Un'altra storia dall'ordinanza, quasi in salsa shakespeariana: la faida mancata tra Mannarino e Comito. E le botte a 2 siciliani

Una foto scattata in via Nullo a Calolzio il giorno dell'investimento di Mannarino
I calolziesi - e gli appassionati di cronaca di paese - magari ricorderanno l'episodio: siamo al 6 agosto 2018. In via Nullo, un 29enne viene investito da una vettura. Non un incidente ma un atto fin da subito ritenuto intenzionale. Due giorni dopo vengono denunciati due uomini, padre e figlio che, da quanto trapelato, all'esito di un alterco avrebbero "gambizzato" il giovanotto, cercando poi maldestramente di far sparire la Fiat Punto usata per l'agguato. La notizia viene archiviata così. Non un dettaglio in più. Tra le 522 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare a firma del Gip di Milano Alessandra Clemente in relazione all'indagine Metal Money, l'episodio calolziese è lungamente dettagliato. Il travolto - ma questo si sapeva già - è infatti Luciano Mannarino, allora 29enne, uno dei 18 indagati, parte del gruppo di quei soggetti per i quali martedì si sono anche aperte le porte del carcere. La narrazione del fatto dell'8 agosto 2018 (e della concatenazione di contatti e incontri dei giorni seguenti) serve agli inquirenti per giustificare l'etichetta di “mafioso” apposta – stando alle risultanze investigative che ovviamente dovranno reggere in sede giudiziaria - a Vincenzo Marchio, classe 1983, nato a Lecco e figlio del più noto Pierino, tornato uomo libero il 6 febbraio 2015 dopo aver scontato la lunga condanna irrogata nei suoi confronti nell'ambito della celeberrima Oversize, seconda inchiesta antimafia a Lecco dopo la più eclatante Wall Street che accese il primo faro sull'infiltrazione dell''ndrangheta sul territorio ed in particolare sugli interessi della famiglia Coco-Trovato. La stessa Oversize che portò dietro le sbarre anche Luigi Alcaro, cognato di Franco Coco Trovato, papà di Vanessa – come anche di Celeste e Lucia titolari della società che gestisce la pizzeria a insegna Beatles di Galbiate nei confronti della quale nel 2020 il Prefetto ha firmato un'interdittiva –  la compagna convivente proprio di Marchio jr, chiamato in causa quale “protettore” di Mannarino per l'episodio dell'investimento. Se nella Verona di Shakespeare a osteggiarsi erano i Montecchi e i Capuleti, nella Calolzio degli anni 2000, Luciano si ritrova a questionare con Michele e Andrea Comito, il padre e il fratello della sua ex fidanzata e madre di suo figlio, parte di una famiglia ritenuta vicina ai Sirianni e dunque a Carmine e al genero Roberto (recentemente balzato a sua volta “agli onori” della cronaca quale titolare della Project costruzioni, altra società raggiunta, giusto il mese scorso, dall'ennesima interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura).
In pratica, nella ricostruzione degli inquirenti: i ragazzi non vanno più d'accordo, si separano, quel 6 agosto Mannarino minaccia i Comito con un'accetta, l'ex suocero e l'ex genero si mettono in auto e lo investono. Dall'ambulanza l'allora 29enne chiama Marchio. Stessa cosa fanno anche i suoi genitori con il padre, dalla Calabria, pronto a sentenziare “devono sparire, Enzo”. Ma i Comito sono – come detto – protetti dei Sirianni, accomunati – annota il Gip - “dalla partecipazione alla medesima organizzazione mafiosa” e dunque “chiamati a redimere la controversia in base al rispetto delle regole peculiari della stessa”. Come finisce? In niente. O quasi. A rimetter pace sarebbe bastato un incontro chiarificatore organizzato da Marchio al bar dell'ospedale Manzoni con un Sirianni. E mal digerita a tal proposito sarebbe stata la voce secondo la quale un tale Francesco Bava – già coinvolto in una tentata estorsione a un titolare di una discoteca di Calolzio con i fratelli Mannarino ma anche con Michele Valsecchi, figlio di Stefano, l'assassino di Salvatore De Fazio freddato a settembre 2020 a Olginate – scavalcandolo avrebbe chiesto scusa ai Comito. “No, no, no... ti giuro sul bene dei miei figli” avrebbe assicurato “l'accusato” a Vincenzo che di tutta risposta avrebbe sottolineato, avvertendolo, come “le botte passano...”. E di botte, cambiando argomento ma restando sempre nelle pagine inserite nell'ordinanza per giustificare il 416bis contestato a Marchio, ne avrebbe prese tante ma proprio tante un tizio che, incautamente, avrebbero messo il piede... sulla sciarpa della sua compagna Vanessa. E' il calolziese stesso a raccontarlo, durante una conversazione intercettata dagli operanti. Se sia successo davvero o se l'uomo abbia “pitturato” la cosa per pavoneggiarsi con  con il suo interlocutore – una donna - non è dato sapersi. Ma stando al suo racconto, una volta, avrebbe mandato in ospedale intubati due soggetti dopo aver preso a pugni il primo – con tanto di dente del malcapitato rimasto incastrato nella sua mano – e aver saltato con le Timberland ai piedi sulla faccia dell'altro, con i due (siciliani) che – una volta tornati in salute – sarebbero stati dissuasi da un calabrese di Mandello nel cercar vendetta. “No raga', lasciate stare perchè le prendete per la seconda volta”. Insomma, Marchio è Marchio, dice lui. E Polizia, PM e Gip concordano. Ma con finalità ben differente rispetto a quella di sottolineare il valore dell'uomo.
A.M.
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