In piazza il primo 'Lecco Pride'. Il sindaco: 'sono orgoglioso'

«Questa piazza è un simbolo di una città, o almeno di una parte di essa, che pretende diritti uguali per tutti indipendentemente da chi amiamo e da chi crediamo di essere». Dalila Maniaci, presidente del gruppo “Renzo e Lucio” è visibilmente emozionata calcando il palco del primo Pride lecchese. Iniziativa che nella denominazione testimonia di tempi che cambiano, non più gay-pride a rivendicare l’orgoglio omossessuale, ma semplicemente “pride” (orgoglio) perché sia momento di lotta contro qualsiasi discriminazione.

Dalila Maniaci

Dopo una sorta di prova, lo scorso anno, quasi informale - con incontri soltanto on line per ragioni pandemiche – in questo sabato di giugno 2021 la manifestazione scende in piazza. Con il preludio di una biciclettata (sei gruppi colorati partiti da altrettanti punti per riunirsi sul lungolago e confluire poi ai piedi della statua a Garibaldi) per portare simbolicamente il messaggio del Pride in tutta la città.

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La quale città è rappresentata dal sindaco Mauro Gattinoni che porta il saluto dell’amministrazione comunale che ha patrocinato il raduno nonostante le inevitabili polemiche da parte dei gruppi politici di destra impegnati in una “contromanifestazione” in piazza XX Settembre.
E quello del sindaco non è certo un discorso di semplice circostanza e non ha tentennamenti nel dichiararsi «davvero orgoglioso per questa piazza».
«L’amministrazione comunale – dice Gattinoni – non poteva non essere qui. Ed è un’emozione essere il primo sindaco alla sua prima esperienza a salutare la prima edizione del Lecco Pride. Insieme a voi stiamo scrivendo una nuova pagina della storia di questa città. Ogni minoranza è una ricchezza. E se un sindaco è qui è per portare avanti dei diritti che non solo vanno affermati e difesi ma anche promossi».

Il sindaco Mauro Gattinoni

Il messaggio di Gattinoni non lascia spazio all’ambiguità: è per promuovere questi diritti che «il sindaco è qui e non altrove» riferendosi all’altra piazza, sottolineando come servano buone leggi (allusione alla proposta di legge contro l’omofobia osteggiata delle destre) «perché cambiano in meglio la vita». Ricordando la prima unione civile (tra Felice e Luca) che egli stesso ha ufficializzato e che «è stato un momento di potente normalità», il primo cittadino annuncia la volontà del Comune di aderire alla rete degli enti locali impegnati appunto nella lotta alle discriminazioni di qualsiasi minoranza.
Qualsiasi minoranza. Come dice la stessa presidente Maniaci a proposito di un Pride che non riguarda solo la comunità lgbt, come ormai la si definisce, ma anche le famiglie non tradizionali, i disabili, le etnie differenti, le donne, senza dimenticare la battaglia per la sostenibilità ambientale, «perché bisogna creare una città non che accetti, non che accolga, ma che abbracci ogni minoranza, ogni sfumatura» e alzando gli occhi si rivolge al pubblico: «La vostra presenza fa tutta la differenza del mondo».

Maniaci racconta la genesi di questo primo Pride lecchese per il quale due anni fa c’erano solo vaghe idee: «Ma quando nel settembre 2019 abbiamo fatto la prima riunione e ci siamo resi conto che le sedie non bastavano, abbiamo capito l’importanza di questo momento. Perché si tratta di un bisogno non soltanto nostro, ma dell’intera comunità lecchese perché garantire diritti alle minoranze discriminate non toglie diritti a nessuno e nemmeno limita la libertà di espressione».
Parlando della necessità di una scuola libera e in grado di valorizzare le differenze, Maniaci ricorda come non solo l’omofobia ma qualsiasi fobia vada combattuta con la cultura e la sensibilizzazione «perché dopo un anno di assemblee nelle scuole ci siamo accorti che i ragazzi e anche molti docenti hanno bisogno di narrazioni diverse da quella eterosessuale».

Il programma del raduno è ricchissimo, tra interventi politici e parentesi musicali (con l’esibizione sul palco anche del coro della scuola media Stoppani diretto dal maestro Giuseppe Caccialanza), ma la tabellina di marcia salta completamente. Si parla dei problemi delle famiglie, dei genitori che devono fare i conti con il coming out del figlio o della figlia, si parla delle cosiddette famiglie non tradizionali ancora senza diritti, delle adozioni, degli affidi. Con un messaggio alla politica affinché si muova. E soprattutto, il Parlamento approvi la cosiddetta proposta di legge Zan (quella appunto contro l’omofobia e altre discriminazioni) così com’è.
D.C.
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