SCAFFALE LECCHESE/132: 'Il Breviario dei Laici' di Luigi Rusca spunto per ripercorrere una storia straordinaria. La sua

Luigi Rusca
Si sa che il termine “giallo”, inteso prima come romanzo poliziesco e successivamente come caso insoluto o mistero in senso lato, si deve al nome (e al colore delle copertina) di una fortunata collana editoriale della “Mondadori” avviata nel 1929 e ancora esistente. Meno noto, forse, è che all’origine di tale fortuna vi sia Luigi Rusca. Una figura di intellettuale e imprenditore dalla statura eccezionale, milanese ma con rapporti strettissimi e fecondi con Cernusco (dove la famiglia aveva una casa di villeggiatura che lo vide giovinetto), con il Lecchese e con Merate dove tanto si spese per l’ospedale “Leopoldo Mandic” del quale fu presidente dal 1946 al 1975 e al quale, tra le altre cose, donò i due miliardi di lire necessari per la realizzazione del padiglione di radiologia. E proprio all’ospedale di Merate morì nel 1986, all’età di 92 anni. Dal 1955 e per molti anni, inoltre, fu anche presidente della Banca popolare di Lecco.
Ma è uscendo dal nostro ambito locale che la biografia del personaggio si fa impressionante. Ci affidiamo alle parole dell’illustre studioso Dante Isella: «“Ecco un uomo che non desidera si parli di lui. Parliamone dunque”. Così Delio Tessa iniziava, nel 1939, un arguto ritratto dell’amico Luigi Rusca. (…) In quegli anni Rusca era condirettore generale della Mondadori (…) Laureato in storia antica, con una solida conoscenza delle lingue e letterature classiche, greca e latina, non senza un’adeguata iniziazione all’arabo. Rusca, come molti giovani della migliore borghesia lombarda, aveva partecipato con slancio idealistico alla Grande Guerra. (…) La conoscenza degli uomini e la dura esperienza del fronte avevano ucciso in lui l’archeologo e fatto nascere un intellettuale di tipo assai raro, capace di muoversi con non minore perizia tra i testi dei suoi autori antichi e tra i problemi delle attività pratiche, con energica lucidità  e signorile distaccata probità d’animo. (….) Segretario generale del Touring club italiano (…) aveva curato la parte culturale-artistica  dei volumi delle prime “Guide d’Italia”. Se nel ’27, dopo otto anni, se n’era andato (…) fu perché nel momento in cui il fascismo incominciava a stringere la morsa del potere egli non aveva esitato nella sua scelta di campo. (…) Rusca appartenne subito al più consapevole antifascismo milanese. (…) Aveva rapporti personali con uomini quali Thomas Mann, Franz Werfel, Stephen Zweig e con altri intellettuali del loro paese, molti dei quali prossimi, come ebrei o avversari del nazismo, a dover emigrare dalla Germania. Sono i nomi degli autori che, con altri di altre culture, cominciarono a circolare tra noi, stampati sulla copertina (…) della celebre “Medusa”: la collana creata da Rusca (…) che servì non poco a farci respirare, in anni di pretese autarchiche, l’aria di oltre frontiera. E insieme con la “Medusa”, la raffinata “Biblioteca romantica” (…), gli “Omnibus”, i Libri gialli, i Libri verdi».
Con lo scoppio dell’ultima guerra, «in età non più giovane, venne richiamato alle armi [ e] doveva alla fine pagare il suo antifascismo con il confino politico. Mandato in Lucania, poté lasciare quei luoghi e salire a Roma, tenente-colonnello dell’esercito; ma con l’armistizio decise di entrare nella vita clandestina, intrattenendo nella capitale occupata dai tedeschi, rapporti con alcuni dei migliori uomini della resistenza….».
Un'altra foto di Luigi Rusca
Poi, nella Roma liberata, «Rusca fu nominato dagli Alleati commissario straordinario della Radio italiana e si occupò per mesi a riorganizzare la disastrata azienda dell’Eiar, da lui ribattezzata in Rai».
Finita la guerra, si dedicò ad alcune attività imprenditoriali, pur mantenendo il proprio impegno culturale. Ancora con il Touring club dal 1946 al 1972, del quale fu consigliere e vicepresidente. E con la casa editrice Rizzoli, per la quale nel 1949 ideò la Bur che molto dice – per usare le parole dello stesso Isella - «sui poveri ma fervidi anni della ricostruzione culturale postfascista».
Fu «la prima collezione economica del dopoguerra – come leggiamo in un ricordo di Aroldo Benini pubblicato su “Archivi di Lecco” all’indomani della morte - «dalla sottile copertina grigia al prezzo di cinquanta lire al volume, grazie alla quale vide la luce una quantità indescrivibile di opere delle più diverse letterature. Un’iniziativa che non sarà eguagliata dagli Oscar e dalla Bur successiva». Una collezione «alla quale molti della mia generazione debbono tanto».
«Rusca – sintetizza Isella - è senza dubbio uno degli ultimi esemplari di quella borghesia lombarda, tra Otto e Novecento, in cui si è continuata la tradizione della cultura illuministica»
A ricordarlo rimane “Il breviario dei laici” che cominciò a comporre nel periodo “clandestino”, una scelta di testi a scandire l’anno, giorno per giorno, con l’intento – scrisse egli stesso - «di offrire alla lettura e alla meditazione quotidiana degli scritti in prosa e in versi di autori italiani e stranieri d’ogni tempo (con esclusione soltanto dei viventi), scritti capaci di suscitare un interesse spirituale, che abbiano un fine di elevazione morale» affinché «noi tutti che viviamo nel mondo (…) che siamo costretti, ogni giorno, a ingaglioffirci» si possa «evadere verso sfere più alte».
La prima edizione uscì per Rizzoli nel 1957. Segurono un Secondo breviario e poi un Terzo e successive altre edizioni. L’ultima risale al 1990, proprio nella collezione Bur. Come introduzione all’edizione 1985 sono invece le parole di Dante Isella che abbiamo ripreso.

