
Un fotogramma estratto dal filmanto diffuso dagli operanti
Si è ufficialmente aperto quest'oggi anche il processo a carico dei 35 indagati nell'ambito dell'operazione Insubria - 17 dei quali afferenti, stando al quadro accusatorio, all'ipotizzata Locale 'ndraghetista di Calolziocorte - che hanno optato per il rito abbreviato. Questa mattina, infatti, dinnanzi al gup del Tribunale di Milano Fabio Antezza, in prima udienza, si è proceduto alla formazione delle parti e all'ammissione degli imputati al rito alternativo scelto. Dopo di che alcuni dei difensori hanno sollevato alcune questioni preliminari, rigettate dal giudice. Nello specifico si è discusso circa la richiesta di sospendere il processo in attesa di una pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione e circa la competenza territoriale con l'intento di incardinare il procedimento non a Milano bensì a Reggio Calabria in riferimento alla presunta locale di Cermenate scoperta dai Carabinieri congiuntamente a quella di Fino Mornasco e alla "nostra" associazione per delinquere di stampo mafioso di Calolzio capeggiata - a detta dagli inquirenti - da Antonio Mercuri, "Pizzicaferro", calabrese trapiantato al Nord, con ultima residenza ad Airuno, difeso di fiducia dall'avvocato Amedeo Rizza. Con lui sono a giudizio il "capo società con la dote di trequartino" Antonino Mandaglio di Carenno assistito dall'avvocato Giuliana Casti, Giovanni Marinaro (avv. Marilena Guglielmana), i tre fratelli Condò (Antonio, Ivan e Marco difesi dall'accoppiata Christian Malighetti-Sergio Colombo, dal duo Alessandra Carsana-Stefano Pelizzari e da Elisa Magnani), per il trentenne Luca Mandaglio, unico a essere tornato libero (avv. Roberta Cantoni e avv. Alvaro Andrea), Rosario Gozzo (sempre assistito dello studio Pelizzari), Bartolomeo Mandaglio (avv. Tiziana Bettega), Giovanni Buttà (avv. Roberto Brambilla), Domenico Lamanna (avv. Giuliana Scaricabarozzi), Nicholas Montagnese e lo zio Salvatore Valente (avv. Guido Contestabile e avv. Giuseppe Moretta), Vittorio Varrone (avv. Marco Rigamonti) e i due Panuccio di Dolzago, difesi dall'avvocato Paolo Camporini, Antonino e Albano.

Il capanno di Castello sede delle mangiate
Proprio quest'ultimo è stato l'unico degli imputati - tutti chiamati a rispondere a vario titolo di quanto previsto dall'articolo 416 bis cp - ad essersi sottoposto ad esame, ad integrazione della corposa memoria già presentata dal proprio legale. Da quanto è stato potuto apprendere - l'udienza si è svolta chiaramente in camera di consiglio - il giovane, classe 1981, nato a Oggiono con casa a Dolzago, avrebbe ammesso di aver partecipato a due mangiate presso il capanno di Castello Brianza di proprietà del padre (recentemente scomparso, prima di essere rinviato a giudizio sempre per questa vicenda) sottolineando però come fosse consuetudine per la sua famiglia pranzare in quell'area e di essersi addirittura presentato a uno degli appuntamenti con in braccio la propria bambina di pochi mesi, non sapendo chi fossero gli altri commensali. Nella sua deposizione, l'operaio 33enne che, secondo le risultanze investigative sarebbe stato in possesso della dote di Sgarro, avrebbe inoltre sostenuto di conoscere solo una parte degli invitati a quelle conviviali - una delle quali ripresa dalle microspie del ROS che, per la prima volta, hanno filmato il conferimento di cariche in seno a un'ipotizzata cellula 'ndranghetista - e di essersi arrabbiato con il padre una volta resosi conto della presenza sulla loro proprietà di più di un pregiudicato.
Si tornerà in Aula già il prossimo 5 maggio per le conclusioni dei sostituti procuratori Paolo Storari e Francesca Celle a cui seguiranno - presumibilmente nelle successive tre udienze - le arringhe dei difensori per giungere così, stando al calendario, alla sentenza in un lasso di tempo davvero ristretto.
A.M.