canarino: vai avanti ad esplorare qualcosa, se muori muori, sennò torni indietro a raccontarla e la società ti dà i canali per poter esprimerti attraverso questo lavoro”.

“Talismani per tempi incerti esplicita questo laboratorio, questo cantiere, condividendo spunti per canzoni o cose importanti per me che mi sono reso conto far parte di un percorso culturale molto caotico; da continenti a decenni, da stili a forme d’arte: ciò che li tiene insieme è altro, al di là di quella forma particolare”.
Ma la fama e il successo fanno emergere una serie di problemi; da quello di piacere al pubblico all’assenza di una sfera privata in cui poter scrivere e produrre liberamente: “dopo il primo disco c’è stato un lungo periodo in cui tutto ciò che componevo sapevo sarebbe stato letto e ascoltato, e questo mi ha fatto allontanare, all’inizio inconsciamente, dall’esprimermi con quel mezzo perché c’era qualcosa da proteggere dal momento in cui sai che quella cosa sarà esposta”. Da qui allora la necessità mascherata da volontà di riprendersi lo spazio della musica, della scrittura: “Ho un file word di 300 pagine che ho promesso che non sarebbero mai uscite. Qualche spunto per le canzoni magari lo prendo, nella consapevolezza che per me è importante consegnare e condividere con gli altri, ma dall’altra è altrettanto fondamentale riflettere sullo strappare a questo sistema un pezzo di libertà su questo mezzo”.

A.A.