Copertine delle diverse edizione del Breviario

Il lavoro cominciò appunto durante il “periodo clandestino” di Roma, «quando – ebbe a spiegare lo stesso Rusca – mi fu offerta, durante molte giornate, protezione e ospitalità nelle stanze della biblioteca, eccezionalmente ricca e varia, di uno spirito geniale e fervido: monsignor Giuseppe De Luca. Nelle ore trascorse nel palazzo extraterritoriale, posto davanti alla chiesa ove è conservato il Mosè di Michelangelo, in mezzo a libri che consentivano le più disparate letture, le più sorprendenti “scoperte”, i più consolanti “incontri”, che conducevano a benefici “ritorni”». Continuò poi, quella ricerca, «per oltre un decennio (con ampie eclissi, lunghe soste, molteplici pentimenti, fervorose riprese)».
Occorre, tra l’altro, soffermarsi sul termine “laico” dato a un breviario che solitamente è libro a uso dei religiosi. La parola “laico” va intesa nel suo significato originario, vale a dire «non facente parte del clero». Rusca scrive da credente e la cornice dell’opera è religiosa. Non vi è dunque l’accezione “politica” che oggi si è soliti dare alla parola “laico”. Per quanto la riflessione religiosa di Rusca si dimostri laica non solo perché egli non sia un ecclesiastico ma anche per l’autonomia del proprio pensiero. Di cui dà conto: «Dal punto di vista strettamente religioso, mentre ho fatto posto agli scritti di difensori della fede – dai Padri della Chiesa agli scrittori cristiani dei tempi più vicini – non ho avuto preoccupazioni dogmatiche o limitazioni dovute a divieti che ritengo superati tacitamente – se non ufficialmente – dalle stesse autorità ecclesiastiche più illuminate. I tempi cambiano, e con loro i giudizi degli uomini». E in nota: «Coloro che si ritengono lontani dalle religioni rivelate troveranno in questa scelta antologica vi sono troppi brani di intonazione mistica o religiosa; i praticanti intransigenti ci accuseranno di aver fatto posto ad autori di scarsa o nessuna adesione alla religione cattolica. Ai primi contraddittori  diciamo di apprezzare, di quegli scritti, almeno il valore letterario o psicologico o storico, che è sempre notevole; dai secondi invochiamo un poco di tolleranza, virtù oggi così scarsamente praticata vuoi da fedeli vuoi da miscredenti».
Un “breviario”, ovviamente, non può avere sintesi. E risulterebbe stucchevole spulciare l’indice per elencare qualcuno degli autori raccolti. Ci limitiamo al primo giorno dell’anno. Per l’1 gennaio, Rusca ha scelto un brando di François-Pierre Main De Briane, nato a Bergerac nel 1766 e morto a Gratelup nel 1824, il quale «durante la Rivoluzione, l’Impero e la Restauraziopne rivestì importanti cariche negli alti gradi dell’amministrazione e nei corpi legislativi, ma più che dalla vita pubblica si sentì attratto da una vita tutta interiore e spirituale».
Dal “Journal intime”, Rusca ci propone alcune pagine che intitola “Mi dichiaro inadatto a vivere in un mondo corrotto e corruttore” e descrive la confusione dell’uomo abituato a vivere in solitudine quando riprende i rapporti sociali, restandone scosso dopo che «lungi dal mondo, la sua immaginazione si è compiaciuta nel dipingersi seducenti immagini dell’umanità».
Main De Brian racconta di una sua giornata in città: «Vi ho portato uno spirito raccolto, un cuore sereno; e ne ritorno turbato, agitato, inquieto. Ho visto tanta gente, ne ho ricevuto cortesie, dimostrazioni d’attaccamento, d’interessamento; ma lo sforzo e la dissimulazione trasparivano dalle manifestazioni affettuose. Quante maschere, e neppure un cuore!». Si conversa «non sulle cose, ma sempre sulle persone, e la malignità si sviluppa (….) bisogna pure, se non si vuole passare per sciocchi o per gaglioffi, mettervi la propria parola, cioè essere altrettanto maligni, approvare che si faccia a brani un galantuomo. Quale supplizio dover mentire a sé stessi! (…) Bisogna essere più virtuosi. (…) Per vivere fruttuosamente nel mondo, per trarre qualche vantaggio dal commercio degli uomini, bisognerebbe apportarvi una grande fermezza di carattere e una rinuncia assoluta a vantaggi d’opinione pubblica. Mediante la prima di tali qualità si diverrebbe incrollabili nei propri principi e inaccessibili al contagio; mediante la seconda, l’amor proprio non cercherebbe continuamente di entrare in giuoco, di attirare gli sguardi su se stesso, di voler essere assolutamente protagonista. Allora si conserverebbe il sangue freddo necessario per ben giudicare gli uomini e si metterebbero a profitto le loro follie per correggersi delle proprie. Il sarcasmo, il ridicolo che la gente vorrebbe gettarci addosso cadrebbero sempre a vuoto, e noi impareremmo che quelle persone frivole che stavano al culmine della vita mondana non valgono certo la pena che un galantuomo divenga il loro zimbello per rendersi gradito».
E’ uno stralcio del brano che apre l’anno. Sufficiente a indurre qualche riflessione. Non inutile nella giornata in cui, solitamente, ci si spende in buoni propositi…


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Dario Cercek
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